di Enzo Fileno Carabba
7. LA RICERCA DELLE UOVA QUADRE
Per anni mio padre mi ha interrogato sui paperi. Apriva una storia di Paperino e io dovevo stabilire, così a colpo d’occhio, sulla base di una singola vignetta, se avevo davanti una storia di Carl Barks, uno dei geni del Novecento, diceva.
Comprava possenti edizioni rilegate di tutta l’opera barksiana grazie ad ambigui mediatori che agivano nell’ombra. L’entità della spesa non veniva comunicata a mia mamma. Stiamo parlando di molti volumi.
D’altra parte, per un vero cultore, nessuna cifra è eccessiva: e questa è passione, proprio quello che manca alla vita di molti. Carl Barks è stato il vero creatore della saga dei paperi (Paperone, Paperino, Qui Quo Qua ecc) per la Disney. Sue sono le grandi storie avventurose, come Paperino nel paese delle uova quadre, dove i protagonisti si misurano con mondi ben più vasti, misteriosi e affascinanti di Paperopoli: regioni dove le uova non sono ovali, appunto. E suoi sono i disegni, che conferiscono a quei paperi una verità piena e rotonda. E direi una luminosità particolare. Quando l’anziano Paperone nuota e balza tra le monete come un giovane delfino, nei disegni di Barks, ci credi davvero.
Le coetanee che mi piacevano – nel mondo reale – avevano qualcosa di Paperina nei momenti migliori (perché a volte è un po’ isterica). E’ vero che casa mia era anche il regno del fumetto erotico, e quindi fin da piccolo ho avuto modo apprezzare visioni più adulte, richiestissime dai miei amici. A questo proposito: avere la casa piena di fumetti erotici è il modo migliore di garantire amicizie al vostro timido figlio. Ma nonostante le donne dei fumetti erotici avessero un loro innegabile sex appeal, forse erano un po’ tropo donne per noi: certi loro atteggiamenti ci risultavano oscuri e ci intimorivano.
E Paperina restava Paperina.
Insomma mio padre mi interrogava sui disegni di Barks come in altre famiglie il padre interroga il figlio sui miracoli di Santa Petronilla, protettrice degli alpinisti, spesso distratta.
A parte Barks e la sua cattedrale di paperi, devo dire che anche Topolino non mi dispiaceva. Voglio precisare: lo apprezzavo, ma non nello stesso modo in cui apprezzavo Paperina. E poi le sue avventure spesso difettavano di quella visione favolosa, quel tuffo rigenerante nell’ignoto, che tanto si addiceva alla mia personalità. Naturalmente di cartoni animati Disney non me ne sono perso uno, e rido di quelle famiglie illuminate dove genitori fanatici impediscono ai figli di vedere cartoni animati Disney per il loro bene.
Quando sento l’espressione per il loro bene comincio subito a preoccuparmi. Quando poi qualcuno mi dice è per il tuo bene mi si piegano i denti dalla paura.
Insomma, sono cresciuto con la Disney. E’ vero che il pupazzo meccanico di Topolino avrebbe dovuto mettermi sull’avviso. Successe questo. Regalarono a mio padre un enorme Topolino, praticamente alto quanto a me. A parte il fatto che mi chiedo chi abbia regalato quel Topolino a mio padre, invece di regalarlo a me. Comunque, quel pupazzo era anche in grado di parlare, premendo un bottone. A me piaceva molto. Stava in camera dei miei. Anche questo se ci pensi bene è bizzarro. A un certo punto mio padre lo volle fuori casa, non so che fine abbia fatto: se è stato regalato a qualcun altro o proprio buttato via in un cassonetto. Comunque, Topolino fu cacciato perché nel cuore della notte si muoveva.
Non in modo clamoroso, d’accordo, ma si muoveva. Probabilmente a dargli spago si sarebbe mosso di più e sarebbero stati dolori. Non gliene abbiamo dato il tempo, lo abbiamo cacciato prima. Ci sarà rimasto male. Ma si sarà rifatto con i suoi nuovi padroni. O con la testa del netturbino.
Onestamente, non so se sia andata proprio così. Vedendo la cosa da un punto di vista razionale, non credo che tutte le volte che un pupazzo meccanico prende vita sia per uccidere qualcuno. Ma quello che volevo dire è che quella volta è stata la prima volta che ho avuto dei dubbi sulla Disney.
Molti anni dopo ho provato a lavorare per la Disney, scrivendo storie per loro. Diciamo solo che lavorare per la Disney è un’esperienza che auguro al mio peggior nemico.
Non fatemi dire di più.
Mi limito a ricordare che continuamente mi arrivavano indicazioni dalla Disney, relative a quello che scrivevo. Dicevano in sostanza: va bene, ma butta via tutto. Alla lunga è una cosa che può risultare frustrante. Soprattutto se scopri che alcuni cavilli del tuo contratto sembrano significare che ti possono fare del male, se non ottieni la loro approvazione. Allora uno entra in un tunnel in cui cerca di farsi sembrare giuste anche le osservazioni più assurde. E’ degradante.
Però un giorno mi arrivò un’obiezione giusta. Anzi forse era notte. Mi arrivavano obiezioni via posta elettronica a qualsiasi ora del giorno e della notte. In quello che hai scritto hai usato l’aggettivo “tenue”, mi dicevano. Come puoi usare l’aggettivo “tenue” in un libro per ragazzi? L’aggettivo tenue è un raffinato aggettivo per adulti colti, non per ragazzi, mi dicevano.
Bisogna tenere presente che stavo lavorando appunto a una saga per ragazzi, dai dodici/tredici anni in su.
Perbacco, mi dissi. E’ vero. Come ho potuto usare l’aggettivo “tenue”, adatto a un’élite di adulti estenuati dal vizio della lettura letteraria. Sono davvero stanco (in effetti ero stanco). E cancellai subito la parola “tenue”.
Qualche giorno dopo mi capitò di dichiarare: il primo libro che ho letto con i miei occhi si intitolava La tela di Carlotta, un libro sconosciuto, introvabile.
A volte mi capita di dire cose senza fondamento. Ma così,in buona fede.
Infatti la ragazza che avevo davanti mi disse: ma come, La tela di Carlotta è un classico per l’infanzia.
Allora andai in libreria e constatai che in passato non dovevo averlo cercato molto, perché lo trovai subito. Che emozione! Era un libro che avevo letto a sei anni e ora era di nuovo lì davanti a me. Tra parentesi, io a sei anni non ero un bambino prodigio, e quello stesso libro era stato letto da innumerevoli bambini in tutto il mondo.
Lo aprii: e nella prima pagina troneggiava una parola “TENUE”.
Ma non è colpa della Disney. La verità è che dai tempi in cui io mio padre mi interrogava su Barks alcune cose sono cambiate. Le parole si indeboliscono e l’umanità regredisce. Inoltre – e questo è grave – anche le storie dei paperi si fanno più misere, quotidiane, basate su feste e merende, secondo la perversa idea che bisogna essere più vicini alla vita dei giovani.
Come se i giovani non avessero bisogno di andare alla ricerca delle uova quadre.
In ogni caso, io continuerò sempre a nascondere immagini di Paperina sotto l’ultimo numero di Playboy.