di Alessandro Morera
[La promessa dell’assassino aveva già entusiasmato il nostro redattore Mauro Gervasini (vedere qui). Altrettante lodi giungono, per vie diverse, da un altro collaboratore di Carmilla. Che quello di Cronenberg sia il vero film di Natale, per chi se ne intende?]
La vicenda di La Promessa dell’assassino prende spunto da una giovane ragazza russa che muore nel momento in cui dà alla luce una bambina in un ospedale di Londra. L’ostetrica Anna (Naomi Watts), un’inglese di padre russo, prendendo il diario della ragazza, si accorge che essa è stata violentata e maltratta. Inizia cosi una ricerca che la porta in breve tempo in contatto con una famiglia di ristoratori (in apparenza) russi, dove l’anziano proprietario, dai modi gentili e raffinati, campeggia su tutti (l’interpretazione di Armin Mueller-Stahl è di quelle che rubano la scena a tutti gli altri protagonisti), in particolare sul figlio Kirill (Vincent Cassel) e sul suo guardaspalle Nikolai (Viggo Mortensen). Nel racconto iniziale della trama ci fermiamo qui per non togliere allo spettatore il gusto di una perfetta narrazione thriller, grazie all’eccellente sceneggiatura di Steven Knight.
E’ attraverso la linearità non solo narrativa, ma anche formale (campi in primo piano e controcampi in piano americano configurano la classicità della costruzione del racconto visivo), che Cronenberg riesce in una delle descrizioni più efficaci di un mondo chiuso e violento come quello della Vory V Zakone, la malavita proveniente dalle varie repubbliche dell’ex Unione Sovietica, una malavita – e una comunità – completamente impermeabile agli usi e alle mode delle società occidentali, dove essa si è installata nel corso del tempo, ma delle quali riprende alcuni topoi retrogradi (per esempio quello tipico del maschilismo e della violenza che esso porta con sé) e il fine ultimo della società dell’apparenza e dell’opulenza occidentale, quello del denaro come simbolo del potere e della famiglia intesa come nucleo base sul quale costruire, attraverso il dominio e la violenza, la società (criminale o istituzionale che sia).
La caratterizzazione dei diversi nuclei sociali in gioco (la normalità della protagonista e dei suoi parenti, il dominio violento della famiglia criminale, capitanata però da un uomo dalle maniere apparentemente suadenti), per mezzo di piccoli tratti appena accennati, che definiscono la psicologia dei protagonisti, riesce a rappresentare un discorso narrativo intrecciato finemente, facendo del racconto il vero e proprio protagonista del film. Un’ambientazione e una scelta formale alquanto inusuali in Cronenberg, che però risultano efficacissime, come altrettanto efficace risulta la scelta della voce fuori campo della ragazza uccisa che legge il suo diario. Vero e proprio deus ex machina del racconto, ma altresì macguffin che permette all’autore di introdurre lo spettatore nel mondo complesso dei codici e delle spietate leggi della Vory V Zakone.
Altrettanto appropriata, al di là dell’ambientazione londinese, risulta la scelta della fotografia del film (realizzato dal fido Peter Suschitzky), una fotografia impregnata di cromatismi grigi e blu, che donano alle immagini un senso di inquietudine perenne, una tipica scelta stilistica che caratterizza da almeno un ventennio una delle innovazioni linguistiche più evidenti del cinema della New British Renaissance (da Ken Loach a Mike Leigh, giusto per citare alcuni dei massimi esempi della costruzione dell’immagine del cinema anglosassone).
Ne La Promessa dell’assassino Cronenberg ricostruisce ciò che aveva decostruito nel precedente A History of Violence, dove faceva implodere la forma standard del noir, ricreando in quest’ultima opera una classica struttura thriller aggiornata alla contemporaneità. Infine, oltre alla nota bravura degli attori principali, vanno segnalati i ruoli secondari dello zio e della mamma della protagonista, tratteggiati in maniera magistrale da Jerzy Skolimowsky e da Sinéad Cusak. Un ultimo consiglio, non perdetevi i titoli di coda, degni dei migliori titoli di testa creati nel passato da Elaine e Saul Bass.