di Alberto Prunetti
[Le prime due parti di questo intervento si trovano qui e qui] A.P.
Firenze, piazza della stazione di Santa Maria Novella. Sono circa le 23 del 5 ottobre 2007. I vigili urbani che pattugliano la zona, abituale ritrovo di tanti immigrati costretti a dormire all’aperto, identificano una coppia di rom rumeni, D.S. e D.S., e la loro bambina, L.S.C. La polizia municipale diffida il padre “a tenere la propria figlia L.S.C. in uno stato di disagio costringendola a dormire, durante tutto l’arco della giornata, all’aperto e allevandola conseguentemente in luoghi insalubri e pericolosi.” Il padre della piccola rom viene anche avvisato che “nel caso la bambina fosse rintracciata dagli organi di polizia continuamente in uno stato di disagio gli stessi, ai sensi dell’ art. 403 c.c., provvederanno a collocare la minore L.S.C. in un luogo sicuro[…]”
Ma qual è la storia di questa coppia di rom che è costretta a vivere per strada?
D.S. e D.S. — padre e madre hanno nomi diversi ma le stesse iniziali — arrivano un giorno a Firenze dalla Romania. Una coppia di trentenni in fuga dal loro paese, stanchi di soffrire la fame, di lavorare per i vari padroni di turno, molti dei quali italiani, un mese sì e tre no, in cambio di quattro spiccioli. Un giorno preparano sacchi e valigia e coi loro due bambini, il maschio più grandicello e la piccola, nata nel 2002, arrivano nel capoluogo toscano. Comincia una vita ancora più difficile, appoggiati a situazioni di fortuna, nella periferia fiorentina. Le loro condizioni attirano l’attenzione degli assistenti sociali, che invece di darsi da fare per fornire, come si fa nella maggior parte dei paesi europei, un aiuto all’alloggio e un sussidio, cominciano a togliere alla coppia il figlio maggiore, che viene trasferito in una comunità in provincia di Arezzo.
Intanto il padre, attraverso il tam-tam dei migranti, riesce a inserirsi nel giro dei lavavetri. Il lavoro ai semafori è integrato da un’altra attività precaria: D.S. è bravo con la fisarmonica, e la sera gira per i ristoranti per ottenere qualche euro dai turisti. Ma, in attuazione dell’ordinanza del sindaco Domenici contro i lavavetri, i vigili urbani gli sequestrano lo spazzolone col secchio. Gli rimane ancora la fisarmonica e con questa continua per un po’ a suonare per i ristoranti. Peccato che a Firenze ci sono tanti intrattenitori di successo e un intrattenitore abusivo non serve a niente: gli portano via anche la fisarmonica.
Eccolo qui il sogno italiano di questo rom rumeno, costretto a vivere ormai di elemosina con moglie e figlia appoggiate contro il muro della stazione. Finora gli italiani gli hanno portato via un figlio, lo spazzolone, la fisarmonica. Ma non è finita. Dopo quella sera del 5 ottobre, gli portano via anche L.S.C., la bambina più piccola: prima “tradotta” presso il Centro Sicuro di Firenze e in seguito spostata in un luogo segreto.
Nonostante il dolore e i pochi mezzi, i genitori non si danno per vinti. Devono sbrigarsi ed evitare altri colpi della sfortuna: dovessero ricevere in base al decreto Amato un’ingiunzione di allontanamento dal territorio nazionale, i servizi sociali avviserebbero il Tribunale dei Minori del fatto che i genitori non si sono curati di ricercare la bambina e dopo cinque o sei mesi L.S.C. verrebbe data in adozione. Attivano alcuni canali. Grazie a una associazione di volontariato vengono a sapere che la bambina è stata trasferita in provincia di Grosseto. Si muovono anche dei loro amici rom che vivono sul territorio maremmano. Alla fine scoprono che L.S.C. si trova in un istituto nei pressi di Follonica.
A questo punto l’associazione di volontariato aiuta i genitori a ottenere un colloquio col Tribunale dei Minori. Per ora il primo risultato è stato che la bambina, accompagnata dal personale dell’Istituto, è stata condotta a Firenze, per un colloquio coi genitori di due ore. Poi via: ritorno nella prigione maremmana.
“Troppo bella per essere una zingara”
Questo caso non è una eccezione. Potrei citarne altri, ma sarebbe un elenco lungo. Rimando alla casistica indicata in due rapporti sulla discriminazione di rom e sinti in Italia, che cito in coda a questo articolo. Cito solo un caso, perché paradossale, contenuto in un articolo pubblicato sul sito dell’European Roma Rights Center, e visibile qui in inglese. E’ il caso di una bambina rom, Elvizia M., cresciuta nel campo Casilino 700, che il 14 giugno del 1999 fu tolta ai genitori – sulla base del presupposto che l’avessero rubata – per il colore degli occhi della bambina: “troppo bella per essere una zingara”, dissero le autorità, guardando gli occhi celesti della bambina, lontani dallo stereotipo del rom scuro. Il padre dovette correre dalla Romania e presentarsi al tribunale per far vedere un paio di occhi, celesti, belli e sicuramente più umani di quelli che lo circondavano nell’aula. A quel punto la bambina poté tornare ad abbracciare i suoi genitori. Il fatto che essere belli significhi non essere rom, o che solo questo basta a togliere un bambino ai suo genitori, dimostra allo stesso tempo i pregiudizi degli italiani e la debolezza dei rom nella nostra società.
Pratiche di deziganizzazione
Già prima della seconda guerra mondiale, i figli dei rom venivano sottratti ai loro genitori per consegnarli a famiglie sedentarie, al fine di disperdere la continuità culturale ed etnica del loro popolo. La difficoltà sta (come nel caso della Pro Iuventute svizzera degli anni ’50, che allontanò qualche centinaio di bambini jenish dalle loro famiglie) nel fatto che l’operazione passa sempre per caritatevole ed i genitori per criminali. Si tratta di una situazione paradossale, ingiusta, che nasce dall’idea di proteggere i bambini, ma che non comprende né le ragioni del disagio né si interessa delle sofferenze dei genitori. Anzi: diciamo che gli stessi promotori di queste azioni sono spesso i principali protagonisti della repressione ai danni dei rom, ovvero collaborano fattivamente ai traslochi forzati, agli sgomberi, alle distruzioni periodiche degli accampamenti di fortuna dei rom. Ovvero: sono loro a creare il disagio che poi si riflette sui bambini. Si può anche pensare che magistrati, assistenti sociali, polizia e vigili urbani agiscano in buona fede quando si preoccupano della sorte dei piccoli rom: è umano preoccuparsi del fatto che una bambina di tre anni dorma per strada alla stazione. Ma non capisco chi ipocritamente dice di preoccuparsi, quando poi è lo stesso che il giorno prima l’ha sfrattata, lei e la sua famiglia, o le ha distrutto la roulotte, sbattendola per strada, o ha negato a suo padre la possibilità di racimolare qualche spicciolo, col sequestro di una fisarmonica e dello spazzolone lavavetri. Questo non è una preoccupazione morale per la sorte dei bambini. Anzi. Si fa un uso ipocrita della loro sorte: producendo la miseria che permette poi di gridare allo scandalo, si fa solo campagna contro i rom, favorendo la deziganizzazione dei loro bambini e alimentando uno stereotipo negativo.
Continua
[Ringrazio Piero Colacicchi per la conversazione telefonica e il fotografo Stefano Pacini per le splendide foto. Devo spendere qualche parole per questo taciturno fotografo che da anni si trascina la sua 35mm, caricata con una pellicola ad alta sensibilità, per cogliere la “grana grossa” del mondo che lo circonda] A.P.
[Fonti: OsservAzione (centro di ricerca azione conto la discriminazione di rom e sinti); ERRC (European Roma Rights Center); ERRC, Il paese dei campi, Roma, Carta, 2000; Sigona N., Monista L. (a cura di), Cittadinanze imperfette, Santa Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006.]