di Tito Pulsinelli
[A poche ore dal referendum con cui i cittadini venezuelani dovranno dire sì o no a una serie di modifiche alla Costituzione, proponiamo un articolo di Tito Pulsinelli apparso su www.selvas.org. Non mancano, come si vedrà, gli accenti critici. A giorni pubblicheremo una piccola rassegna delle falsificazioni con cui i principali media italiani ed europei si accaniscono contro il “governo bolivariano” di Hugo Chávez, divenuto lo spauracchio di chi, a destra come a sinistra, si è fatto difensore di un neoliberismo ormai boccheggiante.] (V.E.)
Mancano pochi giorni (in realtà è oggi, 2 dicembre, n.d.r.) al referendum sulla sostanziosa ristrutturazione costituzionale ma non si percepisce un abnorme surriscaldamento del clima politico. Non una debordante partecipazione appassionata né l’incontrollabile avversione biliosa delle altre numerose elezioni – una all’anno! – cui ci ha abituato il novennale ciclo bolivariano. Nonostante i doviziosi sforzi del sistema mediatico per inscenare nelle piazze il canovaccio delle “rivoluzioni colorate”, Caracas non è Tbilisi o Kiev.
Il corposo pacchetto di modifiche costituzionali spazia dal diritto di voto a 16 anni alla giornata lavorativa di 6 ore, e allude a una nuova archittetura istituzionale nei grandi spazi geografici del Paese. La nuova “geometria del potere” segnala l’esigenza di ridisegnare le competenze e il funzionamento delle istituzioni locali, affinché rispondano a una logica che non sia solo geografica, ma di economia territoriale. Viene rimossa la cosiddetta “autonomia” della banca centrale rispetto alle altre istituzioni, che invece è stata una autentica sottomissione al dogma del FMI, Goldamn Sachs e delle altre confraternite fondamentaliste del neoliberismo.
Il cambiamento più reclamizzato è quello che consente di candidarsi senza limiti alla carica presidenziale, fermo restando che corrisponde agli elettori deliberare chi li rappresenta. E’ quel che è sempre avvenuto nella gerontocrazia italiana con Andreotti Giulio, incistato in pianta stabile alla guida dei governi del dopoguerra, o come ministro vitalizio. Mitterrand, Thatcher, Felipe Gonzalez, i 16 anni di Kohl: tutto nel dimenticatoio? Zapatero e Sarkozy possono candidarsi all’infinito.
Lo stato della democrazia reale è tale che ha come illustri difensori d’ufficio i politici dei vari Paesi monarchici che sopravvivono in Europa. Salgono sulla cattedra del “politicamente corretto” persino alti funzionari dell’ultima monarchia assoluta che fa capo allo Stato del Vaticano. Si contraddicono? Tanto meglio, diceva Walt Whitman.
La ristrutturazione costituzionale enfatizza nuove tipologie di proprietà comunale che affiancheranno la proprietà statale e quella privata, e daranno corpo alla proprietà sociale del nuovo potere popolare. Secondo alcuni è poco più di un espediente semantico con cui lo Stato attribuirà autorità alla periferia, delegando competenze discrezionali sul suo accresciuto potere e patrimonio. Secondo l’opposizione si tratta di uno svuotamento reale del potere locale, e di una crescita abnorme dello Stato sulla società e su tutte le articolazioni locali.
L’aspetto più polemico, però, è la comparsa della parola “socialismo” nel testo costituzionale, come meta per il prossimo futuro. Al di là della necessità di definirne concretamente i lineamenti – visto che non può riprodurre il sistema dei monopoli statali sovietici – come valutare questa proclamazione giuridica del socialismo? La realtà sociale sempre precede e si riflette a posteriori sul sistema giuridico, perchè è determinata dal rapporto di forze complessivo esistente tra i vari settori.
Questa è -concretamente- la conformazione della nuova egemonia sociale: un processo di trapasso dal potere politico alla sfera sociale, e in ognuna delle sue scansioni.
La Costituzione può essere un programma di massima per i prossimi venti anni, il tracciato di una rotta, ma per oltrepassare i confini del giuridico ci vuole ben altro. Per ora, pare un’accelerazione volontarista impressa dall’alto, con l’intento di andare oltre la democrazia participativa e lo Stato sociale.
Mentre l’agenda di discussione sui “massimi sistemi” avanza tra sussulti di vario tipo – non ultima l’accusa di “tradimento” contro le critiche di Baduel – affiora la preoccupante tendenza a ridurre la complessità alla scelta tra rosso e nero, evitando così di entrare nel merito delle critiche. Torna alla memoria la rottura tra Chávez e Arias Cardenas – altro fondatore del movimento bolivariano – che arrivò persino a essere il primo degli effimeri candidati presidenziali dell’opposizione. Oggi dirige la missione diplomatica venezuelana all’ONU.
Il quadro reale del Paese, come emerge da un’indagine della Camera di commercio Venezuela-USA, indica che negli ultimi tre anni sono aumentati del 149% i redditi del settore più vulnerabile della popolazione, quello che raccoglie il 42,6% delle famiglie. Allo strato che raggruppa il 26% è cresciuto del 49% il bilancio familiare.
Queste famiglie destinano il 44% dei nuovi redditi agli alimenti e bibite analcoliche; l’11% all’acquisto di case e il 7% ai beni voluttuari di uso personale. Questo boom dei consumi alimentari ha prodotto automaticamente l’esaurimento della carne di pollo, zucchero e latte. I raccolti di riso e mais, invece, rendono per la prima volta superfluo importarli.
Per l’opposizione, la discontinuità dei rifornimenti è la conseguenza dell’intervento statale nell’economia, come se gli allevamenti di pollame fossero responsabilità dei “kolkhoz ucraini” e non dei piccoli e medi centri agricoli privati.
Per il governo, invece, la responsabilità è dovuta agli accaparratori e al sabotaggio degli industriali alla rete della distribuzione. Semplicemente, la produzione agricola non è aumentata nella stessa misura della domanda, che si è rapidamente impennata. I produttori privati e le coperative non crescono come dovrebbero, e si deve far ricorso all’importazione, anche in questo vitale settore.
E’ difficile sapere quanto si è avanzato nell’obiettivo della sovranità alimentare, cioè in un nodo strategico per la costruzione di una economia più articolata, più stabile, meno vulnerabile e e capace di produrre internamente una parte crescente di tutto quello che proviene da fuori. Soprattutto nell’area dell’alimentazione.
Per superare l’economia mono-esportatrice (petrolio, materie prime) è indispensabile il concorso convergente della piccola e media impresa, del nuovo settore coperativo e di quello statale, messi al riparo dai monopoli internazionali.
L’impresa privata si avvantaggia dei finanziamenti statali e del mercato protetto, ma pretende anche prezzi liberi e non controllati: la botte piena e la moglie ubriaca.
I propagatori del cliché di un invadente statalismo ignorano che qui lo Stato non riesce a incassare l’IVA e – nonostante il recente encomiabile abbassamento di 5 punti – i consumatori non hanno riscontrato nessuna riduzione dei prezzi. Il settore commerciale ha continuato ad appropriarsi indebitamente dell’IVA e -per la prima volta nell’ultimo quinquennio – quest’anno queste entrate fiscali diminuiranno. Mentre l’attenzione generale è assorbita dagli ideologismi, è praticamente scomparso il controllo dei prezzi regolamentati dei beni di maggiore di consumo.
Un parlamento in cui si dispone della maggioranza assoluta non ha varato un semplice decreto-legge per abolire i contratti a termine, o per accelerare il varo di un sistema previdenziale unico su scala nazionale. E’ rimasto nel cassetto anche il progetto di una polizia nazionale che superi l’anacronismo e l’impotenza delle attuali polizie alle dipendenze dei governatori regionali.
La politica per il rinnovo del parco dei veicoli privati, con finanziamenti a tassi quasi nulli, è stata sfruttata con agio dalla classe medio-alta che oggi sfoggia fiammanti jeep 4×4, ma il trasporto pubblico di massa – soprattutto urbano – è deplorevole. Costa più caro percorrere un chilometro con un autobus urbano che con un’automobile. Non si è messo mano alla creazione di un sistema di trasporto veramente pubblico nelle grandi città, quindi spende di più un operaio o una commessa che un manager.
Riflessioni e pensieri doverosi per tutti coloro che si occupano di descrivere, commentare e analizzare il nuovo continente.
Quanti saranno coloro che manterranno aperta la sfida intellettuale con i propri punti di vista?
La legge sulle telecomunicazioni non è riuscita a correggere le aberrazioni di un totalitarismo mediatico che ha l’ambizione di agire da formazione politica elitaria, e rimpiazzare il disintegrato sistema dei partiti. Per metter fine agli abusi del canale golpista RCTV si è dovuto aspettare la scadenza della concessione sulla frequenza, vista l’inerzia della magistratura.
La distribuzione di terre incolte finora realizzata è stata possibile grazie alla soluzione concordata con i latifondisti che – in cambio di generosi appezzamenti – hanno sottoscritto volontariamente accordi con le autorità. Dove non è stato così, l’applicazione della Ley de tierra ristagna negli acquitrini melmosi dell’evanescente potere giudiziario. Ostaggio dei suoi tempi biblici.
La magistratura è una trincea inespugnabile della minoranza reazionaria o conservatrice, che non ha portato a termine nessuna delle grandi indagini sulle malefatte del passato, sulle privatizzazioni, sulla liquidazione della previdenza sociale o sui casi più clamorosi di corruzione, recenti o lontani.
Se le nuove mete costituzionali del socialismo dipenderanno da questo potere giudiziario, è facile profetizzare che corrono il rischio di restare norme giuridiche dalla vita prevalentemente cartacea.
Il primato del sociale sull’economia è fuori discussione, come pure quello sulla sfera giuridica. Riusciamo a concepire il socialismo solo come un movimento reale che – agendo dal basso – si scontra con lo stato di cose esistenti, e lo modifica in primo luogo con la sua prassi.
Per ora, al di là dell’innegabile redistribuzione attuata come politica prioritaria di un forte Stato sociale, la banca e gli importatori continuano a essere – come nel passato – i settori con più capacità di accumulazione. Nello specificità contingente, invece, la nuova Costituzione sarà approvata con un 60% di consensi contro un 40%; l’opposizione ribalta queste cifre. E’ più incerta la quantificazione dell’astensonismo o della diserzione elettorale. Pertanto il dato politico rivelante sarà questo: la nuova Costituzione sarà votata da un numero maggiore di cittadini di quella del 1999?