di Saverio Fattori
Ero ancora al lavoro, alcune informazioni confuse iniziavano a penetrare i muri della fabbrica. Claudio mi raggiunse al telefono. Non ricordo se armeggiavo già con telefonini o se presi la telefonata da un fisso aziendale. Aveva tutti i numeri degli uffici, eravamo stati colleghi per diversi anni, fino a quando non era evaso dal mondo operaio per il mondo operoso dell’imprenditoria. Mi assalì come una tempesta:
– Siete contenti adesso? Hai visto cosa hanno fatto i tuoi amici? Hai visto la televisione? Esci da quel buco di merda e vai a vedere cos’hanno fatto i tuoi amici.
Non capivo. Le voci di cui ero a conoscenza fino a quel momento facevano riferimento a disastri colposi, incidenti aerei in incredibile successione. Non capivo, ma una nube di imprecisati sensi di colpa elettrizzò l’aria attorno al mio cervello, dandomi una coscienza remota di eventi che ancora non potevo focalizzare.
Claudio era dotato di una forza istintiva ma razionale. Era una specie di trasgressivo nella tradizione padana. Soldi, figa, famiglia, motori. Claudio era un fascio naturale. Pragmatico e manicheo, muscolare, poco disponibile alla mediazione intellettuale. Intelligenza pratica da gran lavoratore, dotato per tutto ciò che poteva fornire denaro e benefici connessi. Innegabili doti di comunicatore. Talentuoso narratore di aneddoti.
La nostra strana amicizia ripercorreva i meccanismi della coppia de Il sorpasso di Risi. Ingordo di vita lui, riflessivo e bloccato io. Naturalmente scopava più di me. E questo mi dispiaceva. Sulla figa, ero d’accordo anche io.
Claudio è l’unico fascio che ho frequentato. In realtà, in fabbrica tutti si dichiarano fascisti. Votano a destra, ma confondono l’ignoranza pura, il qualunquismo, la pigrizia mentale, il conformismo, la video-dipendenza e altri rivoli di devianza, per un’identità politica riconosciuta e riconoscibile. Claudio invece, era inequivocabilmente un vero fascista. Fosse nato qualche decennio prima, non avrebbe rinnegato nulla dopo Piazzale Loreto. Sapevo riconoscere i sintomi, i tic, le caratteristiche intrinseche che esondavano dal personaggio per non lasciarmi dubbi.
Penso a Eddie Florio di Noi saremo tutto, non mi riferisco naturalmente ad atti delittuosi.
Piangeva al telefono. Era davanti alla televisione.
-Non è rimasto nulla.
Non ricordo cosa balbettai a mia discolpa. Non conosco piloti acrobatici. Mi sono indifferenti anche le Frecce Tricolori. Non giustifico, ma capisco che si possa (non si debba) pensare di colpire individui ben identificati per ragioni strategiche. In linea teorica. L’assassinio indiscriminato di moltitudini in assembramento casuale è altra merce. L’esclusiva di questo tipo di operazione è storicamente associabile (almeno dalle nostre parti…) alle forze a cui si richiama Claudio. Come facevo a spiegarglielo al telefono? In quel pomeriggio convulso, potevo convincerlo consigliandogli testi di saggistica o storia? Maccheccazzo…
– È finito tutto. Avete distrutto tutto…
Claudio si riferiva all’economia mondiale. Alle azioni che in quel momento possedeva, intendo. E intendeva. Oggi sappiamo che non era finito nulla e che le guerre future avrebbero cercato di rimettere in moto l’industria americana in difficoltà, alle prese con nuovi competitori. C’era perfino chi aveva fatto investimenti sospetti e profetici…
Ho visto poche volte Claudio dopo il suo licenziamento. Mi arrivano alle orecchie storie pirotecniche sul suo conto. Oggi so che Claudio ha cambiato la Porsche. Per un Lamborghini. Nero. A ridosso del sesto anniversario delle Torri Gemelle.
Non è finito nulla l’11 Settembre 2001. Non é cambiato nulla.
In realtà stava iniziando qualcosa di inesplorato o questo qualcosa aveva ricevuto una carica propulsiva insperata. Lo sceriffo Bush sarebbe partito da quel vuoto nel cuore di New York per gestire la sua teocrazia contro le altre teocrazie mondiali. Per dare di nuovo un’identità a Claudio e a me. Per non lasciarci orfani dopo la caduta del muro di Berlino. Per ridefinire i canoni del bene e del male.
Del Rosso e del Nero.
Come se ce ne fosse bisogno. Io, con la mia Polo Diesel del ’98 dal rumore di un trattore Lamborghini. Non era finito nulla. Non era cambiato nulla.
Cambiare tutto per non cambiare niente.
Al solito.