di Wu Ming
[COFFERATI NON CAUSA MA TRISTA CONSEGUENZA]
Non è stato certo Cofferati, pur con tutti i suoi passi falsi, a fare di Bologna una città gretta, chiusa e di merda.
Lo era già prima e lo sarà pure dopo.
[…] “Tradizioni di ospitalità di Bologna”. Quali, di grazia? Quelle dei proprietari di case che affittano in nero a cifre astronomiche, imbottendo gli appartamenti di disperati (e magari non vogliono negri e terroni)?
Quelle dell’ATC che ha approfittato dell’euro per aumentare il biglietto da 1300 a 2000 lire, e – guardacaso – concentra il controllo dei biglietti negli orari in cui i bus sono pieni di immigrati?
Quelle della lobby dei bottegai che ti “accolgono” in centro a zaffate di smog e si oppongono a qualunque riduzione del traffico pur di vendere a un coglione in più un paio di mutande a 40 euro?
Io in questo mito, in questa invenzione della tradizione, non mi riconosco.
Da decenni questa città campa sullo strozzinaggio immobiliare, oggi uno studente fuori-sede trova un posto letto in camera tripla in estrema periferia a 350 euro al mese se gli va bene (e settimana corta e zitto e mosca!).
Bologna è una città costruita su una piramide di lavoro nero e precario, buona parte del mondo delle cooperative “rosse” è mondo di precarietà e negazione dei diritti.
Bologna è una città di prezzi folli, il fornaio dietro casa mia vende il pane comune a 5 euro al chilo. Bere qualcosa in un bar del centro è addirittura proibitivo.
Quanto ai migranti e alle occupazioni, questa è sempre stata città di sgomberi, di disperazione, di nuove marginalità che si formano come fibromi sul tessuto della periferia.
Periferia che è aggredita e sbranata da una cementificazione selvaggia, sociopatica, con aree letteralmente strangolate, la pelle della città coperta da psoriasi di decine e decine di centri commerciali, dermatiti di palazzoni orripilanti, alberi buttati giù a centinaia per far posto a parcheggi a pagamento la cui vista ribalta lo stomaco […]
Quali tradizioni di accoglienza? Quale città bonaria? Io vivo qui da 16 anni e ho visto aumentare sempre più la selezione di classe, addirittura di censo. Hai i soldi? Bene. Non ce li hai? Te lo metto nel culo avvolto nella carta vetrata e devi pure ringraziarmi.
Bologna è una città che ha bisogno di un grande lavoro di demistificazione. Chi non ci vive la crede il paradiso in terra, e non si immagina quanto ormai sia noiosa e avvilente.
Va bene criticare Cofferati e il suo stile di governo, va bene rivendicare più partecipazione e più ascolto, va bene tutto.
Ma inventarsi cazzate no, per favore.
– (Commento lasciato da WM1 nel blog onemoreblog.it, 10 maggio 2005)
[EHM… DI CHE CITTA’ STIAMO PARLANDO…?]
Veniamo sollecitati da più parti a esprimerci su quel che sta succedendo a Modena ormai da qualche mese.
Potremmo cavarcela alzando le spalle, dicendo: “Modena è una città di merda”, ma sarebbe una tautologia, un contributo inutile a tutti.
Potremmo tuffarci in spericolate analisi, aggiungere la nostra voce a quella dei tanti, troppi grilli parlanti (megafonanti) che ci ammorbano da quotidiani e telegiornali. Dire cazzate sul “modello emiliano”, sulle “due società”, sullo scontro a sinistra…
Ma sarebbe la nostra voce, quella voce? Secondo noi, no. La nostra voce è un’altra, non ha un timbro metallico, ha una grana pastosa, la grana delle storie.
Ci piacerebbe sì, esprimerci su Modena. Ma vorremmo farlo a modo nostro. Vorremmo, noi per primi, rispettare la nostra peculiarità. Non ci piace l’idea di finire appesi a un gancio nella cella frigorifera dell’opinionismo […]
Il problema è: non abbiamo ancora l’idea giusta, e non vorremmo rappatummare un testo scadente. Discutibile sì (anche se, nello specifico, la voglia di discutere è poca), scadente mai.
L’unica cosa che possiamo fare, nello spirito della glasnost che esiste tra noi e voi, è chiedere tempo. Vedere se si attivano le sinapsi giuste.
Se non si attiveranno, speriamo ci venga in mente un altro modo. L’importante è esprimerci sul nostro terreno.
Tanto più che noi non ci viviamo nemmeno, in quella città di merda che è Modena, quindi la faccenda è delicata. I modenesi potrebbero risponderci: “Ma voi che cazzo volete? Andatevene affanculo!”
– Guardate che era Bologna…
– Come?
– Io vi ho chiesto un parere su quello che succede a BOLOGNA!
– Eh? Veramente? Ma cazzo, com’è pos…
– Compadres, ma voi l’avevate capito che era Bologna?
– Io no, dalla descrizione sembrava Modena… Ero sicuro…
– Merda, la faccenda si complica ulteriormente.
– (Da Giap #3, VIIa serie, 2 novembre 2005)
[UN ROMANZO SULLA NECROSI BOLOGNESE]
[Questo libro è] l’autopsia prematura (diremmo la “vivisezione”, se il corpo sezionato fosse ancora vivo anziché non-morto, nosferatu) di una città che esala l’ennesimo degli ultimi respiri. Un capoluogo senza capo né luogo, che ha da tempo perso la direzione, in ogni ambito manca di un piano regolatore (l’ultimo PRG fu approvato nel 1989) e non sa più che fare di se stessa. Bologna invecchia, s’imbozzola e avvizzisce, ha paura della propria ombra. Si spaventa a morte per cazzate assurde (il “racket dei lavavetri”! ) come un elefante di fronte a un topolino, ed è in balia di un feticismo del consumo (dello spreco) che ricorda la cena degli appestati nel Nosferatu (appunto) di Herzog. E’ un lungo declino, che durerà ancora chissà quanto. Intanto, un nuovo borgomastro è venuto a gestire la disperata mestizia della città.
Questa mestizia D’Attis la descrive nei dettagli ma, come i fratelli Coen nel Grande Lebowski, sceglie di ambientare la sua storia sette anni indietro. Sette anni che consentono il distacco e la visione chiara di una tendenza. D’Attis fotografa la carcassa enfia della “grassa e inumana” in una posa del 1999, l’anno della vittoria di Guazzaloca. Qui c’è una Bologna di non-luoghi (una non-Bologna che però è la vera Bologna che noi bolognesi d’adozione ben conosciamo e detestiamo e che è sempre peggio e infatti siamo tutti con un piede fuori dalla porta) che è quasi coeva alla “Bologna di luoghi” descritta da Girolamo De Michele in Scirocco, coeva e parallela. Solo che la Bologna di De Michele, con le sue topografie sentimentali, la sua bohème da osteria, è oggi scomparsa definitivamente, mentre la non-Bologna si espande, escresce, conquista lo spazio fisico e psichico. Questa è la mia lettura Bologna-centrica, in realtà il romanzo mette in scena un disagio più generale […]
– (Dalla recensione del romanzo di Nino G. D’Attis Montezuma Air Bag Your Pardon, “L’Unità”, 7 maggio 2006)
[EN PASSANT, MENTRE SI ANNUNCIAVA UN READING ALLA LIBRERIA MODO INFOSHOP…]
Ultimamente non ci sono molti buoni motivi per andare a Bologna.
Con poche eccezioni, la cultura cittadina è pozzangherosa, immunodepressa, ipoventilata. Mai vista una fiacca così.
Anzi, se è concessa l’auto-citazione […], la parola giusta è “mestizia”. Mai vista una mestizia così.
E’ in corso una violenta modenizzazione (è un refuso?). Sassuolizzazione, persino […]
– (Dispaccio spedito alla mailing list di Giap, 23 maggio 2006)
[SENTIRSI IN ESILIO]
Bologna, siete spesso critici nei confronti della città. Perché? Sensazioni sulla gestione Cofferati? E cosa ne pensate della cultura targata Guglielmi?
Mah, non credo si possa dire che siamo “spesso” critici sulla città. Di fatto, da almeno tre anni non ci esprimiamo su questioni locali, se non in modo fugace e molto sporadico, tipo che abbiamo firmato un appello, una volta (quello di Maschile Plurale per la Casa delle Donne, ndr). Non siamo intruppati con nessuna corrente o lobby della vita bolognese, siamo totalmente distaccati. Ad un certo punto, la nostra relazione con la città si è interrotta, un rapporto si è esaurito, Bologna ha smesso di darci stimoli rilevanti. Di fatto, non si può nemmeno dire che viviamo a Bologna: abbiamo la residenza qui, paghiamo la tassa sul “rusco”, però non frequentiamo la città, ci sentiamo in esilio spirituale e (in diversi periodi dell’anno, destinati ad allungarsi) anche fisico. Tutto qui, sono cose che succedono e non c’è nemmeno da recriminare più di tanto. Quanto a Cofferati, mi limito a dire che non ha la mia stima. Della cultura targata Guglielmi non saprei proprio che dire: confesso la mia totale ignoranza sull’argomento.
– (Intervista apparsa sul quotidiano “Il Domani di Bologna” con il titolo “L’esilio spirituale secondo Wu Ming”, 1 giugno 2006)
[ADDIO CASA LOGIC]
L’unica volta che abbiamo fatto una presentazione in una casa privata fu a Casa Logic, leggendario appartamento sito in via Oberdan a Bologna, luogo di centomila party, spazio di un inquilinato vibratile e cangiante “a metà tra la fectori di Endi Uorol e la Fabbrica del programma di Prodi” (è la descrizione che c’è sul loro blog). Per qualche tempo ci hanno vissuto anche le persone che si celano dietro l’ostico nome 0100101110101101.org (adesso vivono tra Mauritania e Honduras).
Oggidì, Bologna la gretta s’immerge e s’immerda in una laguna nera di asocialità, in giro s’inala un’atmosfera muffa e stolta, di morte clinica e noia all’ultimo sangue. Persino Casa Logic ha avuto lo sfratto. Uno spazio in meno, un trofeo in più sul caminetto del club dei padroni/predoni. Una prece, un saluto, non fiori ma opere di bene. Sul blog, una cronaca day-by-day del macabro evento. Farewell, farewell.
– (Da Giap n.6, VIIIa serie – 15 gennaio 2007)
[OLTRE I CONFINI COMUNALI]
All’uscita di Manituana abbiamo deciso all’unanimità e senza rimorsi di NON fare presentazioni a Bologna, per il profondo disamore che abbiamo maturato nei confronti della città, delle sue asfittiche politiche amministrative, del suo striminzito eterno presente, del suo avere paura della propria ombra, del suo sindaco da museo delle cere, dei suoi dibattiti prèsbiti. Abbiamo deciso di incontrare i lettori nei comuni e paesi limitrofi, dove si respira aria un po’ meno pesante […]
– ( dalla sezione “Suoni” di manituana.com, 1 giugno 2007)
[LA MORDACCHIA, GLI INQUISITORI]
Bologna è una città sempre più gretta e chiusa, chiusa in una pentolaccia di umori razzisti e clerico-fascisti, di voglie di censura, di “messe riparatrici” a cui partecipano pure esponenti della “sinistra”. Una città lasciata a se stessa, quindi in pessima compagnia. Una città che si spopola, dove tutto costa il doppio dell’accettabile (a volte anche il triplo), dove l’insofferenza e il livore la fanno da padroni, dove non succede più un cazzo di stimolante. Una città avvilente e di merda. L’ultimo episodio non ha fatto rumore a livello nazionale, ma è significativo del clima che si respira. Pare che non si possa più rievocare il caso giudiziario dei Bambini di Satana, che scosse l’opinione pubblica una decina di anni fa. Pare che non si possa ricordare alla suddetta opinione pubblica che Marco Dimitri e compagni sono stati assolti in due gradi di giudizio e risarciti dallo Stato per un anno e mezzo di ingiusta detenzione, nonché per i danni morali e materiali subiti.
Pare che queste cose non si possano più dire, a Bologna. Se n’è accorta la collega Grazia Verasani e lo racconta sul suo blog Antonella Beccaria.
– (Dispaccio inviato alla mailing list di Giap, 19 luglio 2007)
LINK CORRELATI
Fare cultura nell’Italia post-coloniale – di Wu Ming 2, 18 marzo 2006
L’ecomostro – di Wu Ming 1, 2 aprile 2006
Cetomediume vigliacco, cofferateria diffusa – di Wu Ming, da Giap n.13, VIIIa serie, 5 settembre 2007