di Gaspare De Caro e Roberto De Caro

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Storie di Pappalardo
Tuttavia, a turbare i sonni più o meno sereni dei politici, soprattutto di quelli di Sinistra, qualche giorno prima dell’approvazione al Senato della legge 78/2000 si scoprì che dagli abissi imperscrutabili dell’Arma era partito un sinistro colpo di avvertimento. Solo un velo dello scenario che si stava prospettando, una lieve vibrazione del pendolo che però, scrutata oggi con occhio storico, svela tutta la sua inquietante carica ammonitrice. Il 21 marzo 2000 gli organi di stampa entrano in possesso della nota informativa n. 20 del Cocer dei Carabinieri, datata 11 febbraio 2000, nella quale si riporta il contenuto di una telefonata fatta il 9 febbraio dal Colonnello Antonio Pappalardo, presidente del Cocer, al presidente del Consiglio Massimo D’Alema. L’argomento naturalmente è la legge sul riordino delle forze di polizia, che sarà votata in prima battuta alla Camera il 23 febbraio. Pappalardo si lamenta con D’Alema: «Qualcuno vuole mettere in difficoltà l’Arma dei carabinieri […]. Se si vuole un’unica forza di polizia, si abbia il coraggio di farlo. Questo ovviamente comporterà l’annientamento dell’Arma».

Secondo la «sintesi della telefonata» riportata nella nota, D’Alema risponde:

Se ho possibilità di lavorare con calma posso riaffermare i contenuti del disegno di legge del governo in cui non si parla della costituzione di una sala operativa unificata nelle questure… Per convincere il Parlamento ad accettare il provvedimento non bisogna fare uscire notizie contro il testo unificato che alla fine potrebbero mettere in contrapposizione governo e Parlamento. Dia assicurazione ai delegati (del Cocer, ndr) che troverò le giuste soluzioni. Un’unica forza di polizia nel nostro paese è una stravaganza.[27]

Tra le proteste generali per l’irritualità della procedura e qualche allarmato interrogativo su chi comanda davvero nel Paese, la polemica, sia pure con difficoltà,[28] rientra: Pappalardo minimizza e chiede «immense scuse» al Governo e il sottosegretario all’Interno Massimo Brutti, per tranquillizzare gli animi, assicura autorevolmente che «non ci sono lobby, né pressioni, né ricatti» e invita a «raffreddare il clima», ché «a sangue freddo si ragiona meglio».[29]
Si fa presto a dire, ma dagli abissi insondabili emergono altri messaggi torridi. Dieci giorni dopo, il 30 marzo, trascorso appena qualche minuto dall’approvazione al Senato della «famigerata legge» che trasforma la Benemerita nella quarta forza armata, «un flash di agenzia poco dopo mezzogiorno» fa deflagrare un altro «caso Pappalardo».[30] Un documento, Sullo stato del morale e del benessere dei cittadini, firmato dal presidente del Cocer, viene fatto pervenire alla stampa. Il dossier,[31] che circolava da tempo tra i Carabinieri, contiene analisi, giudizi e proposte che da più parti vengono riconosciute come funzionali a una strategia golpista e comunque ritenute da tutti gli schieramenti politici e anche dai vertici dell’arma assolutamente inaccettabili.[32] Qualche giorno dopo, a seguito di una strenua caccia al «corvo», l’Unac – Unione nazionale arma dei carabinieri, associazione culturale che raccoglie circa cinquemila aderenti, soprattutto sottufficiali, «abbastanza invisa al Comando generale di viale Romania»[33] – viene allo scoperto:

«Siamo stati noi, sì, noi carabinieri. E siamo convinti di aver fatto bene» dice il segretario maresciallo Antonio Savino. «Non credo neppure di aver fatto nulla di illegale visto che quel documento è stato affisso nelle bacheche, è stato inviato ad un’infinità di comandi ed è stato discusso». […] Certo Savino e l’Unac avrebbero potuto, anziché diffondere il documento nel mondo civile, denunciarlo ai vertici militari. «I vertici di viale Romania ci boicottano in tutti i modi» risponde. Cioè, lo avrebbero insabbiato, non se ne sarebbe saputo nulla.[34]

Dopo di che è Savino a porre una domanda alla quale ancora non si è potuto dare una risposta convincente e che sembra incoraggiare le ipotesi più inquietanti sul reale funzionamento della nostra società:

«Il documento è stato portato subito al Senato e anche ai giornali – dice il maresciallo – un paio di giorni prima la votazione della legge. Perché tutti hanno taciuto? E perché l’Ansa ha aspettato il voto prima di mandare in rete la notizia?» Anche su questo, secondo Savino, bisognerebbe indagare. Immediata la replica dell’Ansa: «Prima di pubblicare abbiamo fatto tutte le necessarie verifiche».[35]

Ma il mistero resta. «Certo è che se il dossier fosse stato reso pubblico prima del voto definitivo, la riforma sarebbe sicuramente slittata, e chissà fino a quando».[36] Pappalardo viene sollevato dal comando del II reggimento e costretto a lasciare la presidenza del Cocer in seguito alle irresistibili pressioni di Cossiga.[37] Nella lettera di dimissioni scrive:

Consapevole dei miei doveri di cittadino e di carabiniere, fedele al mio costume e al mio passato di servitore dello Stato, mentre riaffermo la mia fedeltà alla Patria, la mia fede democratica, il mio rispetto verso il Parlamento, espressione della sovranità di noi cittadini, ed il governo nazionale che di esso è espressione, la mia convinta, profonda e incondizionata lealtà alla Repubblica e alle sue istituzioni, valori cui sempre ho reso testimonianza quale cittadino e carabiniere anche quando ebbi l’onore di essere membro della Camera dei deputati,[38] ritengo in questo delicato momento di dover servire le istituzioni e l’Arma dei carabinieri e tutti i singoli carabinieri d’Italia insieme a tutte le forze di Polizia del nostro paese, cui egualmente mi sento vicino, rassegnando le dimissioni da presidente del Cocer dei Carabinieri. […] Spero che questo atto di responsabile sacrificio allontani dall’Arma tentativi di ignobili speculazioni che sono giunti a mettere in dubbio la lealtà democratica e repubblicana dell’intera istituzione.[39]

A sera Cossiga renderà onore al merito e giudicherà il gesto del colonnello

un atto di grande responsabilità e un contributo coraggioso alla necessaria fine di tante inutili e pretestuose polemiche. […] una sofferta testimonianza di educazione morale e civile, di fedeltà alle istituzioni della Repubblica e di servizio alla comunità, cose che l’Arma impartisce, nelle sue scuole e nelle sue file, ai giovani e agli uomini che ne fanno parte.[40]

L’intervento di Cossiga contribuirà a smorzare i toni della polemica, che tuttavia per qualche tempo restano accesi. È un animato tutti contro tutti. Anche Alleanza Nazionale si spacca sulla richiesta di dimissioni del comandante generale dell’Arma Sergio Siracusa.[41] Il Governo è sotto accusa per le frequentazioni di D’Alema con Pappalardo, Cossutta attacca Brutti, difeso da Marco Minniti «sottosegretario degli 007».[42] Ma la cosa all’interno dei DS non va del tutto liscia:

Veltroni fa quadrato, anche se al gruppo ds e a Botteghe Oscure adesso si stanno chiedendo come si è arrivati a stringere un’alleanza con un personaggio come il capo del Cocer, fra gli ospiti «illustri» della Cosa 2 agli stati generali di Firenze. E non solo: girava voce di una possibile candidatura di Pappalardo proprio sotto la bandiera della Quercia. Rapporti curati soprattutto da Brutti, anello di collegamento fra ds e militari […]. Grazie a lui il partito ha fatto breccia per la prima volta nelle gerarchie […]. Stamattina, quando parlerà davanti all’Anm, magari Brutti fornirà tutta la ricostruzione ma ha già incassato la piena e riconfermata fiducia di D’Alema e Minniti. Il numero due di Palazzo Chigi, del resto, è l’altro polo nella gestione del settore stellette e divise, ha mediato a lungo e con pazienza per centrare l’obiettivo di cambiare volto ai carabinieri. E non si è fermato Minniti, nei vertici di maggioranza, neanche di fronte a veti e dubbi che qualche alleato ha sollevato fino alla fine: «Se volete, votate contro. Ma la riforma s’ha da fare».[43]

Anche la Destra si fa sentire. In un violento editoriale apparso su L’Opinione, Arturo Diaconale se la prende con i silenzi e le reticenze del vice presidente del Consiglio Sergio Mattarella in Senato[44] e mette l’accento sulla strategia di annessione pervasiva della Sinistra nei confronti delle istituzioni, fornendo anche una spiegazione del comportamento apparentemente arrendevole dei Carabinieri, che si sarebbero indotti a cedere alle lusinghe degli ex comunisti per «ottenere una riforma che non sarebbe mai passata se la sinistra fosse stata all’opposizione invece che al governo».[45]
L’intervento di Diaconale è interessante perché fa emergere il ruolo assolutamente super partes dei Carabinieri, lepidamente ribadito anche di recente dal presidente del Cocer, generale Maurizio Scoppa, che ha sostituito Pappalardo: «noi siamo al di fuori e al di sopra delle parti».[46] Detto altrimenti, un corpo separato, «di spiccata autoreferenzialità […], affidabili, temuti e anche alquanto sospetti come lo furono i gesuiti per il Papato»,[47] i quali però si dichiarano sempre «caratterialmente fedeli e ubbidienti […] a chiunque sia al potere: il re, il duce, la Dc, il Polo, la sinistra», come afferma – con orgoglio? con sarcasmo? – un veterano dell’Arma,[48] e «con gli alamari stampati sulla pelle» come soleva dire il generale dalla Chiesa.[49] «I carabinieri non sono mai stati facilmente definibili: guardie armate dei Savoia, incaricati delle più difficili operazioni politiche come l’arresto di Mussolini o l’eliminazione di Ettore Muti, sempre a difesa dello Stato ma sempre presenti in qualche modo nell’antistato a copia conforme dei legami inconfessabili che hanno sempre legato i potenti nel nostro paese alle forze illegali».[50] Sono insomma la più pura espressione della «continuità delle Istituzioni», che sta tanto a cuore al presidente Ciampi.
Intanto Pappalardo finisce sotto inchiesta per violazione della disciplina militare. Il procuratore militare Antonio Intelisano secreta gli atti del lungo interrogatorio cui sottopone il colonnello. L’indagine sembra allargarsi e Pappalardo appare affranto,[51] ma qualche tempo dopo tenta, inutilmente, di riprendersi la presidenza abbandonata e appoggiato dal Cocer Interforze si appella al Tar adducendo vizi procedurali.[52] A fine giugno Intelisano deposita la richiesta di archiviazione dell’inchiesta penale,[53] ma invita l’Arma a valutare le violazioni disciplinari ravvisate dalla procura. A fine luglio Pappalardo si lamenta di aver ricevuto dal comando generale dell’Arma una diffida a partecipare alla conferenza stampa organizzata per commentare l’avvenuta archiviazione da parte del gip Carlo Paolella.[54] Il 25 agosto rispunta al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione e spariglia ulteriormente le carte dichiarando che «ha ragione Berlusconi, quando dice che la lotta al comunismo è un dovere morale».[55] A metà settembre si spaccia come promotore di un movimento politico dei militari,[56] ma il tentativo è bilanciato da analoghe prese di posizione da parte dei rappresentanti della Polizia. Il motivo del contendere stavolta sono esplicitamente i decreti attuativi della 78/2000 che il Governo sta per varare. Aliquò getta il proprio peso politico nella mischia: «Poliziotti e semplici cittadini aspettano ora con ansia che nuovi politici si occupino di diritti, legalità, sicurezza. […] Quelli di destra e sinistra ci hanno deluso. Ci vuole gente che sappia di che stiamo parlando. Non voglio un partito dei militari, ma questi che ci stanno adesso ci stanno facendo perdere la pazienza».[57] Lo scontro con la Polizia sulla legge di riordino era stato molto acuto nel febbraio. «All’interno della polizia ci sono delle frange che si stanno organizzando per scardinare il nostro sistema democratico» denunciava Pappalardo e aggiungeva: «Questi qui sono tutti nelle mani di An».[58]
L’apparente schizofrenia che induce nello scontro tutti gli appartenenti alle varie forze dell’ordine ad appiccicare all’avversario quanto prima e più durevolmente possibile l’etichetta di «fascista antidemocratico» o di «comunista antidemocratico», a seconda dei casi, non deve stupire. Fa parte delle regole del gioco affabulatorio del dominio democratico, informate a quelle degli spot pubblicitari, secondo le quali non conta il contenuto, ma lo slogan. Se è quello giusto il consumatore se lo beve sempre. Figuriamoci l’elettore. Non a caso, a proposito del dossier Pappalardo, Il Giornale titolava Colonnello di sinistra fa tremare la sinistra. A conferma dell’assoluta tranquillità con la quale i bene informati liquidano le presunte differenze ideologiche o almeno programmatiche tra Destra e Sinistra.
Comunque sia, dopo un ennesimo sussulto,[59] il «caso Pappalardo» si chiude con un nulla di fatto. [3. continua. Le altre puntate qui]

 



[27] Claudia Fusani, D’Alema disse al Cocer «sistemerò tutto io», in la Repubblica, 21 marzo 2000.

[28] «Non c’è stata nessuna trattativa segreta con i carabinieri, “solo polemiche sproporzionate”. Palazzo Chigi diffonde una nota per cercare di disintossicare il clima politico […]. Duro ieri il tono della presidenza del Consiglio. Oltre a giudicare le polemiche “assolutamente non commisurate a quanto avvenuto”, palazzo Chigi raccomanda di “non sollecitare una artificiosa e controproducente competizione” tra governo e parlamento ma anche tra le stesse forze di polizia […]. Dal ministro Bianco arriva il monito […]: “Nessuno può permettersi di alimentare tra i cittadini il sospetto che da parte del governo e del parlamento vi possano essere comportamenti non rivolti all’esclusivo interesse del paese e della collettività. Questo vale a maggior ragione per chi ha assunto un impegno preciso di lealtà e fedeltà alle istituzioni”» (Pappalardo: «immense scuse» al governo, ivi, 23 marzo 2000).

[29] «Non solo dal Polo, ma anche dalla maggioranza arrivano aspre critiche contro il presidente del Consiglio e l’invito a presentarsi al più presto di fronte a deputati e senatori per spiegare cosa sia veramente successo e se – soprattutto – in quella conversazione si possa configurare una qualsivoglia “pressione” dei carabinieri per far passare norme a loro favore. Da Palazzo Chigi non arriva un fiato. Ma c’è freddezza. Il contenuto di una telefonata considerata “normale”, è stato grosso modo confermato, ma sminuito nel suo valore. Si sarebbe trattato di uno sfogo dell’irruente Pappalardo» (Liana Milella, Cocer, una spina per D’Alema, ivi, 22 marzo 2000).

[30] Claudia Fusani, Il Cocer: noi, il nuovo Stato ed è subito bufera su Pappalardo, ivi, 31 marzo 2000.

[31] «Nel sesto paragrafo del documento inviato alla rappresentanza dell’Arma, il colonnello Pappalardo, presidente del Cocer, si sofferma sulle riforme costituzionali. […] “Noi carabinieri riteniamo che sia opportuno che venga raccolto l’invito della Conferenza espiscopale italiana di formare nuovi movimenti politici che, ispirati a valori positivi e unicamente protesi al benessere dei cittadini, portino una ventata nuova nel panorama politico italiano – ancora dominato dalla vecchia classe politica o, peggio, dai portaborse di coloro che un tempo comandavano – e realizzino quelle riforme necessarie per allinearci ai Paesi europei. […] Noi carabinieri, in attesa di questa nuova aria, più fresca e più pulita, chiediamo sin d’ora che nel testo di riforma della Parte II della Costituzione, relativa all’ordinamento dello Stato, si tenga conto maggiormente del ruolo che stanno svolgendo nella società le forze armate e le forze di polizia. […] Le forze armate sono l’essenza democratica della Repubblica. Nessun’altra istituzione, neppure la magistratura, gode di tale alto privilegio”. I militari, pertanto, “costituiscono il centro della democrazia del Paese”. […] Inoltre il “documento” propone un “teorema dell’irrazionalità”. Tre i soggetti, il popolo, i politici e i carabinieri posti idealmente, e graficamente, ai vertici di un triangolo equilatero. Dal popolo parte una freccia in direzione dei carabinieri, con sopra la scritta “amare“, che significa: “il popolo ama i carabinieri”. Sempre dal popolo parte un’altra freccia, nella direzione dei politici con sopra la scritta “eleggere”, che significa “il popolo elegge i politici”. Dai politici parte un’altra freccia in direzione dei carabinieri, con sopra il verbo “diffidare” e cioè “i politici diffidano dei carabinieri”. E il documento continua: “È evidente l’irrazionalità del teorema che diviene ancora più illogico se cambiamo il verso della direzione delle frecce. E si scopre che i carabinieri amano e si sacrificano per il popolo, diffidano e si tengono lontani dai politici e i politici ingannano il popolo” (Le “riforme” del colonnello Pappalardo, in www.repubblica.it, 30 marzo 2000).

[32] In una lunga intervista a la Repubblica, rilasciata a Liana Milella il 31 marzo, Sergio Siracusa, comandante generale dell’Arma, prende le distanze da Pappalardo e ne approfitta per dire la sua sulla conquistata autonomia: «“Sì, devo ammetterlo. Quel documento rappresenta un’ombra. Io lo respingo – risolutamente e decisamente – sia per i toni che per i contenuti. E perché si tratta di un’elucubrazione del tutto personale e in molti punti farneticante. E si presta a interpretazioni che sono nettamente opposte ai principi di profondo rispetto delle istituzioni democratiche che sono patrimonio dell’Arma. […] l’ho letto oggi. E mi sono reso conto subito del contenuto e della sua estrema gravità. Le espressioni usate non sono degne di un ufficiale che, per di più, è il rappresentante del Cocer”. Pappalardo dei carabinieri dice: “siamo lo Stato”. Critica i partiti che, in passato, avrebbero emarginato l’Arma e ipotizza la nascita di nuovi gruppi più disponibili verso i Cc. Qual è la sua opinione su tutto questo? “Respingo tutte queste affermazioni che nulla hanno a che fare con la lealtà e la fedeltà verso le istituzioni dell’Arma. È un linguaggio totalmente sconosciuto per tutti noi e che ipotizza situazioni del tutto al di fuori di ogni realistica concezione democratica”. Il colonnello sostiene, in vista di una nuova Costituzione, che “le forze armate sono l’essenza di uno Stato democratico”. Questa non le pare la teorizzazione di un golpe? “Le forze armate sono uno strumento indispensabile di uno Stato, ma non possono essere associate, in una nazione moderna e democratica, a idee golpiste. È pura farneticazione”. È anche un reato? “Lo dovrà valutare la magistratura. Per quanto mi riguarda, ho già preso il provvedimento di sollevare Pappalardo dal suo comando e di metterlo a disposizione”. Non si poteva fare di più? “Ho disposto anche che siano vagliate le responsabilità disciplinari per il contenuto e le modalità di diffusione del documento” […]. Lei si rende conto che questo documento suona come una conferma per chi – come l’Associazione dei funzionari di polizia – ha accomunato l’Arma di oggi a quella del Piano Solo? “Questi accostamenti mi danno molto fastidio perché non hanno alcuna rispondenza nella realtà, e, peraltro, gli autori di quella inserzione lo sanno benissimo. L’Arma è un organismo la cui lealtà è fuori discussione. Lo sanno il Parlamento, il governo e tutta la popolazione italiana”. […] Lei sa che molti, dal ’97, hanno ostacolato la riforma temendo proprio di dare troppo potere a un corpo militare che non è affidabile democraticamente? “Trovo questa impostazione del tutto assurda. Perché la legge non conferisce alcun potere ulteriore all’Arma, non apporta alcun cambiamento alle sue responsabilità in materia di ordine e sicurezza pubblica. La riforma ci dà solo l’autonomia dall’Esercito facendola dipendere dal capo di Stato maggiore della difesa e stabilendone più esplicitamente i compiti militari”. Sì, ma l’affidabilità? “Ogni sospetto è fuori discussione. Perché la nostra affidabilità democratica si fonda sui meriti che acquisiamo ogni giorno nella difesa della legge”. Perché, secondo lei, questo documento è uscito solo mezz’ora dopo il sì alla legge? “Non ne ho idea, ma comunque appare singolare che le ultime fasi dell’approvazione siano state accompagnate dalla comparsa della più varia documentazione possibile”. Vi accusano di attività lobbysta. Con tutta sincerità risponda: avete esercitato delle pressioni? “Noi non abbiamo esercitato pressioni di sorta, ma abbiamo solo fornito, spesso su richiesta di tanti parlamentari, informazioni sulle nostre esigenze e sulle prospettive collegate alla legge di riordino”. D’ora in avanti voi sarete più forti della polizia come dicono i loro sindacati? “No, perché mancano i presupposti. La legge non altera alcun equilibrio con la polizia perché, sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica, non ci sono modifiche. Del resto, siamo convinti che la pluralità delle forze di polizia sia una ricchezza per questo Paese e una garanzia democratica. E siamo altrettanto convinti della necessità di un coordinamento efficiente ed efficace”».

[33] «Noi abbiamo inviato il dossier», ivi, 2 aprile 2000.

[34] Ibid. Il primo aprile, sempre su la Repubblica, Luca Fazzo («Ma i vertici sapevano, perché si stupiscono?») aveva raccolto alcune dichiarazioni di ufficiali dei Carabinieri della caserma di via Moscova, «centro nevralgico dell’Arma a Milano», dalle quali trapela un divertito stupore per la linea di condotta tenuta dagli alti gradi: «“Quando ho letto che i nostri vertici fingevano di cadere dalle nuvole mi è venuto da ridere… Il documento Pappalardo girava da oltre un mese, protocollato, divulgato a un mucchio di stazioni e comandi della Lombardia su disposizione dell’ufficio Sp (cioè Segreteria e Personale, ndr) della Divisione Pastrengo. Solo nelle scorse ore, dopo che il caso è esploso sui giornali, a tutti noi è arrivato il contrordine: restituire il documento, con divieto assoluto di farne fotocopie. Anch’io ho dovuto recuperare la mia copia in fondo al cassetto e riconsegnarla immediatamente al mio superiore gerarchico. Una scena comica, come se avessero intenzione di mandarli al macero, di dire che il documento non è mai esistito o non è mai stato distribuito”».

[35] «Noi abbiamo inviato il dossier», cit.

[36] Giannini, op. cit. Il giorno prima Scalfari (op. cit.) scriveva: «Questa benedetta legge sulla quarta Forza armata bisognava proprio farla? Il colonnello Pappalardo è soltanto un demagogo in fregola che rappresenta soltanto se stesso oppure interpreta, sia pure con movenze da cialtrone, un aspetto profondo di quest’Ordine militare che sia pure alla lontana ha qualche parentela con la mentalità dei “marines” degli Stati Uniti? Sissignore, signore». Fra le tante domande che probabilmente non avranno risposta si potrebbe formulare anche questa: se è vero, come afferma Savino nell’intervista a la Repubblica, che «il documento è stato portato subito al Senato e anche ai giornali un paio di giorni prima la votazione della legge», perché la Repubblica non l’ha pubblicato?

[37] «“Caro Antonio, ti scongiuro, dimettiti”. L’invocazione rivolta l’altro giorno da Francesco Cossiga al colonnello dei carabinieri travolto dalla bufera Cocer non è rimasta inascoltata. Anzi. E così il “non mi dimetto” ripetuto dal militare per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio, a sera si era trasformato nelle dimissioni da presidente del Cocer. Una svolta arrivata proprio in seguito a un colloquio avuto ieri pomeriggio dall’ormai ex presidente del Cocer con l’ex capo dello Stato. Un colloquio lungo (un paio d’ore, subito dopo la conferenza stampa tenuta nel pomeriggio dal militare) e segretissimo. Franco, severo, ma – come riferisce chi subito dopo ha parlato con Pappalardo – insieme affettuoso. Del resto, il rapporto fra i due è di vecchia data. In passato l’ex picconatore ha sempre difeso il colonnello “quando ingiustamente accusato”» (Barbara Jerkov, Un faccia a faccia di due ore e Cossiga piegò il colonnello, ivi, 1 aprile 2000).

[38] «Nel 1992 Pappalardo diventa sottosegretario alle Finanze eletto con i socialdemocratici e, nel pieno di Tangentopoli, si erge a “paladino dei cittadini contro la corruzione del potere politico”. Nel 1993 il colonnello antitangente si candida alla poltrona di sindaco di Roma con il movimento Solidarietà democratica. Spiegava: “Molti cittadini mi fermano e mi dicono di non mollare, di fare politica. Noi sosteniamo la necessità di un capovolgimento completo, il nostro simbolo infatti è il mondo rovesciato. I politici non fanno nulla per i cittadini”. La lista naufraga. Ma Pappalardo, più tenace di un mastino con l’osso in bocca, ci riprova nel 1994 con An alle Europee. Un altro buco nell’acqua» (Torna Pappalardo, carabiniere anti-Pci, ivi, 26 agosto 2000).

[39] Jerkov, op. cit.

[40] Ibid.

[41] «Che sia stata una telefonata tra il generale Siracusa e Gianfranco Fini a convincere il leader di An a moderare i toni sul caso Pappalardo? Dice Giulio Maceratini, capogruppo di An al Senato: “Non so se Gianfranco abbia parlato con il comandante generale dell’Arma, so solo che io ho maturato una posizione diversa dalla sua. Trovo più corretto, più opportuno, chiedere le dimissioni di Siracusa, come hanno fatto i miei senatori Filippo Ascierto e Antonio Palombo”. Sembravano soli, un po’ isolati, Ascierto e Palombo, entrambi un passato nell’Arma, entrambi convinti che la testa del generale debba essere sacrificata. “La loro è una posizione personale, non del partito”, avvisava venerdì sera, con fulminea nota di precisazione, l’ufficio stampa di An. E Fini, da Potenza, a denti stretti: “Da noi c’è libertà di pensiero”. “I colleghi sono stati inopportuni”, tuonava, allineato, Maurizio Gasparri un fratello nella Benemerita. Dietro le quinte, l’ex sottosegretario all’Interno del governo Berlusconi pare fosse, in realtà, perfettamente d’accordo con la richiesta di dimissioni presentata dai due colleghi, salvo poi cambiare idea e “scaricarli”. […] dice Selva: “Sono figlio di un maresciallo dei carabinieri. Mio padre mi raccontava sempre che non c’era notizia che potesse sfuggire al comando generale. Invece in questa storia del documento di Pappalardo mi sembra di trovarmi davanti alle scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano» (Alessandra Longo, An insiste sulle dimissioni e Fini va in “minoranza”, ivi, 2 aprile 2000).

[42] Umberto Rosso, Brutti finisce sotto accusa. Lo salva il soccorso di Minniti, ivi, 1 aprile 2000.

[43] Ibid. Qualche giorno dopo il voto, il 4 aprile, l’Unità pubblica un articolo di Pietro Folena che si scaglia contro Aliquò accusandolo di aver pilotato l’uscita della notizia sul dossier Pappalardo. Aliquò risponde sul quotidiano con una lettera aperta in cui giudica la «lettura» che «Folena offre del “caso Pappalardo” […] assolutamente fantasiosa per giungere a delle conclusioni inaccettabili», e si chiede «per quale motivo si cerchi oggi di confondere, con tanto accanimento, la posizione di chi ha condotto una coraggiosa battaglia civile per evidenziare i limiti di un testo normativo con quella di chi, in modo oscuro, compila inaccettabili dossier». Ma l’attacco continua e «sulla base di un perverso ed inaccettabile parallelismo dolosamente suggerito da alcuni personaggi (in primis il senatore a vita Cossiga) tra il Colonnello Pappalardo (nel frattempo rimosso dall’incarico e denunciato alla Procura militare) ed il Segretario Nazionale dell’A.N.F.P. dr Aliquò, si invocano anche per il secondo provvedimenti punitivi; che, preannunciati pubblicamente dallo stesso Ministro dell’Interno Bianco, puntualmente arrivano. Il 6 aprile, infatti, al nostro Segretario Nazionale è recapitata una pretestuosa contestazione di addebiti per aver, attraverso le sue esternazioni sulla vicenda, “arrecato disdoro all’immagine dell’Amministrazione”» (Legge 78/2000: Riordino delle Forze di Polizia, cfr. n. 10). Aliquò ribatte punto su punto impartendo «una vera e propria lezione di diritto sindacale e di cultura della democrazia alle “menti sopraffine” che hanno tentato di colpirlo. Il procedimento, in seguito, si chiuderà senza l’adozione di misure disciplinari, con un provvedimento di archiviazione che però, lungi dal riconoscere le ragioni del Segretario Nazionale e del diritto, assomiglia piuttosto a un’inaccettabile assoluzione per mancanza di prove”» (ibid.).

[44] «Il governo non sapeva. E non sapevano nemmeno i vertici dell’Arma. È la linea che Sergio Mattarella, questa mattina alle undici, esporrà a Palazzo Madama rispondendo alle interrogazioni presentate sul caso Pappalardo. […] Intanto non si placa lo scontro politico. A Fini, che afferma “la sinistra conosce i veri autori del documento Pappalardo”, replica Mussi. “Qui – dichiara il capo dei deputati ds – siamo alla distribuzione non controllata di veleni. Questa è certamente una destra, ma né liberale, né europea, né moderata. Non possiamo che rivolgere un severo appello al senso di responsabilità”» (Lo scontro sui carabinieri. Mattarella oggi al Senato, in la Repubblica, 3 aprile 2000).

[45] «Il vice presidente del Consiglio Sergio Mattarella è siciliano. Ed in perfetta sintonia con le proprie origini ha sostenuto in Senato che nella vicenda Pappalardo il governo non c’entra assolutamente nulla. Come dire che nel gigantesco guazzabuglio dei tentativi di conquista o condizionamento dell’Arma dei Carabinieri la coalizione guidata da Massimo D’Alema non c’era. E se c’era dormiva. […] Se avesse ammesso che un qualche rapporto tra Palazzo Chigi ed il colonnello Antonio Pappalardo non è mancato, nessuno avrebbe potuto affondare più di tanto i colpi su Massimo D’Alema. In fondo è normale che il Presidente del Consiglio possa sentire il massimo rappresentante sindacale dei Carabinieri alla vigilia del varo della legge di riforma dell’Arma. Nell’epoca della concertazione è scontato che il capo del governo, così come consulta e s’accorda con i segretari delle grandi confederazioni sindacali, si consulti e si accordi anche con il principale rappresentante di un importante corpo dello stato. Soprattutto quando appare del tutto evidente che questo rappresentante non si muove solo in nome e per conto degli aderenti al Cocer ma anche della struttura di vertice dell’Arma. Qualcuno potrà anche dire che l’interesse del Presidente del Consiglio è di natura politica ed è diretto ad estendere l’egemonia del proprio partito anche su quella fetta delle istituzioni dello stato che è rappresentata dai carabinieri. Ma dov’è lo scandalo dopo che i DS si sono accaparrati parte della magistratura, l’intero servizio pubblico e privato radiotelevisivo [sic!], il resto delle Forze Armate, la Polizia, larghi settori del mondo burocratico e diplomatico, due confederazioni sindacali su tre ed hanno stabilito accordi di ferro con tutti gli altri “poteri forti”? Mattarella, al contrario, ha negato tutto. Il governo non c’era e se c’era dormiva. E comportandosi come una sorta di caricatura del siciliano omertoso non ha fatto altro che confermare clamorosamente tutti i sospetti che si sono accumulati sul governo nella vicenda Pappalardo. Non solo tutti c’erano, da Massimo D’Alema in poi. Ma tutti erano assolutamente svegli. E puntavano ognuno a ricavare il proprio interesse. Il presidente del Consiglio a blandire e conquistare politicamente l’Arma dopo aver blandito e conquistato la Polizia e le Forze Armate. Ed i carabinieri ad ottenere una riforma che non sarebbe mai passata se la sinistra fosse stata all’opposizione invece che al governo. Mattarella, in altri termini, ha messo in evidenza che l’intera questione non è altro che l’ennesima dimostrazione di come la sinistra concepisca lo stato. Non come una istituzione da difendere in nome degli interessi generali ma come un terreno da conquistare in nome del proprio interesse a conservare ad ogni costo il potere. Chissà che gli elettori del 16 aprile non ne traggano l’ispirazione per mandare a quel paese gli occupatori con le coppole storte» (Arturo Diaconale, Mattarella, l’omertoso confesso, in L’Opinione, 4 aprile 2000).

[46] Nando dalla Chiesa – Maurizio Scoppa, L’Arma e la fiducia, in MicroMega, 4/2001, p. 68.

[47] Scalfari, op. cit.

[48] Fazzo, op. cit.

[49] Ibid.

[50] Bocca, Quelle paure dei politici, cit.

[51] «Sono molto amareggiato, sono un ufficiale che ha sempre e solo cercato di curare gli interessi della base, dei suoi uomini. In un giorno ho perso tutto. E sono stato lasciato solo» (Claudia Fusani, Cocer, Pappalardo sotto torchio, in la Repubblica, 11 aprile 2000).

[52] «“A quanto pare non sono così isolato” ha commentato il colonnello appena tornato da un lungo periodo di ferie» (Il Cocer su Pappalardo: «Dimissioni non valide», ivi, 4 maggio 2000). Cfr. anche Cocer, battaglia sulla presidenza davanti al Tar, ivi, 3 giugno 2000.

[53] Cfr. Giovanni Maria Bellu, Cocer, «Assolto» Pappalardo, ivi, 4 luglio 2000.

[54] Pappalardo: «L’arma mi ha zittito», ivi, 30 luglio 2000.

[55] Torna Pappalardo…, cit.

[56] «In questi giorni, nel mentre i due poli fanno le solite manovre in previsione delle elezioni politiche della primavera del 2001, i cittadini in uniforme, guastando loro la festa, si profilano e, per la prima volta nella storia della Repubblica, intendono fare politica. C’è chi, come me, ha aderito ad una associazione culturale “Nuova prospettiva”, che potrebbe trasformarsi in un movimento politico, così riunendo la maggior parte dei militari sotto un’unica bandiera […]. Insomma l’acqua bolle e i politici, invece di essere contenti che ben 3.840.000 uomini in uniforme, in servizio e in congedo, finalmente divengono pienamente cittadini esercitando i loro diritti politici, se la fanno letteralmente addosso, temendo, più che colpi di testa dei militari e dei poliziotti, che sanno bene essere mossi da forti sentimenti democratici, perdita di consensi da parte dei cittadini che finalmente possono avere uno schieramento veramente alternativo, di persone oneste, laboriose e che negli oltre cinquant’anni di Repubblica, in parecchie occasioni hanno vinto sfide terribili, come per esempio quelle contro la mafia e il terrorismo. […] sono certo che gli uomini in uniforme decideranno di fare il proprio dovere di cittadini-militari dando il loro contributo per la crescita di una società più libera, più giusta, più sicura e più umana» (Antonio Pappalardo, I diritti dei cittadini-militari, in L’Opinione, 26 settembre 2000). Sempre su L’Opinione, il quotidiano diretto da Arturo Diaconale, Pappalardo il 18 ottobre 2000 pubblica Gli occhi tristi della gente, un ennesimo articolo di autopromozione. È una risentita analisi sociologica non priva di patetismo: «Abituato da Presidente del COCER Carabinieri e da Comandante di reparti dell’Arma a muovermi con l’auto di servizio, dopo l’ingiusta estromissione dai miei incarichi con l’infamante accusa di essere un golpista, mi sono ritrovato più volte a decidere se recarmi al centro di Roma, in cui abito, con la mia autovettura privata oppure con l’autobus. Preso da rinnovato giovanile entusiasmo, ho scelto il mezzo pubblico. Nell’autobus, pieno come un carro bestiame, stipato insieme ad una folla infastidita per il disagio, ho incontrato tanti sguardi ostili, spenti, ma soprattutto tristi. […] Ma perché tanti avevano gli occhi tristi? Certamente per i disagi quotidiani che procura una metropoli disorganizzata, soffocata dalle automobili, difficile da vivere, per il disorientamento causato da una classe dirigente politica rissosa, contraddittoria e autoreferente, per l’incertezza del futuro che si prospetta sempre più incomprensibile, tecnologizzato e ostile, per l’angoscia causata dalla scarsità di lavoro e di sicurezza, per la frustrazione che procura un ambiente urbano e naturale deturpato. Ma c’era qualcos’altro che mi sfuggiva, che non riuscivo a raccogliere. Poi ho capito: la tristezza degli occhi della gente dipende più verosimilmente dal fatto che i cittadini non hanno più alcun riferimento morale, non credono più in alcun valore. Sono demotivati e delusi! La nostra democrazia è stanca. È stanca di essere il regno dell’arbitrio, la giungla dove vige la legge del più forte. Stanca di servire da terreno di battaglia per le risse politiche. Stanca di essere sfruttata da amministratori amorali e corrotti. Ha bisogno di essere rinnovata, rivitalizzata. E per fare ciò occorre che il cittadino si impegni in prima persona, esca dal suo guscio di semplice privato, si interessi attivamente delle problematiche della vita politica. E può fare tutto ciò inserendosi, con dinamismo particolare e forte tensione morale, in quelle associazioni di impegno sociale, che sempre più stanno sostituendosi alle strutture che tradizionalmente fanno politica. Una di queste Associazioni è “Nuova prospettiva”, alla quale ho aderito con la speranza che possa accogliere altri che come me vogliono contribuire al miglioramento della nostra società. Non solo a parole, ma soprattutto con i fatti».

[57] Liana Milella, Tra i militari cresce la voglia di partito, in la Repubblica, 19 settembre 2000.

[58] Id., E nel fortino del Viminale Masone si gioca il potere, ivi, 24 febbraio 2000.

[59] Nella seconda settimana di ottobre L’Espresso pubblica una lettera che Pappalardo aveva inviato a Siracusa nel giugno, nella quale, oltre a ricordare che il dossier era conosciuto in tutta l’Arma, sosteneva che un intero capitolo «era stato scritto dal generale Venditti, attuale capo di stato maggiore». Il comando generale reagì subito dichiarando che «La lettera, che conteneva affermazioni palesemente destituite di ogni fondamento, è stata a suo tempo tempestivamente rimessa alle valutazioni dell’autorità giudiziaria» (Il dossier? Mi aiutò Venditti, in la Repubblica, 13 ottobre 2000).