di Valerio Evangelisti
[Da oggi e per alcuni giorni pubblicheremo interventi di alcuni redattori di Carmilla — diversi per lunghezza, approccio e contenuti – sull’11 settembre 2001 e su ciò che ha rappresentato.]
Per parlare dell’evento in sé bisognerebbe conoscerlo. Anche senza essere complottisti accaniti, va riconosciuto che l’amministrazione statunitense ha diffuso dei fatti dell’11 settembre versioni lacunose e per nulla credibili. Enormi aerei passeggeri che aprono un buchetto o vi scompaiono, lunghe telefonate dal cielo in aree da cui chiamare col cellulare era impossibile, aviatori dilettanti che si scoprono capaci di pilotare un jet in circonvoluzioni acrobatiche, strani integralisti musulmani che frequentano prostitute, bevono alcool e, una volta ufficialmente morti, risultano vivi e vegeti. E su tutti, troneggiante, questo bizzarro Osama Bin Laden mutevole d’aspetto, che parla solo in video e che da ultimo è apparso con una barba vistosamente tinta, così ringiovanito che Berlusconi dovrebbe prendere lezione da lui. Bah.
Se ciò che è accaduto davvero l’11 settembre è ancora ignoto, e lo resterà per decenni (se non per sempre), le conseguenze sono chiare a tutti. Un “Patriot Act” già redatto viene tirato fuori dal cassetto per limitare le libertà degli americani e, quale ricaduta, del resto del mondo. Sono legittimati tortura e arresti arbitrari. E’ compilata una lista di “Stati canaglia” sostenitori del terrorismo, in cui figura Cuba (oggetto di centinaia di attentati terroristici ispirati dagli Usa) ma non l’Arabia Saudita, patria ideale di ogni integralista musulmano e patria concreta dei presunti diciannove dirottatori dell’11 settembre, con in più lo stesso Bin Laden e la sua famiglia, in affari con i Bush padre e figlio e vicini alla casa reale.
Viene soprattutto scatenata a suon di menzogne la guerra più imbecille, feroce e inutile della storia — quella contro l’Iraq, il paese che, con la Siria, più combatteva l’estremismo islamico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Dove non c’era integralismo fanatico, adesso gronda. La guerra non è vinta per niente: si direbbe che gli Stati Uniti e i loro domestici occidentali puntino piuttosto a volgerla in guerra civile (e questo è l’unico successo che possano vantare). Non esiste una sola istituzione solida, non c’è un giorno senza una caterva di morti, per lo più innocenti. L’Iraq “liberato” è una semplice macchia di sangue sulla carta geografica, al pari della Somalia, del Kossovo e degli altri teatri degli interventi “democratici”, “umanitari” e “preventivi” della Nato.
Un vero capolavoro da parte di chi aveva già avuto la bella idea di mettere a capo dell’Afghanistan, “liberato” anch’esso, un ristoratore e affarista non riconosciuto da nessuna delle parti in conflitto, con l’esito di fare del paese un epicentro del traffico di droga e di innescare una guerra civile e per bande di cui non è possibile scorgere il termine. Tali sono i risultati del colonialismo rivisitato.
Aspettiamocene altri. Autori di centinaia di invasioni e soggiogamenti militari, ben prima della “guerra fredda” e della stessa rivoluzione bolscevica, i governanti statunitensi si ritengono investiti di un sacro mandato a governare il mondo. Naturalmente, se non esiste un nemico apparente, interno o esterno, va fabbricato.
Dopo i comunisti, ecco gli integralisti islamici (o i guerrafondai iraniani, o gli infidi cinesi, ecc.). Moltiplichiamoli pure, l’importante è che il globo — inclusi gli stessi americani — sappia chi tiene le redini.
Mi dispiace dirlo, ma l’11 settembre 2001 sembra fatto apposta per rilanciare una dottrina del “destino manifesto” su scala globale. E forse è stato proprio così.