di Alberto Masala
[Pubblico questo intervento del poeta Alberto Masala (1) a commento dell’ultima porcheria del sindaco di Bologna Sergio Cofferati: la completa demolizione, due giorni fa, del centro sociale Crash, una delle realtà giovanili bolognesi più vive e attive sul territorio, un polo culturale importante. In appendice, alcune note del sottoscritto sul Crash. La vignetta qui a lato è di Nico Roby Sole.] (Valerio Evangelisti)
una mattina d’estate, nella città vuota e silenziosa, le ruspe di cofferati hanno appiattito il CRASH, uno degli ultimi spazi di sopravvivenza a bologna
questa città è un cimitero
del pensiero
del gesto
della socialità
dell’amore
bologna, con i suoi governanti, sta morendo: è un caso evidente di accanimento terapeutico bologna la mediocre, la superficiale, l’astiosa, l’arrogante…
bologna che millanta cultura e chiude gli unici spazi dove ancora si respira
bologna con i suoi ‘artisti’… i suoi ‘scrittori’…
ben aggrovigliati al proprio ego abnorme…
giovanilisti di quartiere, comici da salotto, indignati da dopo-strage, poeti da tavolino, avanguardie autoproclamate del nulla…
dove siete? in quale piazza state cospirando? in quale sotterraneo organizzate la resistenza? a quali ferite esponete il vostro prezioso corpo? a quale dolore il vostro spirito? dove siete? in quale festival dell’unità, con quale aperitivo state confortando la vostra vergogna?
in africa, ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia, a bologna, ogni spazio che chiude distacca un tubo d’ossigeno a questa città morente
solidarietà attiva (se c’è bisogno… un fischio) e passiva (interiore) al crash
1) Alberto Masala è un poeta sardo residente a Bologna, noto forse più negli Stati Uniti (grazie a un lungo sodalizio con Lawrence Ferlinghetti e altri della Beat Generation) che in Italia. Tra le sue raccolte, la più recente è Geometrie di libertà, ed. Zona, 2003.
LA NOTA PREANNUNCIATA
[Il Crash – Laboratorio del precariato metropolitano sorgeva all’estrema periferia di Bologna, in un magazzino in buone condizioni ma abbandonato da anni. Nessuna casa attorno, dunque nessuna possibilità di arrecare disturbo. Nessun problema di “ordine pubblico”. Invece, un’affluenza di centinaia di giovani e giovanissimi, sia di quartiere, in una zona che non offre praticamente nulla, che provenienti da altre parti della città. Motivo d’attrazione, una vivacissima attività culturale: rassegne cinematografiche, presentazione di libri, un’affollatissima serata con Stefano Benni, ecc.
Ma il Crash dava fastidio, penso, per la sua connotazione politica, e la partecipazione a iniziative come la marcia contro il CPT e la contestazione a un comizio razzista di Forza Nuova. Soprattutto, sul centro sociale si abbatterono, indirettamente, gli strali dell’Associazione delle vittime della strage del 2 agosto, sotto la direzione di un Paolo Bolognesi che fa di tutto per somigliare a un Vishinskij. Colpa del Crash era avere ospitato un Oreste Scalzone (“terrorista” che non ha mai ucciso nessuno, salvo i martiri della sua loquela e delle sue canzoni) e soprattutto un Renato Curcio, venuto a parlare non delle BR, ma dei temi di cui si occupa attualmente: immigrazione, emarginazione.
Suppongo – ma è solo una supposizione – che dopo l’imbarazzante discorso di Bolognesi del 2 agosto 2007, in cui lanciava attorno accuse di connivenza col terrorismo, la sorte del Crash fosse segnata. Cofferati, invasato dagli spettri della “legalità” (pare l’unica cosa di cui si occupi, in una Bologna che spegne gradualmente le luci), era l’uomo adatto a recepire i segnali.
Ecco dunque le ruspe, in barba a una delibera di comodo (16 agosto) che decideva non già di distruggere, bensì di recuperare un magazzino da tutti dimenticato. E’ crollato il baretto, che vendeva birra e altro a prezzi politici; sono scomparsi i murales, tra i più belli dipinti nei CSOA della città; è cessata un’attività culturale di primissimo piano. Lo sceriffo di Bologna seguita a cagare merda attorno, con cui cerca di seppellire ogni cosa viva. Odia questa città in cui è stato trapiantato quanto noi, Bologna notturna e concreta, lo odiamo.
Avrà, spero, la risposta che merita. Non i proiettili che giungono per posta ogni tanto a lui o all’alto clero, probabilmente autospediti. Qualcosa di più serio: uno sputo in faccia, proveniente dalle vie di una città che non conosce, che odia e che non sa amministrare. Dannati picisti, a distanza di trent’anni mi tocca tornare a chiamarli così. Li odio oggi come ieri. Spero che i compagni del Livello 57, del TPO, del VAG 61 ecc. passino sopra alle differenze e tengano duro. Prioritario è sbarazzarsi di un sindaco serial killer che vuole eliminare l’Altra Bologna. La sola Bologna viva e umana, necessariamente antagonista.] (V.E.)