di Lucio Angelini
Vibrisselibri è una casa editrice “anfibia” sorta nel giugno 2006: cerca il nuovo e l’insolito attraverso una rigorosa (e gratuita!) opera di scouting, ne pubblica on line i frutti migliori, rendendoli leggibili e scaricabili (sempre gratuitamente) secondo la formula del copy-left) e proponendoli poi agli editori tradizionali per un’eventuale versione cartacea. Il sito è www.vibrisselibri.net.
Vibrisselibri è figlia di una febbre di mezza estate di Giulio Mozzi, che intendeva soprattutto lottare editorialmente contro la cosiddetta “logica del profitto”, dando visibilità a testi letterari ritenuti interessanti indipendentemente dalla “speranza di lucro” loro attribuita. Volontariato culturale bello e buono, da parte di tutti gli aderenti all’iniziativa: una sessantina di persone circa.
Come coordinatore del comitato di lettura, ero ancora frastornato dalla scorpacciata di rutilanza e barocca giocosità (o giocosa barocchità) de “L’organigramma” di Andrea Comotti, che il mago Giulio aveva tirato fuori dal proprio cappello al grido di “Ecco un primo libro da valutare!”, quando rimasi profondamente colpito dalla straordinaria semplicità di scrittura di Eugenio De Medio, che tuttavia proponeva una storia forte e vera. Se l’era tenuta dentro per decine d’anni, prima di decidersi a condividerla pubblicamente (cambiando solo qualche nome). Da subito mi parve uno dei libri più credibili mai scritti sul tema della violazione dei minori e sulle devastazioni psicologiche che possono derivare da esperienze del genere, soprattutto se subite in giovanissima età (sei anni, nel caso di Nenio). Lo scopo di De Medio non era stato tanto quello di sfogarsi-catartizzarsi, quanto quello di dare esemplarità alla propria storia per contribuire ad aumentare il grado di consapevolezza intorno a un problema diffuso e tragico. Così la scrittura di De Medio e quella di Comotti, i primi due romanzi pubblicati da Vibrisselibri, si collocavano agli estremi opposti: ricerca a volte persino esasperata dell’innovatività stilistica in Comotti che, per dire che faceva caldo, arzigogolava: “Il sole cossigava a picco e anche la sete di Nicotrain picconava apicalmente da non poter dilazionare oltre il rendez-vous col bicchiere mezzo litro di tè freddo alla pesca” [Giulio mise nell’oggetto di una mail interna “Il sole cossigava calmo e placido al passaggio eccetera”]; estrema sobrietà di ricostruzione in De Medio, che evocava un mondo infantile inizialmente tranquillo, o appena turbato da sensazioni di inadeguata attenzione parentale (Nenio nasce per un “incidente di vecchiaia”, non esattamente desiderato, ultimo di ben sei fratelli) fino alla devastante IRRUZIONE del tragico nel suo quotidiano infantile, con l’angoscioso senso di colpa che gliene derivò, il terrore di essere rimasto “incinto”, i primi segni della disgregazione.
Nenio (titolo bellissimo, che fa pensare sia a una dolcissima nenia, sia a “El Niño” [il disturbo del sistema atmosferico oceanico del Pacifico tropicale che ha importanti conseguenze per il clima di tutto il pianeta, n.d.r.]) ci racconta di quel che seguì: i tic nervosi, le lenzuola piene di buchi perché tenute strette tra i denti durante il sonno, la diffidenza verso tutto e tutti, il terrore di sedersi sul water da cui potevano salire mostri orrendi, la disperata ricerca di spiegazioni e informazioni, i conflitti religiosi, la voglia di raccontare tutto ai genitori, frenata dalla paura di non essere creduto e da quella delle crudeli rappresaglie di Glauco, l’autore delle ripetute violenze, che, come fin troppo spesso accade, si consumano proprio al riparo di un rassicurante tetto domestico. Poi la vita, in qualche modo, riprese a scorrere apparentemente tranquilla, ma è difficile che i traumi subìti nell’infanzia non continuino a scavare nella nostra psiche, corrodendola a poco a poco, soprattutto se non adeguatamente elaborati, e quando, da adulto, Eugenio De Medio divenne architetto con specializzazione nello studio e conservazione dei beni culturali, dovette dolorosamente provvedere, con l’aiuto dell’analisi, non solo alla progettazione degli spazi ma anche alla ricostruzione e al restauro delle rovine della propria identità. Gli episodi selezionati, le atmosfere, i luoghi sono evocati con grande precisione e freschezza. Il libro si apre e si chiude con la trascrizione della voce registrata dell’analista che induce il protagonista all’autoipnosi, per favorire lo smantellamento dei blocchi interiori.
Un beneaugurante (per Vibrisselibri e per il libro in sé) episodio del romanzo di De Medio è “La nuvola”:
“Il vento si era finalmente deciso a disegnare con maestria, nel cielo limpidissimo, una bianca penna d’oca, grande, perfetta, con la punta rivolta verso il basso, la rachide ben definita e le barbe lievemente ondeggianti. Pareva quasi pronta a scrivere chissà quale lapidaria frase sulla candida pagina della mia vita…(cut)… Mi chiedevo come mai mia sorella non avesse visto quello che per me era stato così evidente, lassù, davanti ai nostri occhi. Forse si era trattato di un segno divino indirizzato solo a me, come quello apparso a San Paolo di cui ci avevano parlato alla dottrina la settimana prima. In fondo non sognavo di diventare papa?… Ma forse no, forse sarei dovuto diventare soltanto uno scrittore. Ecco, sì, uno scrittore! E non certo prima di avere raggiunto la stessa età del mio papà, che era corrispondente dell’ANSA, in modo da avere il tempo di accumulare sufficienti argomenti di cui scrivere. Archiviai la faccenda tutto felice per quello che avevo interpretato come un inequivocabile messaggio rivolto espressamente a me, da tenere segreto.”
Ed effettivamente Eugenio De Medio è dovuto arrivare alla cinquantina d’anni prima di trovare il coraggio di approfittare dei dolorosi “argomenti” accumulati, secondo la profezia ricevuta da bambino. Ha scritto una lettrice (Maria Cristina Di Luca, detta ‘Criscia’): “Non c’è solo la storia di un bambino a cui hanno rubato l’infanzia, ma anche una storia personale di crescita, di rinascita, di un ragazzo che osserva il mondo con occhi diversi rispetto ai suoi coetanei. Insomma io l’ho trovato tenero, appassionante, pungente, doloroso e liberatorio.”