di Valerio Evangelisti (da Robot n. 47)
Zitti zitti, quatti quatti, gli animaloni sono tornati al cinema. Quali animaloni? Quelli grandi e grossi perché sottoposti a radioattività, mutati per fini militari, rimasti sepolti in zone inaccessibili della terra o del sottosuolo. Il campionario è variopinto. Ci sono anzitutto i coccodrilli (vedi Lake Placid) gli alligatori e i caimani, bestie che al cinema abbiamo visto crescere a dismisura una quantità di volte, e dunque, c’è da presumere, particolarmente inclini al rigonfiamento. Seguono i ragni (Arachnid, Arak Attack), anch’essi storicamente soggetti a processi abnormi di dilatazione corporea. Vengono poi i pipistrelli (Bats), che, più che sulle dimensioni, fanno affidamento sul numero e sulla cattiveria. Seguono i serpentoni (Anaconda, Boa, quest’ultimo, ahimé, ancora inedito in Italia), i polipi (Octopus e Octopus II, anch’essi inediti), gli insetti di specie strana (Mimic, Mimic 2), i lucertoloni (Komodo, mai arrivato da noi forse perché il titolo, nella pronuncia italiana, dà una falsa idea del contenuto), e tutta una pletora di scarafaggi (They Crawl, visto solo in TV), bacherozzi, vespe e fauna varia (1).
In pratica, dopo un paio di decenni di inattività o di sortite sporadiche (si pensi a Tremors, ad Arachnophobia, a qualche filmetto minore), gli animali giganteschi che avevano imperversato dagli anni Cinquanta ai Settanta sono tornati in massa nelle sale cinematografiche o, più spesso, sui teleschermi, a reclamare i loro diritti. Va detto che alcune specie importanti mancano all’appello. Anzitutto i formiconi che, dal classico Assalto alla terra fino al sottovalutato L’impero delle termiti giganti di Bert I. Gordon, avevano tradizionalmente aperto la via dell’invasione. Anche le mantidi omicide e gli scorpioni neri non ci sono più, ed è un gran peccato. Personalmente, però, rimpiango soprattutto la zoologia secondaria, legata agli ultimi titoli della prima stagione del filone. Penso ai terrificanti lombrichi dentati de I carnivori venuti dalla savana, film adatto solo a stomaci forti (anzi, molto forti, a meno che non si sia grandi appassionati di lombrichi); ai topi colossali de Il cibo degli dei (1 e 2); ai buffi conigli assetati di sangue de La notte della grande paura; alle lumache che proliferavano allegramente nel ridicolo e disgustoso Slugs.
E tralascio, per senso delle proporzioni artistiche, squali e piranha ben noti a tutti, appartenenti a un altro tipo di cinema. Non sempre migliore (si vedano i piranha alati di un Jeff Cameron che ancora stentava a sbarcare il lunario, o il moltiplicarsi di squali sempre più bolsi e di imitazioni degli squali bolsi, tipo il noiosissimo e imperdibile Tintorera), ma comunque legato a un altro genere di fruizione.
Espresso il dovuto rimpianto per gli animaloni perduti o non ancora recuperati, torniamo alla fauna rediviva. I prodotti consacrati alla sua resurrezione sono di qualità variabile. Mimic, per esempio, sfiora l’eccellenza, quanto meno sotto il profilo tecnico (e anche Mimic 2 non è affatto male, secondo me: mai si era visto uno scarafone gigante e semiumano portare un mazzo di fiori alla ragazza che ama, e riuscire persino a commuoverci). Lake Placid è apertamente autoironico, e potrebbe persino essere definito un gioiellino. Arachnid, girato dal geniale Jack Sholder con i quattro spiccioli ricevuti da Brian Yuzna, è quanto meno piacevole, e beneficia della recitazione di una giovane attrice inglese, Alex Reid, che se uscisse dal circuito delle filodrammatiche avrebbe le carte per essere una potenziale Sigourney Weaver (il torto della graziosa Alex è di spogliarsi troppo poco, anche se certo più della Weaver).
Il resto è pianto e stridor di denti. Arak attack non compete nemmeno con Arachnid, malgrado i mezzi maggiori; quanto al fatto che rechi l’etichetta Ronald Emmerich (alla produzione) fa pensare a un genere alimentare che, sulla scatola, porti la scritta: “Garantito: è pura merda”. Bats sarebbe interessante se, mentre i pipistrelli attaccano, si riuscisse a capire qualcosa. Anaconda vive dei dieci minuti finali, preceduti, ahimé, da un’ora e mezza che fa pensare a La regina d’Africa rifatto dalla compagnia di prosa dell’oratorio parrocchiale. They crawl l’ho già dimenticato, o forse rimosso. Degli altri film conviene tacere.
Bisogna però interrogarsi sul significato sociologico di questo ritorno in massa delle bestie giganti. Uno si interroga e la prima risposta che gli viene in mente è: nessuno. Poi ci ripensa e, ancora una volta conclude: niente, zero, nessun significato. Allora, insoddisfatto del risultato, rievoca il senso attribuito ai mostri degli anni Cinquanta e successivi: incombere della minaccia nucleare, timore di un nemico che non si conosce. Attualizza la questione e l’applica al presente, cominciando con i gruppi di potere che governano l’Italia e il mondo. No, il paragone non regge: non vi sono stati ancora rifacimenti de Il cibo degli dei, con le sue orde di topacci. Azzarda quindi l’ipotesi che il bestiario anomalo rifletta il terrorismo integralista, che è piovra, serpente, ragno e quant’altro. Mmm, non è paragone che convinca. Chi combatte gli animaloni, nei film, raramente li ha creati e alimentati.
E dunque? Il nostro spettatore amletico conclude che, nel fornirgli uno spettacolo insensato, probabilmente lo hanno preso per un idiota. Si stira sulla poltrona con le movenze di un ragno, si raddrizza con le contrazioni lente di una piovra, caracolla verso la camera da letto come farebbe un coccodrillo, si addormenta rannicchiato a mo’ di serpente. La moglie, avvolta nelle coperte di fianco a lui, sembra un bacherozzo.
(1) Quando questo articolo è stato scritto, non erano ancora arrivati in Italia alcuni seguiti, come Mimic 3 (niente male), Anaconda 2 (molto migliore del primo) e il bizzarro incrocio Anaconda vs Komodo.