di Darko Suvin (trad. di Francesca Valentini)
2. Pro e Contro
CONTRO: Prenderò qui in esame come primo testo la Summa Technologiae, scritta (incredibilmente) intorno al 1960 e pubblicata in polacco alcuni anni più tardi. Si tratta di una descrizione panoramica, all’epoca certamente ineguagliata, delle possibilità tecnologiche dei decenni e forse dei secoli futuri, che comprende riflessioni ben informate ed esaustive su civiltà cosmiche, “macchine pensanti” (l’intellettronica, per usare la terminologia di Lem), la costruzione di mondi artificiali più perfetti dell’attuale spazio virtuale (la “fantomatica”), e molti altri aspetti dell’”evoluzione tecnologica”. La prima volta che lo lessi fu nell’edizione russa degli anni ’70, che poi confrontai con l’originale polacco e con la traduzione tedesca del 1981, basata sulla terza edizione polacca; ho combattuto invano per un quarto di secolo affinché fosse tradotta negli Stati Uniti – nessuno voleva rischiare il denaro necessario a tradurre 600 pagine di un testo difficile scritto da uno straniero in una lingua sconosciuta. Ma, mentre do per scontato che anche oggi potremmo imparare molto da quest’opera, trascurerò totalmente le idee e i temi più significativi per concentrarmi invece su un presupposto chiave che definisce e limita l’opera: questo libro riguarda la progettazione di piani grandiosi senza una sola parola su chi sarà destinato a realizzarli.
È un libro privo di un soggetto agente. Più precisamente, il soggetto è allegorico: è un attante umano molto anemico e astratto (Condorcet ne sarebbe stato fiero, e in realtà Lem una volta dichiarò che il suo secolo preferito era il Settecento, sebbene pensasse più a Hume e al vescovo Berkeley). La tacita premessa è che l’umanità futura non solo sarà unita ma anche priva di tutti gli antagonismi tra ed entro i sistemi che hanno invece caratterizzato il XX secolo, che Lem chiamava “capitalismo in crisi” e “socialismo degenerato” (negli anni ’50 Lem aveva pensato che il socialismo fosse il primo sistema dotato di un approccio scientifico alla società umana).
Un altro elemento completamente sottaciuto, come si addice allo scientismo agnostico, è la religione (o piuttosto qualsiasi orizzonte articolato di valori), alcuni aspetti della quale (teologici e rituali, direi) affascinavano Lem ma vennero qui banditi. Ogni realizzazione delle grandiose possibilità previste da Lem presuppone l’assenza di problemi quali le guerre, la fame, la povertà, le malattie evitabili (cioè la grande maggioranza), i conflitti di interesse tra gruppi o classi sociali opposti, l’oppressione da parte di enormi apparati politico-economici come la burocrazia e simili. Il portabandiera dell’intellettronica, della fantomatica, delle architetture cosmiche (ricostruzioni di sistemi solari) di Lem potrebbe essere soltanto un concorrente tecnoscientista della marxiana società senza classi, in cui lo slogan comunista “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” (Critica del Programma di Gotha) avesse realmente trionfato. Ma non pare esistere alcun collegamento tra i lettori del periodo 1960-1980 e quel futuro. A tal punto lo stalinismo aveva castrato persino un pensatore dell’eccellenza di Lem.
Spero di non essere frainteso: ho grande simpatia per molte visioni della Summa technologiae, una fusione tra un’Encyclopédie razionalista aggiornata all’era cibernetica e spaziale e la Summa theologiae di Tommaso d’Aquino. Se fosse stata tradotta in inglese in tempo utile, i suoi brillanti fuochi d’artificio ideativi ci avrebbero risparmiato tanti vicoli ciechi e molte discussioni, o perfino azioni, inutili. Ma mi disturba l’esclusione ingiustificata di tutte le contraddizioni reali, eccetto quelle relative alla logica e alla logistica tecniche.
Le premesse del volume sono presupposte ma mai poste. Generalizzando in maniera forse non troppo esagerata su questo capolavoro dossologico di Lem (considerato tale anche dallo scrittore stesso, come risulta dalle sue Conversations con Beres’), potremmo concludere che questa rimozione o non-detto della politica e dell’economia, in breve del reale agire umano e delle forze collettive che lo plasmano, non solo costituisce il limite di Lem ma inquina e forse invalida buona parte delle premesse operative da lui scelte. La depravazione di quasi tutti gli orizzonti tecno-scientifici negli ultimi trent’anni o più, completamente modellati dal profitto e della guerra, devono farci dubitare retrospettivamente di molti princìpi prima insospettati, fino a rifiutarli.
Non parlo soltanto delle pretese assolutiste e cripto-religiose della scienza: Lem possedeva un fiuto magnifico per ogni assolutismo e non cadde in quella trappola. Ma il nostro dubbio deve, più radicalmente, abbracciare anche le metodologie cognitive della scienza istituzionalizzata – in particolare, l’assenza di un soggetto responsabile–per esempio nella cibernetica, la scienza “maestra” per Lem (il suo fondatore, Norbert Wiener, il cui comportamento è ancora un brillante modello per noi, finì per dubitarne proprio per questo motivo). Forse intravedendo il problema, Lem parlò inizialmente di “cibernetica sociologica”: ma nella Summa non c’è alcuna sociologia. Pertanto, il tentativo di spiegare la guerra, la società e la politica economica in quanto dipendenti in ultimo dalla cibernetica, come fece Lem a partire dai Dialogi degli anni ’50, appare un atto di idealismo semi-strutturalista, inutile e alquanto tecnocratico. È vero che nell’edizione ampliata del 1971 Lem parla autocriticamente dell’illusione della cibernetica come “pietra filosofale” del nostro tempo; ma, perduta questa illusione, gli rimase solo il vicolo cieco del pessimismo. Nel tardo racconto fantascientifico camuffato da saggio, Weapons Systems of the 21st Century, la formulazione di Lem suona ancora così: “le tendenze evolutive delle tecnologie più importanti con applicazione militare erano indipendenti dal pensiero umano” (trad. da Waffensysteme des 21. Jahrhunderts, 16-17).
Concludo con un dubbio finale, forse il più eloquente; nella Summa Lem non dice nulla sul tipo di persona che avrebbe dovuto concretizzare le magnifiche invenzioni tecniche e le gesta conseguenti. Nondimeno, Dostoevskij era uno degli scrittori preferiti da Lem, che citò in più di un’occasione Memorie dal sottosuolo. Un simile profilo o ruolo sociale, quello di chi professa un risentimento nietzscheano, sarebbe certamente incompatibile con i sogni a occhi aperti della tecnocrazia di Lem, e pertanto qui non viene considerato affatto; per non parlare poi degli speculatori di borsa, parassiti e guerrafondai, delle nuove imprese imperiali con il loro epiciclo postmoderno.
Inoltre Lem rifiutò la dottrina freudiana (la psicoanalisi), sebbene nella sua narrativa non potesse evitare di procedere basandosi sull’ipotesi dell’esistenza dell’inconscio.Quale genere di identità o coscienza (un termine chiave dei Dialogi di Lem), quale psicologia sociale sarebbe dunque consustanziale alle ricche esperienze estreme della futura età dell’oro degli immensi spazi interiori e siderali? Vorrei proporre che la classica spiegazione dell’Io come atomo indivisibile è un’ipotesi oramai sfumata al pari di quella analoga nella fisica. Se è così, allora la frammentazione dinamica e l’incessante ricomposizione dell’identità in vari ruoli sociali, in particelle subatomiche sociopolitiche per così dire, distrugge anche il pilastro principale della scienza borghese o post-cartesiana, che Lem qui non mette in dubbio: l’Oggettivismo che può mettere tra parentesi qualsiasi soggettività.
Nella Summa non è possibile individuare soggetti dotati di una propria voce e identità: tutti gli attanti allegorici sono maschere della voce narrante Oggettivista; spesso si tratta di robot o di tipici esploratori (che poi nella sua narrativa migliore subiscono strane mutazioni non-Oggettiviste). Tra l’altro, questa a mio parere è forse anche la ragione principale per cui la fantascienza, che non può usare personaggi tridimensionali, era così congeniale a Lem. Ma per la stessa ragione, al di là della vivacità delle sue idee e dei suoi scenari tecnologici, la sua dossologia socio-scientifica appare oggi aver bisogno di un sostanziale ripensamento.
PRO: Il secondo testo che prendo in esame è Solaris, il romanzo più famoso di Lem. Al di là delle quaranta traduzioni e delle due versioni cinematografiche (la seconda delle quali è meno insulsa rispetto alla parodia tarkovskijana, sebbene ampiamente inferiore al romanzo), la sua fama ha buone ragioni d’essere, poiché non è soltanto plasmata da una delle consuete brillanti congetture della narrativa di Lem, in questo caso l’allegoria del contatto cosmico con il Radicalmente Altro. Come un’ellissi a due fuochi, risulta plasmata anche da un’ipotesi psicologica, il sogno di una seconda possibilità, che consente di correggere gli atroci errori della nostra vita.
Si potrebbe leggere Solaris come una fertile oscillazione, o un fluttuare, fra un ottimismo cognitivo alla Lévi-Strauss e un pessimismo esistenziale schopenhaueriano. I due fuochi dell’ellissi si fondono nel protagonista, narratore e punto di vista del romanzo, Kris Kelvin. Non sono certo che Kelvin abbia (o debba avere) un’identità propria, ma certamente ha una voce, in cui si mescolano l’onnipresente sete di conoscenza di Lem (dal mio punto di vista il suo tratto distintivo più prezioso e gratificante) e un’intima sofferenza. Lo stesso nome di Kelvin può essere letto come una vaga allegoria, poiché come ho notato altrove Lem è uno scrittore di parabole moderne – modalità che fonde intimamente il “veicolo” narrativo e il “tenore” cognitivo o la conclusione. “Kelvin” è il nome di uno scienziato, usato per indicare i gradi della temperatura assoluta, famosissimo sia nella scienza popolare che in quella teorica per via dello “Zero Kelvin”, o zero cosmico assoluto – a cui si può tentare di convergere asintoticamente ma che non può mai essere raggiunto (secondo il teorema di Nernst, noto anche come Terza legge della termodinamica).
Come sempre in Lem, abbiamo qui a che fare con un’allegoria ironica e parzialmente sovvertita: né il Contatto con l’Oceano vivente sul pianeta Solaris, né la redenzione “solare” della fallita relazione tra Kris e la sua amata Harey, portano a un facile happy ending. Si potrebbe dire che in certo modo entrambi falliscono. Eppure alla fine – nello stupendo episodio finale dell’“aerea stretta di mano” tra Kelvin e l’Oceano – è descritta come possibile una lieve approssimazione di questo contatto.
In questo romanzo, il Dio delle trionfali illusioni della scienza diviene il pretesto per una magnifica e sarcastica simulazione “fantomatica” della scienza, la storia della “solaristica”, che costituisce una delle più trionfali realizzazioni di Lem. Questo Dio, e il suo Graal di un “Contatto Sacro” con gli Alieni, ha fallito; non altrettanto l’accennata suggestione, alla fine, di un “dio imperfetto … le cui ambizioni oltrepassano i suoi poteri” (forse scaturita dall’entusiasmo di Lem nei confronti della fantascienza visionaria di Olaf Stapledon).
In conclusione, ciò mi sembra un ottimo esempio di quello che la grande fantascienza può darci: mostrarci, cioè, la nostra epoca (poiché nella fantascienza, più chiaramente che negli altri generi letterari, de nobis fabula narratur) come “età dei miracoli crudeli”, un’età portatrice almeno della possibilità di una fede scettica. Le contraddizioni evitate in molte opere saggistiche di Lem, e in certa narrativa meno riuscita, tornano qui nella descrizione e compenetrazione dell’orizzonte nero o distopico, caratteristico delle cosiddette “nuove mappe dell’inferno” di molta parte della migliore fantascienza in lingua inglese degli anni ’50, con il roseo o utopico orizzonte socialista, caratteristico della prima fase di Lem, che dal mio punto di vista ha giustamente nutrito giovanili speranze umanistiche per la scienza e la politica, per esempio in opere come The Magellan Nebula.
Come ho concluso in merito all’apogeo di Lem (in “Open-Ended”), il suo posto unico nella storia della fantascienza è dovuto alla personale fusione tra speranza luminosa e amara esperienza, tra la visione di una possibile e necessaria strada aperta verso il futuro e la visione di pericoli sicuri e probabili sconfitte inevitabilmente legati al rischio dell’apertura al nuovo. Nessuna cognizione degna di questo nome è predeterminata religiosamente. In questo senso, Solaris è, come molta fantascienza, un puzzle – enigma o rebus – e una parabola; ma, a metà strada tra Brecht e Kafka, o forse dovrei dire tra Lévi-Strauss e Borges, è una parabola paradossalmente aperta.
Non esiste alcun sistema dogmatico di certezze cui fare riferimento. Per utilizzare termini pertinenti al retroterra polacco, Lem si è lasciato alle spalle i sacri libri del cattolicesimo e rifiuta i libri sacri sia dello stalinismo che del liberalismo ottimistico. Nei lavori migliori, la dialettica di Lem descrive le contraddizioni interne a un’iniziativa tramite un continuo spostamento tra diversi livelli cognitivi. Ciò appare più evidente nelle satire, per esempio nelle grottesche “favole robotiche” e nel picaresco cosmico del suo Ijon Tichy. Lo spirito di questo stile pone Lem nella tradizione dei contes philosophiques di Swift e Voltaire, o del suo romanzo preferito, il Don Chisciotte.
Al di là del puzzle e della parabola, vorrei rendere a Lem il più grande omaggio possibile affermando che l’avvicinamento alla cognizione –compresa la cognizione della scienza –rappresentato in Solaris è una valida forma di cognizione di certi aspetti importanti del nostro vivere in comune. Tale comprensione è particolarmente valida e preziosa ai nostri giorni, in cui stiamo cadendo sotto il dominio di una scienza orientata al profitto, la cui gamma va dall’industria degli armamenti a quella farmaceutica fino alla biogenetica e presto arriverà alle manipolazioni nanotecnologiche. Poiché, per citare Marcuse, “ogni cattiva comprensione della realtà è al tempo stesso una cattiva comprensione della libertà”.
È facile ravvisare in Lem lo scrittore di fantascienza più significativo al di fuori dell’area linguistica inglese, al livello dei migliori della brillante galassia anglo-americana degli anni 1940-75. Ma sono soprattutto i suoi ostinati avvertimenti contro le “soluzioni finali” statiche, la sua posizione al crocevia delle più importanti culture e ideologie europee, accanto a una profonda interiorizzazione dei problemi dalla cibernetica e della teoria dell’informazione, la sua capacità di fondere i dilemmi della scienza ultramoderna e delle più antiche eresie cosmologiche, il suo strabiliante virtuosismo formale, a fare di Lem una delle voci più rilevanti e peculiari della letteratura mondiale.
Bibliografia secondaria
La voce “Lem” a cura di Suvin (1995) cita un elenco completo delle pubblicazioni di Lem fino al 1994, oltre a opere critiche pubblicate in periodici inglesi. La lista che segue è limitata a lavori in lingua inglese e tedesca, eccezion fatta per il testo di Beres cui mi riferisco nel mio testo. Molte opere degli ultimi vent’anni sono tratte dal Science Fiction and Fantasy Research Database (consultato il 29/3/2006), che ringrazio infinitamente nella persona del curatore Hal W. Hall, della Cushing Library, Texas A&M University (College Station, TX).
Arndt, Holger. Stanislaw Lems Prognose des Epochenendes: Die Bedrohung der menschlichen Kultur durch Wissenschaft, Technologie und Dogmatismus. Darmstadt, 2000.
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Berthel, Werner ed. Insel Almanach auf das Jahr 1976: Stanislaw Lem. Frankfurt a/M, 1976.
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Stanislaw Lem: Bibliografia italiana essenziale, a cura di Francesca Valentini e Salvatore Proietti.
Per una bibliografia completa, si può consultare il Catalogo di fantascienza, fantasy e horror, a cura di Ernesto Vegetti et al.
L’ospedale dei dannati (Szpital przemienienia). Tr. Vera Verdini. Torino: Bollati Boringhieri, 2006.
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Memorie di un viaggiatore spaziale (Dzienniki gwiazdowe, 1957). Tr. Pier Francesco Poli. Milano, Marcos y Marcos, 2004.
Eden (Eden, 1959). Tr. Vilma Costantini. Milano, Mondadori, 1996 (Classici Urania 235).
L’indagine (Sledztwo, 1959). Tr. Lorraine De Selle. Milano, Mondadori, 1989 (Classici Urania 153).
Solaris (Solaris, 1961). Tr. Eva Bolzoni. Milano, Mondadori, 2005.
Ritorno dall’universo (Powrót z gwiazd, 1961). Tr. Pier Francesco Paolini. Milano, Mondadori, 1989.
Fiabe per robot (Bajki robotów, 1964). Tr. Marzena Borejczuk. Milano, Marcos y Marcos, 2005.
L’invincibile (Niezwyciezony, 1964). Tr. Renato Prinzhofer. Milano, Mondadori, 2003.
Cyberiade (Cyberiada, 1965). Tr. Riccardo Valla. Milano, Marcos y Marcos, 2003.
I viaggi del pilota Pirx (Opowies’ci o pilocie Pirxie, 1968). Tr. Robert Lewan’ski. In Il congresso di futurologia, Roma, Editori Riuniti, 1981.
Vuoto assoluto (Doskonala próznia, 1971). Tr. Alberto Zoina. Roma, Editori Riuniti, 1990.
Il Congresso di futurologia (Kongres Futurologiczny, 1971). Tr. Sandra Cecchi, rev. Marzena Borejczuk. Milano, Marcos y Marcos, 2003.
Micromondi (saggi, 1971-84). Trad. Angela Cacopardo e Alberto Zoina. Roma, Editori Riuniti, 1992.
Il pianeta del silenzio (Fiasko 1986). Tr. Riccardo Valla. Milano, Mondadori, 1995 (Classici Urania 221).
Pace al mondo (Pokój na ziemi, 1987). Tr. Silvia Lalia. Milano, Mondadori, 1995 (Urania 1271).