di Valerio Evangelisti
[Questa sera a partire da mezzanotte, presso il cinema Lumière di Bologna, avrà luogo la “maratona” notturna intitolata “La notte degli Zorro-spaghetti”. Si tratta del ciclo di proiezioni di film molto rari che organizzo ogni anno, nell’ambito del festival Le parole dello Schermo, con la Cineteca e l’Assessorato alla Cultura di Bologna. Per i precedenti vedi qui e qui. Questa è la presentazione di una notte, prevedibilmente, davvero strana.] (V.E.)
Non molti conoscono l’origine di Zorro (o El Zorro, “la volpe”), leggendario difensore, in California, dei diritti dei messicani poveri contro le prepotenze dei latifondisti e dei colonialisti spagnoli. L’origine del mito sta in un romanzo, The Curse of Capistrano, scritto nel 1919 da un tipico autore americano di narrativa popolare, Johnston Mc Culley (1883-1958). Il successo della storia fu tale che in seguito Mc Culley consacrò al suo eroe, sulle rivistine pulp, numerosi altri romanzi e racconti, sebbene la fama (molto relativa) dello scrittore resti piuttosto legata a Black Star, una specie di Fantomas americano. Non si contano gli apocrifi, fino al recente omaggio da parte di Isabel Allende (Zorro: l’inizio della leggenda, 2005).
Le fortune di don Diego de la Vega, il gentiluomo effeminato che di notte si maschera e inforca il cavallo per vendicare i torti a fil di spada, furono poi consacrate da una serie interminabile di film e di telefilm. Si va da The Mark of Zorro (1920), in cui Zorro era interpretato da Douglas Fairbanks, al celeberrimo remake Il segno di Zorro, girato nel 1940 da Rouben Mamoulian con Tyrone Power protagonista, fino alla serie televisiva della Walt Disney (1957-1959) in cui Zorro era Guy Williams. Consacrazione definitiva di un mito popolare, grazie a una sigla suggestiva e a una musichetta marziale, più spagnoleggiante che messicana. Non mancarono nemmeno gli Zorro pornografici e quelli gay, i figli e le figlie, fino ai nipoti.
Il riferimento alla storia del Messico, già labile in Mc Culley, perde a ogni trasposizione dei pezzetti. Il culmine sarà raggiunto con i film recenti interpretati da Antonio Banderas: La maschera di Zorro (1998) e La leggenda di Zorro (2005), entrambi diretti da Martin Campbell. La vicenda originaria viene spostata nel tempo (di fatto, si tratta di un allievo maldestro del vero Zorro, che è Anthony Hopkins), i motivi sociali sfumano. E non è tutto. In La leggenda di Zorro, addirittura, il vendicatore mascherato si batte contro cospiratori francesi (aleggia il rimprovero alla Francia per il mancato impegno in Iraq) perché la California si integri agli Stati Uniti e abbandoni il Messico. Una sfacciata inversione delle premesse. L’El Zorro originario si batteva perché il Messico fosse indipendente dalla Spagna, non subordinato ad altra potenza. Le bandiere a stelle e strisce che sventolano ovunque, nel film, sono altrettante offese al senso e alla “ideologia”, per così dire, del giustiziere mascherato.
Senso che invece rispettano, tutto sommato, le pellicole dedicate a Zorro in Italia, negli anni Sessanta. Si stenta a crederlo, ma furono decine. Erano tempi felici in cui il nostro cinema popolare non era debitore di Rai o di Mediaset. Girava quello che gli passava per la testa, certo della rispondenza delle sale di periferia. Zorro, quale eroe suggestivo, si prestava. Eccolo dunque valicare le barriere del tempo e della logica. Si trova a combattere Maciste, i Tre Moschettieri, la corte d’Inghilterra. Mai visti film così brutti, eppure capaci di sfiorare il sublime, grazie alla follia totale che li pervade. Segno di completa libertà espressiva, oggi castrata a causa delle prebende elargite a produttori del Nulla, vittime a loro volta del tubo catodico, dell’Auditel e dell’egemonia pubblicitaria.
Non vedremo più Zorro affrontare Maciste. Dunque godetevi questa nottata irripetibile, e resistete a una bruttezza a volte davvero estrema. Manca dalla rassegna l’unica pellicola decorosa, quel Zorro girato da Duccio Tessari nel 1975 in cui l’eroe aveva il volto di Alain Delon. Manca anche la parodia (una delle tante, ma certo la più riuscita) I nipoti di Zorro (1968), con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, per la regia di Marcello Ciorciolini. Abbiamo volutamente puntato al peggio. Ma un peggio suggestivo, che ricorda i tempi in cui Cinecittà poteva ospitare lembi di Messico, e in cui a Comacchio, a Ostia e a Ravenna erano ormeggiati i galeoni impiegati nei film italiani sui pirati delle Antille (un altro sottofilone da esplorare).
Un giorno Zorro tornerà, e la sua spada implacabile disegnerà una Z sanguinosa su chi ha avvilito la potenza immaginifica del cinema artigianale italiano, confinandola a modeste storielle d’amore tra adolescenti, a farse scombinate e volgari e a film concepiti, fin dalla sceneggiatura, in funzione del piccolo schermo.
I film della rassegna:
ZORRO ALLA CORTE DI SPAGNA (Italia/1962) di Luigi Capuano (90′)
ZORRO CONTRO MACISTE (Italia/1963) di Umberto Lenzi (90′)
LA VENDETTA DI ZORRO (El jinete solitario, Messico/1964) di Rafael Baledòn (85′)
ZORRO IL VENDICATORE (La venganza del Zorro, Spagna/1962) di Joaquín Luis Romero Marchent (85′)
ZORRO MARCHESE DI NAVARRA (Italia/1962) di Francesco Montemurro (102′)