di Saverio Fattori
Claudio Morici, Actarus, la vera storia di un pilota di robot, Meridiano Zero, 2007, pp. 224, € 13,00.
Actarus è un combattente un po’ suonato, non mangia libri di cibernetica, insalate di matematica, è dedito alla Peroni, ne ingurgita ettolitri, solo così riesce ad attutire gli sgarbi di una vita eroica ma altamente stressante. Ogni giorno, puntata dopo puntata, un format crudele lo condanna a guidare un robot e a sconfiggere le forze del male. Certo, è soddisfacente, la gente chiede autografi, i bambini raccolgono figurine, ma la responsabilità è sfibrante.
Va’, distruggi il male, va’.
Tra un combattimento e l’altro rilascia interviste a giornalisti feroci e paraculi, zappa la terra nella fattoria del Dottor Procton e simula una relazione con Venusia che alimenta l’ingordo gossip interstellare. Con il collega Alcor, passa le serate alla Bomba, uno di quei locali per pubblicitari, gente alla moda, piccoli industriali, dj, commercialisti e piloti di robot, dove stanno tutti zitti con il bicchiere in mano, bicchiere lungo e sempre pieno, succo alla carota, succo alla carota e mela, mela e pompelmo, a guardarsi intorno o per terra, facce da sms.
Alcor è tristemente noto per il fuoco amico, nel corso delle missioni è solito ammazzare civili durante goffe manovre. È il ragionevole prezzo da pagare, la terra va salvata ogni giorno, i nemici sono alle porte, la fine del pianeta è imminente, procrastinata grazie allo splendido lavoro dell’ Istituto Spaziale s.r.l., dove tutti collaborano UNITI, secondo le proprie competenze, rispettando gerarchie e organigramma. Tutti lottano per l’umanità, i mostri di Vega sono sempre più minacciosi, l’insicurezza schiaccia la popolazione, ma al termine della puntata miracolosamente il maglio perforante fa la cosa giusta.
Va’, distruggi il male, va’.
Fino al giorno in cui ad Actarus qualche pericoloso dubbio inquina il cervello. In preda a pensieri idealisti ed effeminati assedia Alcor. Perchè si parla sempre di quello che fa Vega? Di quanto è forte e cattivo, di come anche stamattina la Terra verrà distrutta da uno con le orecchie da asino… Poi andiamo lì, tiriamo due missili rotanti e gli facciamo un culo grande che ci passa un’astronave madre. Non ti sembra una cosa per bambini?
A insinuare pensieri deboli e domande controproducenti è Roberta, anoressica al punto giusto, equosolidale quanto basta. La presa di coscienza è amara, Roberta incalza, infarcita di sana controinformazione.
– Actarus ti rendi conto della parzialità del tuo programma di studio nel collegio per diventare piloti?
– No.
– Qual è la capitale della Corea del Nord?
– Praga.
– Lo sai che il dieci per cento dei suicidi in Giappone avviene tra le persone che lavorano per l’Istituto ?
– A me non è mai successo di uccidermi.
– Lo sai che l’industria che sta dietro la costruzione di un robot costa ogni anno circa il doppio dei soldi che servirebbero a sfamare tutti gli abitanti della Terra?
– Avanza pure qualcosina per il cinema e la pizza?
La depressione schiaccia la scatola cranica di Actarus, il cervello imbevuto di Peroni oscilla pericolosamente, la nostalgia per il pianeta della sua infanzia, il paradisiaco Fleed, esplode.
Fleed è l’antitesi della Terra, la Stella natale di Actarus dove trovarono asilo le migliori menti dell’universo, uomini politici, artisti, attivisti controculturali, ex galeotti, ex casalinghe, viaggiatori, capi di Stato convertiti a nuove religioni, liceali illuminati e soprattutto gente che voleva divertirsi e basta.
L’escamotage narrativo è geniale, l’abuso di un feticcio pop il cui ricordo accomuna una generazione che ha poco da rivendicare, ha in sé qualcosa di estremamente comico ( si ride, durante la lettura, credetemi, si ride ) e volontariamente tragico. Goldrake, primo e irripetibile, reiterato poi all’infinito, senza requie. Goldrake è per sempre stampato nei nostri cervelli, dove riposano da qualche parte tutte le sigle dei cartoon giapponesi in un’orrida compilation.
In Morici, psicologo pentito, la componente lisergica, allucinata, è solo un piccolo propulsore che colora di tinte accese e trash uno squallido bianco e nero. Gratti un poco la superficie del testo e appare evidente una spietata analisi dei nostri malesseri, tracciati in modo quasi didascalico. La metafora dell’incomunicabilità del nostro tempo non poteva essere più centrata, il nostro io è ostaggio di sovrastrutture ingombranti, difficilmente governabili. Siamo prigionieri di format sempre identici, il potere e i galoppini dell’informazione ci gestiscono come fossimo bambini ritardati. Se alzi la manina per un dubbio sei game over, fuori dal giro giusto, un disadattato. Nemmeno Gundam ha pietà di noi.
– Mi chiedevo ad esempio, ti capita mai di stancarti di essere Gundam?
– Stancarmi? Che intendi amore mio? Se mi stanco mi sparo un fialone di anfetamina endovena e sono pronto a far saltare le cervella a questi ridicoli burattini chiamati nemici. Ieri a uno gli ho messo la pistola dentro l’orecchio.
[…]
– Intendevo tutt’altro tipo di stanchezza… Ad esempio non ti è mai venuto in mente che… non può essere tutto qui? Cioè, che c’è dell’altro, magari potremmo vivere in modo diverso.
– Actarus?
– Sì?
– Sei diventato frocio?
Morici il 27 giugno esce dal format, parte per un campo di lavoro sandinista in Nicaragua. Fine della puntata. La Stella Fleed forse esiste.
Io invece chiudo con una frase spregevole, ACTARUS La vera storia di un pilota di robot è il perfetto libro estivo. La copertina può trarre in inganno, quindi in spiaggia proteggetelo da mocciosi invadenti e trentacinquenni rincoglioniti.
Va’, Morici, distruggi il male, va’.