di Valerio Evangelisti
[Destinato a un’antologia sulle canzonette italiane, questo raccontino autobiografico non è in realtà mai stato stampato.] (V.E.)
Se sei tu l’angelo azzurro
questo azzurro non mi piace
la bellezza non mi dice
le parole che vorrei
quanti baci e tradimenti
lacrimoni e pentimenti
fan di te una donna sola
che da sola resterà
Le canzonette non mi avevano mai interessato. Ero passato dai Dik Dik ai Rolling Stones, senza transitare per i Beatles, e si preparava la scoperta dei Sex Pistols. Però, circa un anno dopo la mia laurea in scienze politiche, fui conquistato, anzi, ossessionato, da un brano di Umberto Balsamo intitolato L’angelo azzurro. Non fui il solo: all’epoca lo si udiva ovunque.
Il fatto era che mi trovavo in fase di innamoramento (non di flirt: avevo già venticinque anni e di amori fuggevoli ne avevo avuti un sacco) di una ragazza che vestiva prevalentemente di azzurro, e che aveva i capelli biondi. Mai combinazione cromatica ebbe altrettanta efficacia. Solo più tardi scoprii, senza esserne troppo deluso, che l’oggetto tutt’altro che oscuro, anzi luminoso, del mio desiderio aveva una capigliatura castana, e se la tingeva. Rimaneva comunque bellissima. Nel mio liceo era stata un mito.
Se parlo di innamoramento, anziché di amore, una ragione c’è. In quegli anni ero colpito da una singolare maledizione. Se una ragazza mi attraeva troppo, subito la idealizzavo all’eccesso. Smetteva, cioè, di avere ai miei occhi connotati carnali. Diventava eterea, priva di attrattive sessuali. Da adorare ma non da toccare.
Fu il caso della persona in questione. Di attrattive fisiche ne aveva fin troppe, però non mi ci soffermavo (a volte sì, ma con un sentimento di vergogna). Riservavo i miei “bassi” istinti a ragazze che offrivano fisicità e nient’altro. Con loro mi trovavo a meraviglia. Lei, invece, aleggiava nell’aere. Non c’era felicità maggiore che esserle vicino, che parlare con lei. Il resto non contava. D’altra parte era intelligentissima e, in sua compagnia, non c’era modo di annoiarsi. Peccato che fosse sostanza aerea, almeno per me. L’idea di masturbarmi pensando a un tale angelo non mi sfiorava nemmeno.
Erano anni particolari, quelli. La mia città era sconvolta da una ribellione a cui partecipai con entusiasmo, e che ebbe molte scosse supplementari prima dell’assestamento. Provenivo da una sinistra detta “rivoluzionaria” nata molto prima. Ne facevano parte componenti molto diverse: femministe, adolescenti, un pugno di operai (mitizzati fino a farne, contro ogni evidenza, l’elemento principale), intellettuali, emarginati che vivevano ai limiti della legalità. Io feci parte della grande famiglia, però senza rapporti che non fossero puramente diplomatici con le femministe. Mi facevo forte di un romanzo di Jules Vallès, un ex dirigente della Comune di Parigi: Le Bachelier. Vallès vi confessava di essere stato sempre attratto dalle donne eleganti, che facevano di tutto per sedurre. Idem per me: detestavo le tenute zingaresche che le femministe esibivano, le loro collanine, i loro braccialetti, l’assenza di reggiseno.
La mia donna ideale era proprio quella che, con eccessiva castità, era oggetto dei miei sogni; o tutte quelle che incrociavo e mi ispiravano desideri molto più concreti. Solo molti anni dopo avrei saputo che ciò che sperimentavo era frutto di una personalità “schizoide”: si desidera ardentemente, ma si ha orrore di un rapporto che coinvolga per intero.
Sta di fatto che arrivò la canzone di Umberto Balsamo ad alimentare il mio coraggio. Erano versi confusi, lontanissimi dalla situazione che stavo vivendo. Anzi, diciamolo pure, L’angelo azzurro, se non fosse stato per la musica, era una vera porcheria. Cosa mai voleva dire:
Con il sole e con la pioggia
ti bagnavi sempre tu
ero pronto ad asciugarti
ma non ce la faccio più.
A meno che la prima fase non contenesse doppi sensi (oggi penso che sia probabile, allora non me ne ero accorto), si trattava di parole disposte a caso, e che comunque non avevano nulla a che fare con la mia dea. Sarei stato ben felice di asciugarla, ma lei si sottraeva. Un motivo c’era: stava con un altro. Ciò rendeva difficile anche il solo dichiararmi. Alla fine, spinto dal ritmo trascinante del pezzo di Umberto Balsamo, a tutto volume sul giradischi, finii per farlo. Ciò avvenne in forma imbarazzata e contorta. Lei forse non capì nemmeno, perché non rispose né sì né no: si limitò al più etereo dei sorrisi. Feci per avvicinarmi. Non mi venne incontro né si scostò. La sua risposta fu la peggiore: restò immobile, come se non stesse accadendo nulla. Bastò a scoraggiarmi.
Giorni dopo, parlai a un amico dell’accaduto. Si mise a ridere, e mi raccontò storie che non avrei mai voluto ascoltare. Fu lui a rivelarmi che l’ “angelo azzurro” era castana e non bionda. Lo aveva dedotto dai suoi peli pubici, che conosceva a menadito.
Solo allora mi resi conto che i versi traballanti di Umberto Balsamo erano la storia non di un amore, bensì della sua fine. Ciò non mi indusse a degradare la ragazza dei miei sogni, però me la fece vedere in modo molto più “materiale”. Da quel momento considerai ogni donna una persona in carne e ossa, compartecipe degli impulsi che io stesso provavo. Saperlo, significa conoscere meglio cosa fare nei rapporti tra i sessi. Oggi è chiaro, a metà degli anni ’70 forse era più confuso.
Che accadde della mia “relazione” con la bionda vestita di azzurro? Lo dice un altro verso di Balsamo:
Sarà facile incontrarsi
educato salutarsi
quell’azzurro di sicuro
non mi incanterà mai più.
Ci siamo rivisti quasi trent’anni dopo. Invecchiati tutti e due, ma lei, forse, un po’ più vistosamente, rispetto a ciò che era. Abbiamo rievocato ricordi neutri, momenti poco compromettenti. Non sembrava nemmeno sospettare che per un attimo aveva cambiato la mia vita. Meglio così: da tempo ho deciso di non vivere di ricordi. Quel tanto che c’è da salvare, resiste meglio al tempo se affidato a una canzonetta.