di Mercedes Frías
[Da quando la direzione del quotidiano Liberazione è stata assunta da Piero Sansonetti, proveniente da L’Unità, ci si può aspettare qualsiasi cosa. Anche articoli contro il presidente venezuelano Hugo Chávez, dipinto da Angela Nocioni quale tiranno da operetta, stile Père Ubu. Proprio mentre, su L’Unità (!), la giornalista Sandra Amurri proponeva un reportage molto più equilibrato. Cosa si propone Rifondazione Comunista mettendo alla testa del suo quotidiano un Sansonetti, che a ogni, imbarazzante, apparizione televisiva non lascia mai capire da che parte stia? E che senso hanno gli articoli diffamatori firmati Nocioni? La costituenda Sinistra Europea nasce sotto i peggiori auspici. Blatera di “socialismo del XXI secolo” (espressione coniata proprio da Chávez), eppure non fu capace di esprimere solidarietà ai giovani comunisti cechi, quando si minacciò di metterli fuorilegge.
Di false sinistre ne abbiamo davvero già troppe. Per fortuna, dentro il PRC qualcuno resiste alla deriva. Proponiamo la lettera apparsa su Liberazione il 17 giugno a firma di Mercedes Frías, della direzione del PRC (senza correggere alcuni spagnolismi). Consola vedere che dentro un partito allo sbando, come ha dimostrato la manifestazione anti-Bush di Roma, c’è ancora qualche testa lucida. Va chiarito il riferimento ad Aristide. Si tratta del presidente legittimo di Haiti, abbattuto tre anni fa da un colpo di Stato concertato da Usa e Unione Europea. Chi voglia saperne di più troverà qui la necessaria documentazione.] (V.E.)
Caro direttore,
cosa volete dimostrare? Dove volete arrivare?
Avete deciso di raccontarci la verità su Cuba, sul Venezuela e poi chissà quale sarà il prossimo bersaglio. La verità, quale verità? Verità di chi? Qualcuno ci ha spiegato come davanti ad un muro rosa con un minuscolo punto grigio si può decidere di vedere il punto grigio. E questo presunto punto grigio per te, e per quella che hai chiamato «una delle giornaliste più brave della nostra redazione, e anche una delle più acute e informate osservatrici dell’America latina», è la verità.
Angela Nocioni, ridicolizzando Chávez e Venezuela, con tono offensivo, ci descrive una sorta di tiranno pittoresco, ma io mi domando, dov’era l’acuta osservatrice quando Azione Democratica e Copei giocavano a ping pong con il potere in una perfetta alternanza? C’era la democrazia? Sì, perché per questi acuti osservatori la democrazia si sostanzia nelle elezioni, non importa di chi, non importa come, non importa cosa si faccia. Rafael Calderas, Carlos Andrés Perez, Luis Herrera Campins, e compagnia, in quel balletto ineffabile delle democrazie di vetrina caratteristiche dell’America Latina, loro sì, formavano delle squadre, partecipatissime, che arrivavano sempre a fine mandato, fino al turno seguente. Peccato che questi giganti della democrazia tenessero di più alla riproduzione del potere delle oligarchie locali, alla difesa dei grandi interessi transnazionali, che all’alimentazione, alla salute, all’istruzione del popolo venezuelano.
L’analisi della brava giornalista raggiunge l’inverosimile quando fa riferimento al mancato rinnovo per altri venti anni della concessione televisiva alla famiglia che da cinquant’anni l’occupava. E mi fermo qua per quanto riguarda il merito.
Mi sfugge il senso di un attacco così sistematico all’unico paese che ha saputo tenere la testa alta sfidando fino allo sfinimento il potere imperiale Usa.
Mi sfugge il senso di questo accanimento nei confronti dei paesi che finalmente cominciano ad alzarsi, tenuti per mano. Certo, tenuti per mano. Forse la nostra esperta non sa come sono entrati nella storia ufficiale questi paesi, forse non sa che sono nati in catene, che il loro ruolo nello scacchiere geopolitico mondiale era quello di fornitori di prodotti, spesso da dessert, per soddisfare bisogni altrui. Forse non sa che le indipendenze conquistate nell’800 non hanno significato autonomia per nessuno di questi paesi e che semplicemente cambiavano padrone, attraverso l’asservimento delle classi politiche nazionali. Non sa che tutte le ricette per lo “sviluppo”, a partire della seconda metà del ‘900, altro non erano che delle strategie per il controllo delle risorse e la perpetuazione della dipendenza: riforma agraria, rivoluzione verde, zone franche industriali, ecc. L’esperta ignora che ogni tipo di scambio commerciale avveniva (… grazie anche a Chávez si può cominciare a parlare al passato), esclusivamente o al limite prioritariamente, con gli Stati Uniti, e che i rapporti fra paesi dell’area erano pressoché nulli. Quel cucciolo di dittatore che lei dal suo piedistallo ha descritto, non soltanto ha avviato una politica di redistribuzione delle risorse, di nazionalizzazione delle ricchezze del paese, ma sta eseguendo azioni concrete di interscambio fra i paesi della regione, e per la prima volta si apre una crepa nel consolidato monopolio statunitense di relazione con ogni paese del “cortile posteriore di casa”. Sarà roba di poco conto, per chi, come Angela Nocioni, di democrazia se ne intende, ma Chávez è stato il propulsore di questa esperienza inedita di rafforzamento politico collettivo, che rende meno vulnerabili i singoli paesi nei confronti del gigante del nord, imponendo di fatto una ridefinizione dei rapporti. Non so se lei capisce cosa significa la prospettiva di abbandonare la posizione genuflessa.
Questa enfasi sulla democrazia nominale mi ricorda una canzone dei Los Guaraguaos (gruppo venezuelano di musica di protesta degli anni ’70): «non ti far ingannare quando ti parlano di progresso, perché tu rimani magro e loro aumentano di peso». Il progresso era la parola d’ordine degli anni ’60-’70, tanto che Kennedy fondò la “alianza para el progresso”. Il progresso ieri, come la democrazia di oggi alla Bush.
Ne sappiamo di democrazia di facciata da quelle parti. Infatti, nel 1983 è stato “derrocado” Maurice Bishop in Granada, perché non era abbastanza digeribile, e nel 1990, in nome dei nobili principi come quelli che ispirano le critiche dell’esperta, i sandinisti hanno dovuto cedere il passo alla democraticissima Violeta Chamorro. Il resto della storia lo conosciamo tutte e tutti, o no?
Così, per caso, questi paladini dei valori universali e universalizzabili potrebbero far cadere un occhio su Haiti, tanto per aiutarsi ad inserire Cuba nel suo contesto.
Da donna ignorante del terzo mondo, mi indigna la supponenza. Mi stupisce l’eurocentrismo primitivo, incapace di elaborare, con uno strumento di lettura completamente cristallizzato, incapace di fare un minimo di operazione di decentramento, di spostamento del proprio punto di vista. Di ricollocarlo, nella consapevolezza che la propria visione parte da un’angolatura specifica, parziale, collocabile in uno spazio culturale.
Capisco che sia più chic solidarizzare per los desaparecidos, manifestare contro un golpe, commuoverci per i bambini e le bambine di strada, fare un giretto con la macchina fotografica per las favelas; paga molto meno supportare chi, con tutti i difetti, con tutte le debolezze e contraddizioni al mondo, lotta per la dignità e la libertà.
Che si tratti soltanto di una questione di priorità? Meno male che non le stabilisce l’acuta osservatrice di cui sopra.
Forse questa fase politica dell’America Latina è una fragile parentesi destinata ad esaurirsi a breve; ma forse gli intellettuali del nord, quelli che sanno veramente come va il mondo, dovrebbero attingere ad altre chiavi di analisi, non basta Weber, Freud e neanche il vecchio Marx, bisogna essere in grado di guardare oltre. Ricordo che l’America Latina ha prodotto le sue analisi economiche, come la teoria della dipendenza, che contestualizza l’analisi marxista; ha sviluppato le sue pratiche socio-religiose, come la teologia della liberazione, per farne due esempi, e potrà trovare la via di una società diversa a partire dal suo contesto, della sua storia, delle sue donne e dei suoi uomini.
C’è un altro acuto osservatore che scrive sull’America Latina. Scrive su Repubblica e riesce a concludere che Chávez è un assistenzialista, raccontando dell’equipaggiamento delle scuole. Che questa operazione la facciano i giornali “amarillos” si può anche capire; che la faccia l’organo del Partito Comunista rifondato è molto meno comprensibile.
Direttore, ho letto i tuoi articoli di pieno supporto e grandi lodi alla tua giornalista. Dallo spazio dato a questi reportage, si evince che questa è proprio una linea del giornale. Vorrei che non faceste le vittime appellandovi all’attacco alla libertà di espressione, ma penso sia necessario, visto che, se non erro, si tratta del giornale del Partito, che a questo punto il Partito debba chiarire se linea del giornale equivale alla linea del Partito, oppure a che cosa? Anche per chiarezza nel rapporto con i paesi vituperati.