di Valerio Evangelisti
Ricapitoliamo i fatti, già esposti in dettaglio qui e qui. Il 31 maggio scade la concessione dello Stato venezuelano al canale televisivo RCTV. Il governo del Venezuela decide di non rinnovarla, e di cedere le frequenze a una nuova tv non commerciale (“di strada” o “di quartiere”, la definiremmo in Italia).
Immediatamente, i corifei del neoliberalismo iniziano a starnazzare come galline. Si accusa il governo venezuelano, e in particolare il suo presidente Hugo Chávez, di avere chiuso un canale televisivo vicino all’opposizione, per motivi solo politici. Sarebbe la conferma che in Venezuela regna una dittatura.
Certo che i motivi erano politici. Nel corso del tentato colpo di Stato del 2002 RCTV aveva apertamente appoggiato i golpisti, ospitato nei propri studi loro riunioni, mandato propri tecnici a chiudere il canale 8, allora l’unica fonte di comunicazione televisiva in mano al governo.
Mettiamo che in Italia, al tempo dell’assassinio di Moro, una delle nostre tv private avesse detto che avevano fatto bene ad ammazzarlo. Per quanto tempo sarebbe rimasta nell’etere? Ma il Venezuela ha il torto di ribellarsi al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, agli schemi del neoliberalismo. Fomenta, invece delle tanto lodate privatizzazioni, la ri-nazionalizzazione (dietro risarcimento, invero fin troppo generoso) delle industrie strategiche, prima di tutte di quella petrolifera, un tempo completamente in mano ai cartelli stranieri. I criteri di valutazione del grado di democrazia del Venezuela sono dunque differenti. Poco importa che vi si svolgano elezioni completamente libere, che vedono Chávez ogni volta riconfermato (per forza, dicono gli oppositori: ha fatto iscrivere nelle liste elettorali indios, poveri e altra gentaglia che, prima di lui, non risultavano nemmeno all’anagrafe). Sottraendosi alle leggi del mercato ipercapitalista, costui è per definizione un dittatore spietato. Ciò che non erano i suoi predecessori di destra, corrottissimi, macchiati del sangue di centinaia di dimostranti, pronti a cedere ai gringos le ricchezze del paese. Brava gente, per definizione.
La campagna pro RCTV è guidata, in Europa, dal quotidiano El País, ritenuto “di sinistra”. La Spagna è stata tra i paesi più colpiti dalla nazionalizzazione del petrolio venezuelano, che ha arricchito il Venezuela e tolto entrate quasi gratuite agli spagnoli. El País lo trova scandaloso. Visti i precedenti della Spagna in America Latina, viene alla mente il proverbio “Un bel tacer non fu mai scritto”. Traduzione: abbiate almeno il pudore di starvene zitti, vecchi genocidi. Sputare giudizi su un continente che avete saccheggiato non fa per voi.
Il buffo è che RCTV, di cui tutti denunciano la chiusura, non è mai stata “chiusa”. Non rinnovata la concessione della frequenza in analogico, è stata lasciata libera di trasmettere via cavo, via satellite o per Internet. Il gruppo che la controlla possiede molti altri media, da compagnie telefoniche a quotidiani. In pratica, RCTV ha avuto la stessa sorte che il centrosinistra italiano auspicava, in un programma disatteso (nessuno lo ricorda più), per Rete 4 e, quale par condicio, per Rai Tre. Ciò che in Italia è ammissibile, “normale”, in America Latina diventa un attentato alla democrazia. La prova provata di una dittatura amorale. Condoleeza Rice è angosciata dalla morte in analogico di RCTV. Forse rimpiange le telenovelas che si interromperanno (in analogico), o i telegiornali scandalistici con colonna sonora sul fondo delle notizie, per renderle più drammatiche. L’impressione è che non sappia nemmeno cosa sia RCTV, e in generale le televisioni assurde che, legate a canali nordamericani, trasmettono in America Latina. Si sa, Condoleeza è un maschiaccio. Ha dunque bicipiti e muso canino in America, e coglioni in Europa.
La prima estensione europea di Condoleeza si chiama Gian Antonio Stella, e scrive su Il Corriere della Sera. Del Venezuela, e della vicenda specifica, non sa una mazza, è chiaro. Tuttavia reputa opportuno occuparsi di RCTV, denunciarne in tono iracondo la “chiusura” (inesistente), chiamare Chávez “caudillo rosso” e “dittatore”. Copre di contumelie, senza la minima documentazione, un presidente legittimo accusandolo di crimini mai commessi, tipo una repressione “spietata” degli studenti oppositori di cui non c’è traccia negli archivi. A chi si oppone al verbo neoliberale pare lecito addossare di tutto. Si noti che Stella è meritoriamente duro verso certi potentati nazionali. Se si passa però a quelli internazionali, vale per lui il motto recato da una nota marca di carte da briscola. Flector nec frangor. Mi piego ma non mi rompo. Soprattutto, mi piego, e da neoliberale mi sento autorizzato ad attribuire al nemico colpe che non ha.
Peggio ancora fa — lo dico con rammarico — l’altre volte ottima Giovanna Botteri, sul TG3 delle 19, lo stesso giorno in cui Stella eruttava disquisizioni infondate sul Corriere. Adesso la Botteri, di cui tutti conoscono il coraggio, è corrispondente dagli Stati Uniti. Forse vittima delle tv nordamericane — Murdoch docet — combina assieme fine concessione per RCTV, assassinio in Russia di Anna Politovskaia e censure in Cina e Iran. Illustra il mix con immagini di Chávez in visita al presidente iraniano. La libertà di informazione è minacciata in tutto il mondo, ma, si direbbe dal servizio, soprattutto in Venezuela. Dove, peraltro, l’80 per cento delle fonti informative sono in mani private, e principalmente in quelle dell’opposizione antichavista. Che cosa può saperne la Botteri? Come nel caso di Stella, pare preciso dovere dei nostri giornalisti parlare senza raccogliere elementi. E, se poi ne vengono a conoscenza, guardarsi bene dallo smentire quanto affermato.
A Caracas scendono in strada, a difesa di RCTV, gli studenti delle università private. La manifestazione è autorizzata, ma si verificano atti di vandalismo e aggressioni a una polizia che non carica né manganella. Sono arrestati 180 dimostranti, quasi tutti rimessi in libertà il giorno dopo. E’ questa la repressione “feroce” denunciata da Stella. Naturalmente i media europei, su impulso di quelli nordamericani, enfatizzano la protesta “spontenea”, mentre tacciono delle dimostrazioni, ben più massicce, a sostegno della neonata “tv di strada”.
Il 7 giugno si verifica un fatto insolito, per una “dittatura”. L’Assemblea Nazionale venezuelana invita a esprimersi al suo cospetto tanto gli studenti oppositori che quelli pro-governativi. Parleranno alternandosi ed esponendo le ragioni sia di consenso che di dissenso. Il tutto sarà ripreso dalle tv nazionali, sia pubbliche che private. Sono i video riportati più sotto, pubblicati su YouTube. Purtroppo sono in spagnolo, durano a lungo e sono meglio visibili in banda larga. Peccato, perché li conclude un vero e proprio colpo di scena, che infligge alla “opposizione democratica” studentesca un colpo da cui, temo, stenterà a riprendersi.
Per chi non può vedere i video, cerco di riassumerli. Prima, però, ricordo a chi non l’abbia vista la puntata di Report andata in onda su Rai Tre domenica scorsa, e in particolare il segmento Revolution.com (chi non l’abbia seguito lo trova qua). Vi si parlava delle agenzie statunitensi che mobilitano masse studentesche in paesi ostili agli Usa, dotandole di finanziamenti, volantini, gadgets vari, manuali di istruzioni, persino logos, fino a innescare un colpo di Stato “pacifico”. Tecnica già sperimentata con successo in Serbia, nella Georgia, in Ucraina, nel Kirghizistan, e in corso di sperimentazione in altri paesi dell’Est europeo.
Ma torno ai video venezuelani. Nel primo vediamo uno studente oppositore di Chávez, tale Douglas Barrios, venire accolto alla tribuna da un applauso amichevole e leggere un discorso piuttosto efficace. Le frasi, martellanti, sono di quelle che si imprimono nella memoria. Reclama la libertà dei telespettatori di vedere ciò che preferiscono, fosse anche una merda come RCTV. Si dichiara estraneo alla politica. Accusa Chávez di stare instaurando una dittatura. Con un gesto plateale si sfila la maglietta rossa che indossava (il simbolo degli chavisti), dicendo che non vuole uniformi. Afferma che lui e i suoi compagni si ritirano por ahora (una sottigliezza dialettica: por ahora era stato il motto di Chávez, dopo il fallito tentativo insurrezionale del 1992). Esce dall’aula imitato dagli altri contestatori.
A quel punto, la parola è agli studenti “bolivariani”, mentre gli assenti cui dovevano alternarsi sono chiamati inutilmente. Il tono è tutto diverso: parlano per lo più senza leggere, con impeto ed emotività. Bellissime le parole di Osly Hérnandez. Lei, che ha la pelle scura, e per di più il seno piccolo, non sarebbe mai potuta apparire su RCTV. Altrettanto efficace l’intervento di un’altra studentessa, Libertad Velasco. Conferma la confluenza, nel discorso chavista, di temi femministi, sociali ed ecologici. Si merita un abbraccio da parte di Iris Varela, la bellissima e leggendaria “pasionaria” di Chávez, nota a chiunque abbia visto il documentario La rivoluzione non sarà teletrasmessa.
Gli interventi si susseguono, fino a quello, conclusivo, del leader studentesco Héctor Rodríguez. Ed è qui che si produce il colpo di scena. L’oppositore “democratico” Douglas Barrios aveva dimenticato sul tavolo l’ultima pagina del suo intervento scritto. Rodríguez la legge ai deputati. Si tratta di una vera e propria sceneggiatura, in cui sono indicati persino i gesti (“togliere la maglietta”). C’è anche la firma di chi ha scritto il copione: la società pubblicitaria Arts Publicidad, vincolata agli Stati Uniti. Scoppiano risate e applausi.
Ma c’è di più. Rodríguez mostra la pagina web dell’opposizione studentesca “democratica”. Vi figura un logo, che rappresenta un pugno chiuso. E’ lo stesso logo, disegnato negli Stati Uniti, già visto in Serbia perché adottato dall’organizzazione Otpor, poi riapparso nel Kossovo, in Georgia, in Ucraina, nel Kirghizistan ecc. Un logo ormai ben noto a chi abbia visto la puntata di Report che sopra ho indicato. Formidabile il commento di Rodríguez. Hanno abbattuto Milosevič. «La differenza è che Chávez non è Milosevič.»
Naturalmente, le nostre Stelle del giornalismo non prenderanno mai visione dei filmati. Non sia mai che i sussiegosi opinionisti nostrani parlino con cognizione di causa. Ne andrebbe della loro deontologia professionale. Per fortuna, Carmilla è molto più letta di tanti quotidiani. Ecco dunque, finalmente, i video da vedere, per capire quale “opposizione democratica” ci sia in Venezuela. Con un bonus: gli interventi degli studenti fanno comprendere come il “Socialismo del XXI secolo” venezuelano, lungi dall’essere fenomeno “populista”, “bonapartista” o “comunista” (il riferimento a Cuba non significa assunzione della stessa ideologia), abbia fatto proprie tematiche fondanti della sinistra attuale (non del centrosinistra: vade retro! Anzi, vada a farsi fottere tout court): femminismo, ambientalismo, antimperialismo, autogestione, ecc. Argomenti squisitamente libertari. Non è un caso se in Messico, quando viene proclamato uno sciopero, è ancora consuetudine esporre una bandiera rosso-nera.
Qui si trovano riuniti tutti i filmati dell’audizione degli studenti, davanti all’Assemblea Nazionale del Venezuela (fare caso, come già detto, agli interventi di Douglas Barrios, di Osly Hérnandez, di Libertad Velasco, di Héctor Rodríguez).
Qui le grasse risate di Hugo Chávez davanti alla miserabile messinscena, e all’uso del suo motto “Por Ahora”.
Qui, infine, l’elemento comico. L’accusa alla studentessa bolivariana Andreina Tarazón di avere rubato l’ultima pagina della sceneggiatura degli oppositori, quando invece se la trovò sul tavolo.