di Alberto Prunetti
Caravane 55, di Valérie Mitteaux e Anna Pitoun, documentario, Francia, 2003, 52 minuti
Achères, Yvelines, Francia. Salcuta Filan, una giovane rom, vive con i suoi due figli in un accampamento poco distante dalla città, assieme a una trentina di famiglie. Ma il governo di Sarkozy considera i rom una minaccia e ordina la loro espulsione. Non importa verso dove: l’importante è fare terra bruciata intorno al popolo rom. Il 5 marzo 2003 il prefetto ordina l’espulsione di Salcuta, la smobilitazione del campo e la distruzione delle roulotte. Salcuta va a parlare con le maestre dei suoi bambini. Inizia il passaparola informale. La popolazione di Achères si prepara a resistere.
Quando i poliziotti si presentano in assetto antisommossa nel campo nomadi si trovano di fronte gli abitanti di Achères. La polizia non esita a usare le maniere forti. Il campo nomadi è sgomberato e le roulotte sono distrutte sotto gli occhi dei loro proprietari.
Ma la mobilitazione continua. La gente fa pressione sul sindaco che si schiera contro il prefetto e fornisce una sistemazione provvisoria a Salcuta, in attesa che anche per lei arrivi un permesso di soggiorno.
Questa in breve è la storia raccontata nel bel documentario di Mitteaux e Pitoun (vincitore nel 2004 del premio speciale al Festival International du Film des Droits de l’Homme de Paris e del premio del pubblico al Festival Ecrans du Réel du Mans). Una visione che ha suscitato in chi scrive una serie di osservazioni su migranti e criminalità nello scenario italiano.
La prima domanda che mi sono posto è questa: perché i Rom possono essere espulsi? Perché devono chiedere un permesso di soggiorno? Non sono forse molti di loro cittadini rumeni, e quindi cittadini europei a tutti gli effetti? Perché si continua a mettere paletti a rom e rumeni, quando ormai avrebbero ogni diritto a muoversi nel territorio europeo? E’ chiaro che il diritto di circolazione di cui si parla tanto è il diritto di circolazione delle merci e non delle persone. E’ chiaro che il diritto è tutto dalla parte delle imprese, in particolare di quelle italiane, che tra l’altro stanno invadendo la Romania.
Mi viene in mente la proposta dell’antropologo nordamericano David Graeber, che auspica la fine di ogni ostacolo alla circolazione delle persone. Un risultato immediato di questa scelta riguarderebbe l’immigrazione: gli imprenditori italiani, se non vogliono che i rumeni “vengano ad invadere l’Italia”, dovranno alzare le paghe dei loro operai nelle fabbriche che hanno spostato in Romania, sicuri di poter pagare di meno la forza lavoro (si consideri che un salario medio in Romania, a quel che mi dicono amici rumeni, si aggira attorno ai 300 euro, ma il costo della vita è salito molto e 300 euro è anche il prezzo di un mese di affitto a Bucarest). E’ ovvio che i rumeni e i rom non sono così folli da desiderare di vivere in Italia. Se vengono qui è perché sono costretti a scappare da una situazione che non possono più affrontare (e di nuovo le imprese dell’Europa occidentale hanno la loro responsabilità: prima guadagnano distruggendo le economie dei paesi più deboli, poi ottengono altri profitti dagli immigrati, utilizzandoli in Italia come manodopera schiavistica, grazie a leggi che privano i migranti di ogni diritto di visibilità: così li sfruttano due volte, nel loro paese e nel nostro).
Sempre guardando il film, mi sono chiesto: in Italia quante persone si schierano a fianco dei rom, quanti sono pronti a resistere a loro fianco? Pochissimi. E dal fronte istituzionale? Guarda caso, nell’Italia governata dalla sinistra le politiche sui rom sono uguali (o peggiori) a quelle della Francia governata dalla destra. La sinistra istituzionale italiana e la destra sono ormai mutuamente intercambiabili nelle loro posizioni. Ecco quindi che le amministrazioni cittadine, non importa se governate da destra e sinistra, si preparano a distruggere i campi nomadi, a istituire poliziotti anti-nomadi, a fare campagne sulla sicurezza dei bravi cittadini, che non possono vivere in pace perché ci sono dei poveracci che a qualche chilometro di distanza stanno in quindici in una roulotte. La sinistra sta diventando reazionaria? Forse, o forse anche peggio. La sinistra sta aderendo al senso comune, rincorrendo la destra nel consenso agli stereotipi, al conformismo, alla banalità del luogo comune (i rom rapiscono i bambini, gli immigrati rubano, gli spinelli ammazzano…)
Certo, ogni tanto anche i bravi cittadini di sinistra si commuovono. Quando un paio di mesi fa a Follonica, in provincia di Grosseto, una bambina rom è morta nell’incendio occasionale della baracca in cui vivevano i suoi genitori, tutto il paese, amministratori compresi, ha pianto. Peccato che quando i suoi stessi genitori, qualche mese prima, avevano occupato una stamberga decadente nel centro della città, tutto il paese aveva chiamato i carabinieri (che poi hanno sgomberato i rom che si sono rifugiati in questa baracca, dove è morta la loro figlia). Insomma, qui in Italia altro che resistenza popolare e solidarietà sociale.
Quanto ai giornali, tutto quello che fanno è ingigantire un reato se viene commesso da un rom o da qualche altro immigrato. Se un migrante picchia un italiano, questa è una notizia da prima pagina, da titolo del telegiornale delle 20. Se un italiano picchia un rom, al massimo il fatto apparirà sui giornali locali. Se un tizio perde il controllo dell’auto e investe un passante, i giornali si chiedono: 1)era un immigrato? 2)aveva fatto uso di droghe? 3) aveva precedenti penali e aveva usufruito dell’indulto? A seconda dei casi, si procederà alla campagna politica sui temi più rilevanti (repressione e leggi sulla sicurezza, proibizionismo, etc).
E’ chiaro che è in atto una politica di creazione del crimine, orchestrata ad arte. Ed è anche chiaro che siamo un paese di memoria corta. Gli italiani hanno un passato recente di emigrazione. Un flusso enorme, quantificato in milioni di persone. Siamo stati odiati, vilipesi, emarginati. Non abbiamo imparato niente da tutto questo. Di più. Non ci rendiamo neanche conto che se c’è emigrazione e violenza, è solo perché c’è miseria e clandestinità e sfruttamento.
Facciamo un gioco. Pensiamo a una analisi comparativa della criminalità italiana (negli anni dell’emigrazione) negli Stati Uniti, e vediamo un po’ se regge il confronto con la criminalità rumena o albanese in Italia. Direi proprio di no. La mafia italiana negli USA è stata una realtà che ha plasmato la criminalità statunitense, anzi, la storia e la politica di quel paese. La criminalità rumena in Italia al più riesce a fornire solo manodopera per la criminalità italiana (anche nel crimine, i rumeni sono sfruttati). Non a caso poi “mafia” è un termine che si usa in ogni lingua, e non è un termine rumeno o roman o polacco, è una parola italiana.
Comunque è tutto da dimostrare gli immigrati delinquono più degli italiani. Le statistiche che continuano a fioccare sui giornali (“Reati: uno su tre lo commette un immigrato”), volte a creare un’immagine del cittadino italiano circondato da malevoli criminali immigrati, sono assolutamente ridicole. Nel più sincero dei casi si basano sulla nazionalità dei denunciati, e non certo su quella di chi ha materialmente commesso un crimine. Il problema è che l’italiano comune denuncia sempre un immigrato (stimolato di solito in tal senso dal carabiniere che raccoglie la denuncia, che come prima domanda chiede appunto se il reato è stato commesso da un immigrato).
Ancora su immigrazione e criminalità, qualche tempo fa ho sfogliato una serie di quotidiani argentini della fine degli anni venti. Le pagine di cronaca nera erano piene di notizie sugli italiani: omicidi, regolamenti di conti, rapine, stupri, risse, e così via. Ora, le cose sono due: o siamo diventati bravi cittadini d’un colpo, oppure è la situazione di migrante e di clandestino che è a rischio e genera la criminalità (c’è anche una terza ipotesi, abbastanza plausibile: che i giornali argentini dell’epoca si comportino come quelli italiani dei nostri giorni, ovvero creino lo stereotipo dell’immigrato criminale per sfruttare il luogo comune e vendere ai bravi cittadini quell’aria fritta di cui hanno bisogno per tirare avanti).
Da quanto detto si può sommariamente intuire che la criminalità è strutturale alle società capitaliste: queste generano ineguaglianza e quindi criminalità; posto fuori dai codici e e dai territori, il migrante diventa manodopera a basso costo per le imprese legali e per quelle criminali. Intanto i giornali creano allarme e i politici fanno i loro appelli sulla legalità per guadagnare consenso. Quanto ai reati, è noto che sono solo quelli commessi dai pesci piccoli ad essere perseguiti. Il migrante ruba la frutta e finisce in galera. Il banchiere ruba le case di chi non riesce a pagare il mutuo e lo chiamano persona dabbene. Così va il migliore dei mondi possibili, in cui i rom – che non sono né rumeni né italiani né francesi, ma sono dei veri europei – sono perseguitati perché non si fanno mettere il giogo del lavoro e della casa. Se si facessero sfruttare in un mcdonald e pagassero affitti da 700 euro per un monolocale, come i bravi cittadini italiani, allora sì che avrebbero diritto a vivere in Italia.