di Gaspare De Caro e Roberto De Caro
[Abbiamo già recensito il volume La sinistra in guerra, scritto da due dei nostri collaboratori più apprezzati, Gaspare De Caro e Roberto De Caro. Proponiamo ora, per la sua stringente attualità, uno dei capitoli del libro, già apparso su Hortus Musicus n. 10, aprile-giugno 2002.]
1. Arte denigratoria. Ossia, come ti eccito le folle e ti ingolosisco i servizi segreti.
“La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia.
Perché essere ingiusto è, almeno, essere qualcosa.”
(José Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte)
Prendete un benintenzionato nessuno pacifista, disposto in una pesca televisiva ad ingoiare esca, amo e canna. Prendete poi il più bello del reame, con nomea popolare di intellettuale e addirittura di critico d’arte, beniamino delle signore, del sacro emiciclo e dei telespot. Metteteli insieme a discutere non di film dei fratelli Vanzina, come sarebbe giusto, ma di bombe sulle popolazioni afgane, tanto per passare la serata.
Il risultato è sicuro. Il pacifista comincia a strillare pace, pace, pace, perché — dice — lui è per la pace. Ma allora — replica perentoriamente quell’altro — tu non avresti combattuto neanche il nazismo. A questo punto il dibattito è già finito, anche se continuano per un pezzo a dirsi l’uno pace pace pace e l’altro, trionfante ma con qualche prevaricazione logica, nazista nazista nazista. Come previsto dalle regole della persuasione democratica, le plebi televisive vanno a dormire senza sospetto, sognando fantasmagorie su Kabul e magari su Bagdad e Mogadiscio. Le cose non andrebbero così se il pacifista, non frenato dalla coda di paglia di certe sue sinistre frequentazioni belliciste, arricchisse di una battuta eterodossa lo scarso repertorio. Nazista sarà lei, potrebbe dire, lei e le bombe dei suoi amici. Invece, niente. Tutto troppo facile!
Con la carta stampata non è così semplice. Nella presunzione magari esagerata dell’alfabetismo dei lettori occorre darsi l’aria di argomentare, usare strumenti logici raffinati come l’anfibolia, la fallacia compositionis, la fallacia divisionis, l’ignoratio elenchi. Per questo occorre un personaggio ad alta qualifica professionale, opportunamente addestrato on persuasion in appositi stages. È l’Opinionista. Non lasciatevi ingannare dalla modestia del titolo: al modico prezzo di una copia del giornale, lui non ci dà la sua opinione, ci dà quotidianamente la Verità in cui bisogna credere. Definitiva, finché Chi può non gli dice di cambiarla. Insomma, si parla di lui quando si parla, con qualche esagerazione, di Quarto Potere; o, amplificando ancora un po’, di Libertà di Stampa. C’è persino qualcuno che identifica la sua esistenza con la Civiltà stessa, ma appunto non è convinzione unanime. Non vorrei però pronunciarmi in proposito. Dell’Opinionista, per amore dell’arte, vorrei piuttosto sottolineare la virtuosistica magia comunicativa, attraverso un esempio che si presta bene anche ad un vantaggioso confronto con le più rudimentali procedure della persuasione televisiva.
Nel Venerdì di Repubblica del 4 gennaio 2002, che sin dalla copertina ostentava smodate ambizioni culturali esibendo orgiasticamente la faccia di Umberto Eco, chi riemergeva inopinatamente dalle nebbie del passato, dicendo anche lui la sua sul tragico caso delle Torri Gemelle? Niente meno che Bobby Fischer, il geniale, invitto scacchista statunitense, da dieci anni impegnato in una partita a nascondino con l’FBI per certe inadempienze fiscali e altri addebiti. Sarò imperdonabile se confesso che di conoscere il parere di Bobby Fischer sulla strage di Manhattan non sentivo per nulla il bisogno? Il fatto è che Fischer è uno dei mostruosi doni bicefali che il gigantismo statunitense ci riserva di tempo in tempo, come il meglio e il peggio del cinema, Toro Seduto e il generale Custer, Martin Luther King e il senatore McCarthy, J.F. Kennedy e J.F. Kennedy. Fischer, il campione che sfidò e vinse l’Impero del Male prima di papa Wojtyla, il genio con un quoziente di intelligenza da ingelosire Einstein, convive con un mister Hyde abbastanza ingombrante. Ebreo che odia gli ebrei, americano che odia gli americani, estimatore dichiarato di Hitler, glielo avreste chiesto voi un parere sulle Torri Gemelle o lo avreste lasciato a sbrigarsela con la sua follia e il fisco americano? Riccardo Staglianò (Il re degli scacchi che non piange per le Due Torri), no, non si è astenuto e ha avuto le risposte cui il suo scoop anelava: «una notizia meravigliosa», quella dell’eccidio; «è arrivato il momento di farla finita con gli Stati Uniti una volta per tutte»; «sono stato felice e non potevo credere a cosa stava accadendo. Dopo tutti i crimini che il mio paese ha commesso nel mondo, ciò dimostra che quel che è fatto è reso». Be’, chiunque lo vede, ormai Fischer deve avere problemi di analisi più col suo psichiatra che con la scacchiera.
Ma anche noi abbiamo un problema: che cosa induce Staglianò a rovistare nella pazza pattumiera del vecchio naziscacchista? Forse il gusto un po’ perverso del collezionista di orrori e di stravaganze, che un tempo induceva a raccogliere nella Wunderkammer feti a due teste, uova di ornitorinco e crani dei santi da piccoli? Non escluderei questa ipotesi (non conosco abbastanza Staglianò), se un indizio nello stesso articolo non orientasse diversamente la ricerca. Accostate al corredo fotografico dei trionfi scacchistici e a quello comprensibilmente più scarso della latitanza, che cosa ci fanno le fotografie di Noam Chomsky, Susan Sontag e Gore Vidal? Una didascalia, piccolo gioiello di ipocrisia giornalistica — «Gli americani che accusano l’America» —, associa tematicamente i tre scrittori tra loro e fisicamente, per induzione, allo scacchista folle. In effetti chi potrebbe asserire che la didascalia è scorretta? Non da oggi i tre esprimono pubblicamente il loro dissenso dalla politica degli Stati Uniti. E che ci sia qualche relazione tra tale dissenso e la paranoia neonazista di Fischer, al di là della promiscuità suggerita dall’astuto accostamento redazionale Staglianò si guarda bene dall’affermarlo. Tartufo lascia che il lettore tiri da sé le conclusioni; Tartufo, deontologicamente, si limita a informarlo dei fatti.
Certo, è possibile che il lettore non tragga le conclusioni giuste o non con il tempismo desiderabile. Con i lettori di Repubblica può accadere. In questa eventualità la deontologia offre la scappatoia del commento deontologicamente separato dall’informazione. Il commento però non è più compito di Staglianò, che nella scuderia del Venerdì deve avere un ruolo utile ma un po’ depresso. Ecco dunque scendere in campo, nelle vesti talari dell’Opinionista, addirittura il vicedirettore del giornale e direttore dello stesso Venerdì, Paolo Garimberti (Quegli americani contro), con il quale la denigrazione del dissenso non solo diventa da implicita esplicita, come è privilegio dell’Opinionista, ma assume la somma autorità della Repubblica, non accreditabile ai gregari. Di per sé la reazione di Fischer «non meriterebbe alcuna attenzione», opina l’Opinionista, sdegnoso quasi che a darle spazio fosse stata la concorrenza. Ma, lesto di mano come un mago delle tre carte, aggiunge che non meriterebbe attenzione «se non riflettesse un atteggiamento diffuso tra certi intellettuali americani». E giù i nomi di Chomsky, Sontag e Vidal. Ora il riflesso è il riflesso, uno specchio è uno specchio e l’Opinionista opina amaramente che le opinioni politiche espresse, con «parecchi» altri intellettuali, dai tre dissenzienti citati coincidono specularmente con quelle naziste di Fischer. La prova? La prova è che i dissenzianti dissentono «senza neppure spendere troppe parole di pietà per le vittime di un atroce attentato». Non dice che non esprimano pietà, perché potrebbe essere filologicamente smentito, ma che non ne esprimano abbastanza, e questo non può essere smentito. Quand’è abbastanza la pietà? E quand’è abbastanza per l’Opinionista? Insomma la volpina tesi del rispecchiamento è dimostrata. Dunque non servono le sfumature, non serve distinguere dissenso da dissenso. No, è proprio il dissenso che non può essere ammesso. «Chi non è con me è contro di me», lo ha detto Lui, ripetendo quell’altro Lui. Potrebbe opinare in contrario l’Opinionista? No, non può, per sua natura. Qualcuno non è d’accordo? Nazista nazista nazista.
Certo, il risultato è lo stesso della rozza sceneggiata televisiva, ma come non compiacersi di uno stile tanto più sofisticato? Con inquisitori perspicaci e dialettici come Garimberti, Chomsky, per esempio, che bisogno ha di farsi processare dai Turchi? E d’altra parte con le sue migliori risorse la Repubblica ha stanato e indicato al vigile sospetto delle folle nemici ben più subdoli del nessuno pacifista della telemattanza. «Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola» dicevano quelli che Garimberti sa. Quanto a lui, Garimberti, non gli sta bene nemmeno l’acculturazione della CIA, tra le ragioni, a suo dire — per difetto di più sbrigativa prevenzione e dissuasione —, di tanta perdurante ostilità contro la politica degli Stati Uniti. I «ranghi medio-alti» del servizio segreto americano, opina macabro e incontentabile, «sono stati riempiti da giovanotti piuttosto snob con master nelle migliori università e sono stati svuotati dei vecchi agenti operativi, con meno lauree e meno puzza sotto il naso, ma molta più esperienza sul campo: gente che sapeva cogliere i venti e gli umori del mondo e, all’occorrenza, era pronta a sporcarsi le mani per il bene della causa». Ah! le mani sporche della CIA! Chomsky, Sontag, Vidal, attenti a voi! Garimberti non ha pietà. Non abbastanza.
2. Arte della memoria. Ovvero, come ricordare il futuro e dimenticare il passato.
“Io se fossi dio
maledirei davvero i giornalisti,
e specialmente tutti, che certamente
non sono brave persone
e dove cogli cogli sempre bene.”
(Giorgio Gaber – Sandro Luporini, Io se fossi dio)
A proposito di deontologia degli opinionisti. In La maschera intollerante, la Repubblica, 2 febbraio 2002, Giovanni Valentini si propone di illustrare agli scettici la differenza tra Destra e Sinistra. Bene, era ora che qualcuno lo facesse. E se qualcuno poteva farlo era sicuramente un opinionista di Repubblica. Secondo Valentini gli emendamenti del governo Berlusconi alla legge sull’immigrazione, che affidano compiti di polizia alla Marina militare, «offrono una rappresentazione esemplare di ciò che distingue i due schieramenti oggi in Italia. Da una parte, il ricorso alla forza e alle armi; dall’altra, la ricerca dell’ordine e della convivenza pacifica». E, perché non sia dubbio a chi spetti la parte peggiore, Valentini spiega che del problema «grave e urgente» dell’immigrazione, «e in particolare di quella clandestina», la Sinistra si fece carico, sin dal tempo del governo Prodi, con la legge Turco-Napolitano (due personaggi, sia detto per inciso, che presi insieme, fifty-fifty, per umanità e partecipazione ai dolori del mondo, sono un po’ la Madre Teresa di Calcutta della Sinistra italiana, come tra l’altro possono testimoniare rispettivamente l’inconsolabile rimpianto dei poliziotti e l’ingrata memoria delle prostitute). La legge era «imperniata su due cardini»: le quote d’ingresso («in rapporto soprattutto alle richieste del mercato del lavoro», ça va sans dire) e le procedure di espulsione. Solo legislativo l’impegno umanitario della Sinistra? Be’, si sa, la legge non basta mai. Per riconoscere che in questa materia sono necessari «strumenti più incisivi ed efficaci», opina Valentini, «non c’è bisogno di essere o diventare forcaioli». È vero, non c’è bisogno: però aiuta. Pudico e misterioso, Valentini non dice di più. Ma è un silenzio che urla.
A questo quadro piuttosto sfocato della politica immigratoria della Sinistra Valentini oppone l’angosciato presagio di ciò che può accadere ora che «il governo Berlusconi si toglie la maschera della moderazione e mostra il suo volto nascosto: quello dell’intolleranza leghista e della radicalità ex o post-fascista». Be’, in verità c’è di che preoccuparsi. «Attribuire ora funzioni di polizia alle navi militari equivale in pratica a dichiarare lo ‘stato di guerra’ verso gli immigrati, autorizzando anche l’uso delle armi per fermarli. Ciò significa forse che la Marina italiana potrà aprire il fuoco contro le ‘carrette del mare’, colpirle ed eventualmente affondarle, per impedire che superino il limite delle acque territoriali e sbarchino il loro carico di disperati sulle nostre coste?».
Sentite in questo terribile interrogativo tutta l’apprensione umanitaria dell’opinionista? Sentite tutto il suo orrore per i futuri delitti della Destra? Be’, risparmiate la vostra commozione, riservatela agli immigrati, che un atroce destino democratico, equanime per la par condicio, a turno consegna alle cure della Destra e della Sinistra. L’interrogativo di Valentini è pura retorica, astutamente fiduciosa nella sicura smemoratezza dei lettori. Tutto ciò che Valentini ostenta di temere dall’avvenire, dall’anima leghista e fascista del governo Berlusconi, è già successo: lo ha fatto la Sinistra, sull’anima della quale il dibattito è libero. Come il gatto nasconde le sue cosine, il complice, esperto silenzio di Valentini nasconde la massima impresa umanitaria della Sinistra di governo: l’affondamento nelle acque di Otranto, ad opera appunto della Marina militare, di una «carretta del mare» carica di profughi albanesi. Era il 28 marzo 1997, il governo quello dell’onorevole Prodi, con la ruota di scorta dell’altrettanto onorevole Veltroni. Ne morirono più di cento: erano anche loro, come quelli che Valentini si aspetta dal futuro, «un fantomatico esercito, composto da uomini e donne, giovani e bambini, disarmati, inermi, affamati e assetati». Certo erano colpevoli: per loro non c’erano abbastanza «richieste del mercato del lavoro».
Checché ne dica Valentini (e non è necessariamente ciò che sa), è difficile che la Destra riesca a far di meglio. Però, poiché la democrazia ha i suoi riti, di una cosa possiamo essere sicuri. Al tempo dell’affondamento della nave albanese, Berlusconi andò a spargere sincere lacrime di cordoglio sui profughi affogati dalla Sinistra di governo. Vedrete che all’occasione la Sinistra, tornata Sinistra di lotta, non mancherà al suo dovere. Quando toccherà a Berlusconi disciplinare con la ferocia necessaria i flussi sul «mercato del lavoro», sentirete che singhiozzi!
Un’ultima osservazione. Un opinionista non dà mai gratis la sua opinione, tanto meno una silenziosa menzogna. Che cosa si aspetta dunque Valentini dal suo confronto sapientemente reticente e raccapricciante tra Destra e Sinistra? Lui non lo nasconde: si è aperta la stagione della pesca all’elettore e la Repubblica non ammette defezioni. «D’ora in poi anche l’onorevole Bertinotti e le anime inquiete dell’Ulivo riusciranno forse a comprendere meglio l’ispirazione di questa maggioranza parlamentare, a valutare le conseguenze e gli effetti di un esito elettorale che hanno disinvoltamente contribuito a determinare». Abbastanza disinvolto anche lui, Valentini sta imputando alle capricciose inadempienze elettorali di Bertinotti e altre «anime inquiete» le prevedibili inumanità della Destra contro il popolo dei migranti. Be’, chi crede di impressionare? A proposito di migranti le «anime inquiete» hanno già dato. Quando affondò la nave dei profughi albanesi la Sinistra era al gran completo, Bertinotti compreso.