di Valerio Evangelisti
[Si moltiplicano le pubblicazioni di opere di Howard Phillips Lovecraft. Il pretesto è il settantesimo anniversario dalla morte dello scrittore americano. Il motivo reale è la scadenza dei diritti. Ma ben vengano entrambi, se il risultato è il magnifico saggio scritto da Giuseppe Genna sul suo sito. Da parte mia, ho partecipato al revival lovecraftiano scrivendo l’introduzione a Il caso di Charles Dexter Ward, RCS editore, già segnalato su Carmilla. La segue, nel libro, una decifrazione di tutti i riferimenti esoterici presenti nel romanzo, indirettamente polemica verso chi ha attribuito ad HPL fantasiose conoscenze iniziatiche. Propongo ora l’appendice. Il mio omaggio a Lovecraft proseguirà con il trattamento cinematografico del racconto di HPL Orrore a Red Hook, scritto per una casa produttrice spagnola ora scomparsa, e, più tardi, con l’introduzione al Charles Dexter Ward.]
Come ho già detto nella prefazione, le conoscenze di Lovecraft in tema di esoterismo appaiono molto sommarie. Tuttavia, dato che il romanzo è ricco di richiami a testi dell’occulto, forse non è superfluo precisarne fonti e significato.
Il caso si apre con una citazione, che tornerà nel racconto, attribuita a un alchimista di nome “Borello”, circa la possibilità di ricavare dai corpi umani essenze capaci di ricostituirli dopo la morte. In realtà, come ha dimostrato un ricercatore, John Dorfman, le citazioni provengono dall’opera Magnalia Christi Americana del predicatore puritano Cotton Mather (1663-1728), e furono riprese in un compendio degli scritti sulla magia di Eliphas Lévi (Alfred Charles Constant, 1810-1875) a firma di Arthur Edward Waite (1857-1943), The Mysteries of Magic, probabilmente finito nelle mani di Lovecraft.
Ciò ha indotto alcuni a ritenere che “Borello” sia un nome fittizio, e che comunque Lovecraft lo abbia citato a sproposito. Non è così. Pierre Borel (1620-1689) fu medico, scienziato e botanico francese, con frequenti incursioni nell’alchimia. Tra le sue ricerche, figura il tentativo di estrarre dalle piante essenze che ne permettessero la replica. Un esperimento che condusse soprattutto sugli agli (ala Borelli).
La citazione fattane da Lovecraft è senz’altro derivativa ed equivoca, ma più che pertinente.
Anche la formula di evocazione negromantica che ricorre nel romanzo, Per Adonai ecc., è tratta dalla raccolta di Waite di testi di Eliphas Lévi, e in particolare da Il dogma dell’alta magia, tradotto in italiano dalle Edizioni Mediterranee di Roma. Somiglia a molte altre formule con le quali, invocando il nome di Dio o degli angeli secondo le dizioni della Kabbalah, si cercava, nei grimoires, di costringere i demoni a manifestarsi.
Nessuna parola dell’invocazione è particolarmente oscura. Adonai significa “Signore”, Elohim, Jehova, Sabaoth, Gibor indicano Dio, come anche l’acronimo AGLA (Ateh Gibor Le-olam Adonai, “Tu, Signore, eternamente potente”). Almouzin e Metatron sono due angeli. Jeoshua è Gesù, Gad (erroneamente scritto God in Lovecraft) è il nome di un profeta biblico, e anche di una delle dodici tribù di Israele. La “parola profetica” (“verbum pythonicum”), “il mistero della salamandra”, “l’assemblea dei silfi” (quasi di sicuro l’espressione corretta era conventus sylphorum, e non cenventus sylvorum: salamandre, silfi o silfidi e gnomi erano rispettivamente simbolo di fuoco, aria e terra), gli “antri degli gnomi”, i “demoni del cielo” costituiscono altrettanti arricchimenti alla suggestione di un’accozzaglia di nomi che, disposti in maniera differente, figurano in molti manuali medioevali di negromanzia.
Evam è “Eva” all’accusativo, in quanto retto da Per.
Il solo “Zariatnatmik”, o “Zariatnatmick”, forse angelo, oscuro lanciatore di saette per conto dell’Onnipotente, appare per quanto ne so in un unico testo (ma non in tutte le edizioni), intitolato Le Grand Grimoire, attribuito a un veneziano di nome J. Karter, oppure Antonio del Rabbino (sic!). Si veda per esempio la ristampa anastatica – di un originale di data imprecisata (ma probabilmente tardo settecentesco) – curata nel 1987 da Brancato Editore.
Veniamo adesso alla formula enigmatica, Dies Mies Jeschet Boene Doesef Douvema Enitemaus, che, secondo Lovecraft, Pico della Mirandola avrebbe definito “la più pericolosa tra le invocazioni della magia nera”. La fonte di Lovecraft è sempre la stessa: Eliphas Lévi, che attribuisce la formula a Cornelio Agrippa. Nelle opere di quest’ultimo, però, o almeno in quelle più note (De occulta philosophia libri tres, o anche l’apocrifo libro quarto, detto Il libro del comando; tutti pubblicati in Italia dalle Edizioni Mediterranee), il Dies Mies ecc. non si trova. E’ citato, invece, nella traduzione di Samuel Liddel McGregor Mathers (1854-1918, fondatore della società esoterica inglese Golden Dawn, maestro di Aleister Crowley), di un famoso grimorio, La grande chiave di Salomone (diverso dalla clavicula, cioè la “piccola chiave”). L’ortografia è però differente, almeno nell’edizione in mio possesso (The Key of Salomon the King, The Book Tree, 1999, ristampa anastatica di un’edizione del 1914):
Dies Mies Yes-Chet Bene Done Fet Donnima Metemauz.
Una variante in Grillot De Givry, Il tesoro delle scienze occulte, SugarCo, 1988 (l’originale, intitolato Le Musée des Sorciers, Mages et Alchimistes, è del 1929):
Dies, Mies, Jeschet, Doefet, Dowina, Enitemaus.
La formula è attribuita a Pietro D’Abano (1257-1315), scienziato e alchimista perseguitato dall’Inquisizione domenicana, la quale, post mortem, ne mandò al rogo le ossa. Alcuni capitoli del De occulta philosophia di Agrippa sarebbero tratti di peso da D’Abano, secondo De Givry.
Va però notato che il Dies Mies, comunque sia scritto, non è un’invocazione negromantica, bensì un metodo per indurre gli autori di un furto a confessare. E’ molto improbabile che Pico della Mirandola ne avesse un tale terrore.
Sì, ma l’invocazione cosa significa? Difficile dirlo. Pare aprirsi con un appello a Dio, ringraziare per qualcosa di positivo e terminare con la menzione di una signora o padrona, forse araba (il suffisso —auz era una tipica traslitterazione medioevale dall’arabo). Una donna sospettata di furto e poi rivelatasi innocente?
La mia è una semplice supposizione, molto azzardata. Penso che Lovecraft fosse, sul tema, ignorante quanto me. Conosceva tuttavia il potere che hanno parole ignote sul subconscio di appassionati lettori. Il massimo teorico della magia del Medioevo, Al-Khindi, non sosteneva forse che ogni parola ha risonanze cosmiche, se pronunciata con intenzione?
Tralascio del tutto l’ultima formula magica de Il caso di Charles Dexter Ward. A parte i simboli della luna crescente e della luna calante, il resto è Lovecraft puro. Alcune frasi, come y’ai ‘ng’ngah, o h’ee, hanno assonanze con termini della religione Yoruba, però è un’ipotesi della quale dubito anch’io. E’ comunque notevole che uno scrittore “secondario” abbia spinto me e molti altri, con risultati variabili, a ragionare sui passaggi più criptici e suggestivi dei suoi testi. Ciò richiede una bella dose di abilità, e di potere seduttivo. A Lovecraft non mancavano né l’una né l’altro.