GHOST SHIP
di Danilo Arona
Con assoluto piacere cedo per questa puntata (e parte delle prossime) lo spazio delle Cronache all’amico Francesco Lamendola con un quanto mai appassionante articolo su uno dei troppi e irrisolti misteri del mare. Chi conosce lo spirito delle Cronache – soprattutto chi conosce Bassavilla – intuirà che il fatto non sarà senza scopo. Perché, per quanto sorprendente la faccenda possa sembrare adesso, il mistero della Ivan Vassili, così come lo racconta Lamendola, interagisce in modo stupefacente con alcuni degli irrisolti misteri di Bassavilla. Con uno in particolare.
E adesso la parola a Francesco Lamendola.
Ivan Vassili, il mistero della nave maledetta
Esiste una documentazione su molte case infestate e perfino su automobili “maledette”, come quella che vide la morte dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia Chotek il 18 giugno 1914 a Sarajevo, ma che fu protagonista anche di molti altri episodi tragici per i suoi occupanti. Anche per le navi “maledette” esiste una ricca casistica; nessun episodio, però, supera in orrore le vicende della nave russa “Ivan Vassili” che, ai primi del Novecento, fu protagonista di una crociera allucinante che si risolse nella morte di parte dell’equipaggio. Ciò che rende questo caso particolarmente impressionante è il fatto che i marinai “sentirono” distintamente la presenza a bordo di un qualcosa, di un’entità che provocava loro inspiegabili attacchi di panico e angoscia e che sembrava richiedere, ogni volta, il sacrificio di una vittima umana. Come se il Male stesso fosse salito a bordo, simile a un viaggiatore clandestino,con lo scopo preciso di distruggere le vite dei suoi ignari compagni di traversata.
Una nave mercantile come tante
Nel 1897 i cantieri di San Pietroburgo assistono al varo di una nave mercantile mista in legno e in ferro, a vela e a vapore, come si usa frequentemente all’epoca: lo scafo è in ferro e la coperta in legno; possiede quattro alberi e due fumaioli, con una macchina a vapore a tripla espansione che le assicura una velocità di crociera di otto nodi e un’autonomia di 2.500 miglia. È la Ivan Vassili, il cui profilo elegante e le buone caratteristiche tecniche ne fanno un ammirato bastimento della marina imperiale russa. Nulla, all’inizio, fa pensare che essa è destinata a diventare la più paurosamente celebre fra tutte le navi “maledette” nella storia della navigazione. Per cinque anni svolse le sue attività commerciali esclusivamente nel mar Baltico, senza mai superare il Kattegat e lo Skagerrak che immettono nell’aperto Oceano Atlantico. Le cose cambiano nel 1903 allorché, aumentando la tensione politica fra la Russia e il Giappone e addensandosi le fosche ombre del conflitto russo-nipponico, il governo di Pietroburgo decide di servirsene come trasporto per rifornire di materiale bellico l’esercito stanziato in Estremo Oriente. Il viaggio da Kronstadt a Vladivostok, nella Provincia Marittima sul Mar del Giappone, è di per sé un’impresa nautica non indifferente, anche in tempo di pace, per cui sono necessarie esperienza e forza di carattere: si tratta di una traversata di 20.000 miglia attraverso i tre oceani del globo e richiede, pertanto, notevoli prestazioni sia agli uomini che alle macchine. Si tratta della stessa crociera che compirà, fra il 1904 e il 1905, la squadra navale dell’ammiraglio Roozestvenskij, diretta verso la battaglia di Tsushimma e il suo tragico destino. Il comandante, uno scandinavo di nome Sven Andrist, sembra possedere le qualità necessarie per condurre a buon fine l’impresa; anche il comandante in seconda, Christ Hanson, è svedese, mentre l’equipaggio è in parte scandinavo e in parte russo.
Durante le settimane in cui l’Ivan Vassili, oltrepassato il mare del Nord, scende lungo l’Atlantico, comunque, non accade nulla di particolare, poi, dopo che essa ha doppiato il capo di Buona Speranza ed è entrata nell’Oceano Indiano, cominciano a verificarsi degli episodi paurosi e inspiegabili.
La “cosa” maledetta a bordo
In un primo tempo si tratta di sensazioni ancor vaghe e imprecise, di un’inquietudine, di un nervosismo che si diffondono fra l’equipaggio senza cause apparenti o, almeno, senza cause spiegabili. Si tratta di un’inquietudine dovuta alla percezione che ci sia qualcun altro o qualcos’altro, sulla nave, oltre agli uomini e ai materiali destinati a Port Arthur, l’avamposto russo sulla penisola di Liao Tung, nel mar Giallo. Il capitano della nave pensa in un primo tempo che le notizie sempre più minacciose che arrivano dal fronte della politica internazionale siano responsabili, almeno in una certa misura, di tale irrequietezza: col Giappone ormai sul punto di entrare in guerra contro la Russia, gli uomini hanno quasi la sensazione di andare a cacciarsi da sé nella bocca del leone. Ma ben presto deve ricredersi: la politica non c’entra, o c’entra ben poco, con l’atmosfera di crescente disagio che si sta diffondendo a bordo, si tratta di qualcos’altro, di qualcosa di totalmente diverso. Diverso anche dalla ben nota superstizione che vige nell’ambiente marinaresco, ove si è inclini a pensare che anche un semplice albatros, o un banale incidente nella cerimonia del varo, possano portare eterna sfortuna a una determinata nave. E, nel caso della Ivan Vassili, non vi sono stati incidenti di quel genere nella sua precedente carriera, né segnali interpretabili in senso minaccioso negli scali toccati e nel corso del viaggio. Quello che sta accadendo non è riconducibile a nulla di noto, sembra anzi trarre origine da una sfera misteriosa che non è neppure quella delle normali condizioni di esistenza, che non pare neppure umana.
L’equipaggio, d’improvviso, “sente” la presenza di qualcosa a bordo, qualcosa o forse qualcuno, senza riuscire a vedere nessuno e tuttavia avvertendo una sensazione di gelo accompagnata da terrore, angoscia, tensione insopportabile. Nell’impossibilità di definire meglio la natura di una tale presenza, elusiva eppure fortissima, ci limiteremo a chiamarla “la Cosa”: una cosa venuta non si sa da dove, né come, e che sembra uscita direttamente da un racconto del terrore di Howard Phillips Lovecraft. Scrive uno storico dei misteri del mare, Vincent Gaddis: “Non si sa che cosa fosse (e magari lo è ancora); dapprima provocò la sensazione improvvisa di avere vicino qualcuno, seguita da un terrore raggelante, paralizzante, che toglieva ogni energia, come fosse succhiata da una mostruosa pompa aspirante. A volte si poté scorgere una sagoma poco luminosa ed evanescente, vagamente rassomigliante a quella di un essere umano. Ma qualunque cosa fosse, senza dubbio si trovava a bordo.”
Le prime ondate di paura si succedono l’una all’altra e divengono sempre più forti. In qualche modo, tuttavia, la nave continua ad avanzare lungo la rotta stabilita, oltrepassa gli Stretti dell’Insulindia e risale, ormai nel pacifico, lungo il mar della Cina. I marinai del turno di guardia notturno sono i più spaventati: essi avvertono chiaramente che “la Cosa” è vicinissima, ma solo in pochi casi riescono a intravvedere una vaga figura che scompare tra le scialuppe di salvataggio, emanando un specie di debole luminosità. Potrebbe essere una figura umana, ma nessuno ne è certo; l’unica cosa certa è che essa, anche quando si dilegua fra le ombre della notte, non se ne vuole andare: è sempre a bordo, in qualche luogo fra la prua e la poppa, forse sopra coperta o forse sotto.
Terrore e morte senza scampo
Ormai non manca più molto al porto russo più vicino, la base militare di Port Arthur. Da tempo i fuochisti hanno gettato nelle caldaie roventi il combustibile ammassato negli appositi carbonili ed è stato necessario ricorrere ai capaci sacchi supplementari di carbone per compiere l’ultima parte della traversata. Superati i caldi mari tropicali, la Ivan Vassili sta risalendo verso le medie latitudini, e il clima – specialmente la notte – va facendosi via via più fresco. È in una notte limpida e tranquilla, tuttavia, che la tragedia, a lungo attesa e sempre rimandata, finalmente esplode. Accompagnata da un improvviso senso di gelo, un’ondata di panico quale non si era mai sentita prima afferra l’intero equipaggio e lo disperde, come un termitaio impazzito: gli uomini, tremanti di terrore, corrono in tutte le direzioni, pregano, gridano, si disperano. Sembra che “la Cosa” li abbia afferrati con i suoi unghioni invisibili e li sbatta di qua e di là, crudelmente, come fa il gatto quando gioca col topo. A un certo punto un marinaio, incapace di reggere oltre alla tensione intollerabile, scavalca la murata e si precipita in mare, scomparendo ben presto tra le onde. Allora, come se una stanchezza mortale, innaturale avesse contagiato l’intero equipaggio, la calma sembra tornare a bordo, più che la calma, un senso d’inesplicabile sfinimento, di cupo torpore. È come se “la Cosa”, con la morte di quell’infelice, avesse saziato la sua mostruosa fame di vittime. Almeno per il momento: ma tutti avvertono che si tratta semplicemente di una tregua.
Scaricato una parte del materiale a Port Arthur e rifornitasi di carbone, la Ivan Vassili salpa nuovamente le ancore per completare l’ultima parte della sua lunghissima crociera che deve condurla nella principale base russa dell’Estremo Oriente, quella di Vladivostok. Nulla succede il primo giorno di navigazione dopo la partenza, e nulla il secondo; ma il terzo si scatena un altro assalto della “Cosa”, e di nuovo l’intero equipaggio ne è travolto. Di nuovo urla, pianti, preghiere; di nuovo un correre insensato in ogni direzione; di nuovo un marinaio che si getta in mare, incontro alla morte. E, come la volta precedente, sembra che questa tragedia plachi per un poco la malvagia entità salita a bordo; esausti, instupiditi, gli uomini piombano in una sorta di fatalistica rassegnazione.
Tuttavia, non appena la nave entra nel sospirato porto di Vladivostok (letteralmente, “il Conquistatore dell’ Oriente”), meta finale della lunghissima crociera, ben dodici uomini dell’equipaggio tentano disperatamente di scendere a terra per abbandonare la nave “maledetta”. Nessuno sembra disposto a rimanere a bordo un solo momento di più: infatti, non hanno voluto aspettare nemmeno l’apertura dei portelli del carico. Non così la pensavano, però, le autorità russe, per le quali il viaggio dell’Ivan Vassili non si può considerare affatto terminato. La polizia portuale, pertanto, respinge spietatamente quegli uomini terrorizzati e li costringe a tornare a bordo, malgrado le loro suppliche e le loro imprecazioni, come bestiame avviato al macello. Mentre il rimanente del materiale viene scaricato sui moli di Vladivostok, i marinai della disgraziata nave sono tenuti sotto stretta sorveglianza. L’ordine tassativo è che nessuno abbandoni quella trappola galleggiante, a nessun costo. Forse, le autorità portuali non credono affatto ai racconti sconnessi e, in verità, assai poco comprensibili dell’equipaggio; o forse il difficile momento politico non consente alcun ritardo o debolezza, dato che altri compiti attendono la tragica nave. Adesso l’Ivan Vassili deve far rotta per Hong Kong, in Cina; e, di lì, proseguire poi alla volta della costa orientale dell’Australia.
© by Francesco Lamendola
(continua in Cronache di Bassavilla 99)