L’FBI indaga sui casinò virtuali: avatar rassicurati?
di Federica Manzon
Che aspetto hanno gli avatar dei federali? Hanno scelto capelli blu, ali di drago e facce di volpe? Sono donne provocanti e metalliche o uomini dall’aria artistoide o sono identici a se stessi? Quanto si sono mascherati questi agenti inquisitori per entrare là dove tutto non è finzione, ma è reale, una reale simulazione? Quale potere possono esercitare questi controllori in incognito nel luogo dove il virtuale semplicemente accade e accadendo apre alla possibilità di fare e inventare tutto, simulando?
Sono stati chiamati a indagare e regolamentare, predisporre regole e limiti, sono stati chiamati a vigilare su Second Life e i suoi casinò che rischiano di violare le regole americane sul gioco d’azzardo e di entrare in conflitto con la stessa economia statunitense, dal momento che i Linden Dollars, la moneta virtuale, sono totalmente riconvertibili in dollari americani.
C’è un fraintendimento strutturale alla base di questa richiesta di intervento nemmeno troppo segreta, che provoca un cortocircuito attorno alla questione: che cos’è Second Life? Perché la gente ci va e ci abita, fa cose che possono sembrare identiche a quelle del mondo reale ma sono sempre leggermente spostate? L’azzardo di una possibile risposta è che in Second Life si è messi davanti alla possibilità di un’altra società. Quella virtuale, dove un diverso grado di esistenza accade e viene sperimentata in modo differente, dove il rapporto con il reale viene rovesciato radicalmente.
Se una certa direzione aveva condotto verso la ben definita società dello spettacolo, dove qualsiasi produzione era già subito immagine e quindi reale, qui il movimento è insieme più esasperato e opposto. È un mondo intero che per esistere, per accadere, deve farsi immagine. Ogni gesto, azione, slancio creativo può aver luogo solo se si incarna in un avatar, che è un’immagine, ma un’immagine che simula. In Second Life non sono gli oggetti, la merce, a diventare immateriali ma i soggetti stessi. Ci si chiede allora, in che modo esiste un avatar? In che modo percepisce e fa esperienza di un mondo che è virtuale? Simulando, verrebbe da rispondere. E simulare qui non vuol dire mentire, ingannare, fare un azione falsa per occultare quella vera. Simulazione è al contrario ciò che scardina questa logica della verità e falsità (e quindi anche la possibilità di un controllo che vada a segnarne il confine e a delimitarlo con precisione). La simulazione, cioè l’azione degli avatar in Second Life, sembra al contrario quel resto di autentico che rimane nel fondo quando si scarta ogni immagine, intesa nel suo antico potere simbolico e figurativo. L’immagine nel mondo virtuale è esattamente ciò che rompe quel dualismo copia/originale che governa ogni rappresentazione.
In Second Life non si è davanti al “falso indiscutibile”, all’”eterno presente” di un mondo spettacolarizzato e ancora segnato dalla risposta a dei bisogni, ma tutta una logica che associa il bisogno materiale o astratto alla produzione è messa in discussione dal potere creativo del virtuale. L’avatar è ciò che io desidero essere, con quell’esatto aspetto, e compie le azioni che io desidero, mette però in atto un tipo di desiderio diverso, liberato, proprio perchè non c’è più io, ma nemmeno un surrogato dell’io, non c’è un falso. Se tra l’io e l’immagine dell’io c’era in fondo un differenza di grado, uno spostamento che manteneva una traccia dell’identità (e rendeva quindi possibili tutte le operazioni di identificazione e riconoscimento), tra l’io e l’avatar la differenza è di natura e ci si libera dalla questione dell’identità. E questo perché è il rapporto con il mondo che, attraverso il virtuale, viene rovesciato. Non c’è più un reale che genera la propria immagine/copia su cui prolungare i propri effetti, ma è il mondo virtuale che crea uno spazio nuovo i cui effetti rimbalzano poi sul reale (un esempio evidente si trova nelle sperimentazioni architettoniche di Second Life, possibili solo una volta che si libera lo spazio da certe coordinate geometriche, oppure nei concerti dove suonano insieme musicisti connessi da parti diverse nel mondo e creano un tipo nuovo di evento). Se lo spettacolo delle immagini si costituiva come un’inversione concreta della vita, come il movimento autonomo del non-vivente, il virtuale di Second Life apre invece a un altro tipo di vissuto. Il soggetto non è più separato dalla propria immagine, relegata nel luogo dell’inganno, ma è presente nell’immagine, è in un mondo che lascia accadere il potere delle immagini. Second Life non è allora il supplemento del reale, non è una decorazione sovrapposta, ma piuttosto ne è il cuore stesso, il suo resto più autentico che supera definitivamente la scissione realtà/immagine. L’avatar, per esempio, elude il problema dell’esteriorità dello spettacolo e la conseguenza che al soggetto non appartenessero più i suoi gesti, ma fossero di un altro che li rappresentava, l’avatar scarta il problema della rappresentazione attraverso la simulazione. L’immaterialità del virtuale non si configura quindi come il regno dell’alienazione ma della libertà. Perché allora richiedere l’intervento delle forze federali? Si rischia, credo, l’assurdo nei commenti di molti avatar che si sentono rassicurati dalla presenza di un’autorità di controllo reale in Second Life, e proprio nel luogo dove agisce quanto c’è di più simile al virtuale, il potere inafferrabile e scatenato del gioco, dell’azzardo. Preoccupa che si richieda il controllo dell’FBI proprio nei casinò e in nome di una limitazione della speculazione economica e capitalistica all’interno di Second Life. Siamo davanti, mi sembra, a un ulteriore fraintendimento: gli avatar, che credono nello spazio ludico e libero del mondo virtuale, chiedono l’intervento dell’autorità di controllo per eccellenza, del Bureau of Investigation, per regolare ciò che accade nei casinò. Mentre è proprio in questi luoghi, dove l’azzardo detta i tempi e le regole, che la cultura del controllo e dell’accumulo (quella materialità disciplinata cui il virtuale si oppone con la propria creatività non necessaria) è scardinata dalla messa in opera della forma più antica e insieme radicale di dépense, in una sfida contro la sorte che è già subito segnata dalla casualità della perdita e non dalla razionalità del guadagno. Così, in Second Life, nel simulato abbassamento della leva delle slot machine o nell’ossessivo lancio dei dadi ripetuto non vi è tanto il dilagare del capitalismo trionfalistico che ovunque cerca di trarre profitto, ma piuttosto l’affermazione di una via per fuggire alla noia e alla disciplina che governano la società reale e che trova quindi nel virtuale lo spazio d’eccellenza in cui ogni perdita sconsiderata possa accadere. Alla preoccupazione degli avatar che nei blog denunciano il dilagare dei meccanismi economici nel loro mondo si oppone l’azzardo del gioco nei casinò che è sempre, in un certo senso, gratuito. Il gioco d’azzardo non è infatti una di quelle pratiche cui la società obbliga (al contrario è da sempre mal visto da leggi e religioni) e il fatto che vi circoli denaro è solo ciò che costringe a una straordinaria serietà, ciò che obbliga a un’adesione totale e mai meccanica. Opponendosi al gioco nei casinò ci si oppone quindi alla logica del libero spreco, della creatività non governata dalle regole della necessità, che segna il cuore del virtuale. Si corre il rischio, mi sembra, che anche nello spazio virtuale si imponga il diritto del reale che tutela l’acquistare e il consumare ma esclude il principio dello spreco improduttivo. Lo sbarco degli agenti dell’FBI in Second Life appare quindi il naturale prolungamento di una società vigilata che, dopo aver spinto la vertigine dell’azzardo nei margini del reale, si preoccupa di disciplinarlo anche in quell’altra forma di esistenza che è la simulazione. Viene allora da chiedersi cosa rimane della sconvolgente apertura del virtuale quando gli stessi avatar non sembrano capaci di abitarlo e sono soddisfatti dell’intervento di una limitazione dal mondo reale.