Una riflessione su cibo, mostri, cultura, alterità e guerra, in 11 portate
di Alberto Prunetti
1.
Cannibali. Mangiatori d’uomini. Da Canibi, caribi, abitanti dei Caraibi, las islas del Caribe. I Canibi erano considerati antropofagi dai loro vicini, o almeno così intese Cristoforo Colombo in una conversazione con uomini di cui non comprendeva la lingua. “E’ chiaro che non li capiva…”, scrisse Las Casas. Colombo credeva all’esistenza di uomini mangiatori di uomini. Credeva anche all’esistenza dei ciclopi, delle sirene, delle amazzoni e degli uomini con la coda. Non si sa come fece a capire che c’erano antropofagi. “Capì anche che lontano di lì c’erano uomini con un occhio solo e altri con nasi di cane”.
2.
Quando Colombo vide gli indigeni del Nuovo Mondo pensò fossero cannibali. Dal canto loro alcuni indigeni, vedendo Colombo e i suoi, pensarono di avere di fronte dei diavoli mangiatori di uomini. Avevano ragione gli indigeni. La cultura di Colombo ingoiò quella degli indigeni.
3.
Il diverso è un cannibale: l’altro mangia il noi, l’altro è un mangiatore d’uomini. Cannibali sono stati gli ebrei per i cristiani, gli Sciiti per i Greci. L’etichetta di “cannibale” si applica a denominazioni diverse, garantite all’origine dai guardiani del senso comune. Svalutati i selvaggi, sono state le streghe ad andare per la maggiore. I comunisti per un po’ hanno mangiato i bambini, ma anche i terroristi in questi giorni potrebbero darsi da fare. Per non parlare dei pedofili. Hic sunt leones.
4.
C’è chi sostiene che i cannibali non esistano affatto. Il libro di Arens, Il Mito del cannibale, sembra in più passi persuasivo . Di certo più che di antropofagia la letteratura parla di mangiatori delle ceneri delle ossa dei defunti. Di osteofagia. Gli studiosi di cannibalismo pare che rimandano di citazione in citazione, senza nessuna osservazione recente di prima mano.
5.
Perché lo fanno? Non per fame, risponde Montaigne. Per carenza di proteine, obietta Harris . Per l’identità, sostiene Remotti . L’alterità viene mangiata. Ma non cruda. Perché il nemico diventi un alimento è necessaria una fase di acculturazione: l’alterità viene addomesticata, poi viene cotta. I Tupinamba, secondo la letteratura, accoglievano i prigionieri tra di loro, in semi libertà. Offrivano loro cibo, ospitalità e donne, prima di sacrificarli. L’altro deve diventare noi, per essere incorporato nel cannibalismo dell’identità. Il nemico deve essere assimilato prima ancora di essere ingoiato. Così si annienta l’altro ma anche lo si metabolizza e se ne conserva l’alterità.
6.
Montaigne riporta una canzone di morte di una vittima dei cannibali: “Vengano pure tutti e si riuniscano a mangiare di lui, mangeranno nello stesso tempo i loro padri e zii, serviti da alimento e nutrimento al suo corpo. Questi muscoli (…) questa carne e queste vene, sono le vostre, poveri pazzi che siete. Non vi rendete conto che dentro c’è ancora la sostanza delle membra dei vostri antenati: assaggiatela bene, vi troverete il gusto della vostra propria carne.” Anche l’altro è io. L’endocannibalismo è anche esocannibalismo. Mangiare l’altro significa mangiare di noi.
7.
In questa continuità tra l’io e l’altro si può leggere un tentativo estremo e alienato di riconciliazione. Estremo invito alla commensalità, il nemico cotto partecipa della nostra mensa sotto forma di pietanza: paradossale tentativo di ristabilire una continuità, di riconciliarsi con l’altro, di instaurare la comunità oltre la divisione. Prendete e mangiatene tutti…
8.
Con la comunione si apre un altro orizzonte del cannibalismo, quello del sacrificio rituale. Si sparge il sangue e si mangia insieme. Sacrificio, sacrum facere. Territorio ambiguo, liminare: degno di venerazione e suscitante orrore. Si uccide, si rompe un interdetto. Ma lo si fa nel guscio rassicurante del rito. Il rito sopprime l’angoscia della separazione e l’evanescenza del mondo. Ristabilisce il contatto con il resto della comunità.
9.
E oggi che non ci sono più cannibali? Continuiamo a creare mostri e a doppiarli simbolicamente con l’ultima rappresentazione, quella degli eroi civilizzatori. L’eroe civilizzatore pone un interdetto sulla carne umana. Ai selvaggi mette le brache e un fucile in mano. Regala bibbie e trattori, malattie e guerre. Acciaio e discariche.
10.
Servivano i cannibali per conquistare l’America. Si doveva portare la civiltà. Altri cannibali, forse veri quanto quelli di Colombo, si agitano sulla scena mondiale: talebani e fantomatici fondamentalisti. I civilizzatori sono ancora in missione: non capiscono la differenza, la lingua dell’altro, ma civilizzeranno col ferro e col fuoco le ultime lande in cui vivono i leoni. E tutto il pianeta sarà allora come il Nuovo Mondo.
11.
Nel Nuovo Mondo non si mangiano più gli umani. I civilizzatori hanno costruito i fast-food, la pratica nutrizionale più operativa per degli affamati-separati. La comunità umana è scomparsa, rimpiazzata dalla comunità fittizia del capitale. Non si mangia più assieme – non c’è un tavolo, un desco, una mensa o neanche un focolare – si mangia appoggiati al banco o in piedi per tornare al lavoro. “Il nutrimento — scrive Jacques Camatte — non serve più a unire ma serve a sanzionare la separazione, a realizzarla pienamente.”