di Franco Berardi Bifo
Lo sviluppo economico
Narra la leggenda che nei primi anni ’60, il giovane Romano Alquati si aggirasse a bordo di una (forse allora fiammante) motoretta lungo le strade piemontesi (aria tersa, orizzonte sereno e lontane montagne innevate) che circondano Ivrea e l’Olivetti. Ne nacque il saggio (Forza lavoro e composizione di classe all’Olivetti di Ivrea) che più di ogni altro a mio avviso influì sulla comprensione del sistema industriale maturo, e della nuova classe operaia che di lì a poco avrebbe sovvertito l’ordine esistente delle cose, la società la politica la cultura.
Sull’orizzonte cupo di una terra campana marcescente, tra l’odore velenoso delle discariche, anche lui a bordo di una motoretta, si aggira Roberto Saviano, con quello sguardo intenso e dolorante che ho lungamente fissato sulla quarta di copertina del suo primo libro, Gomorra.
E’ questo il primo libro che ci ha raccontato – senza infingimenti ideologici rassicuranti – la composizione sociale e culturale del capitalismo globalizzato del nostro tempo. La sua motoretta si è inerpicata sulle collinette artificiali della discariche e nei vicoli di Secondigliano, ma da lì ha visto le folle sterminate di schiavi che piegano la schiena negli innumerevoli laboratori clandestini di mezzo mondo dove si produce la merce onnipresente che ha sta soffocando il pianeta.
Tra quelli che hanno parlato di questo libro, alcuni dicono che si tratta di un romanzo altri che si tratta di un reportage. Credo che sia una cosa e l’altra, ma in effetti è anche altro: qui si tenta un’analisi sistematica del capitalismo contemporaneo, della sua vera natura, del suo funzionamento deterritorializzato e reticolare, nelle sue dimensioni planetarie. Si tenta un’analisi sistematica di un fenomeno che non ha più nulla di sistematico: l’analisi di un sistema che non ha più nessuna regola, e proprio su questa perfetta deregolazione fonda la sua efficienza e produttività.
Un lavoro di questo genere andrebbe svolto in molti altri territori simili. Il territorio campano va visto come l’ologramma di un pianeta consegnato dalla deregulation capitalista al controllo di organizzazioni criminali, come il Messico in cui le narcomafie adottano tecniche sempre più simili a quelle di Al Qaida, o la Colombia o il Pakistan, o il golfo del Bengala, o i Balcani. O la Russia dove il PCUS, senza cambiare le sue strutture gerarchiche si è trasformato in una rete di mafie che firmano contratti miliardari con gli ossequiosi capi degli stati europei, dove killer del KGB eliminano predoni alla Yodorkhovski per dividere il malloppo estorto con i ben educati manager dell’ENI e dell’ENEL. Altro che Provenzano, altro che Riina: Putin e Berlusconi-Prodi non hanno bisogno di strangolare la gente con le loro mani, c’è qualcuno che lo fa per loro, prima che i presidenti firmino insieme il contratto. Saviano ha descritto il funzionamento paradigmatico del capitalismo post-borghese, e ha usato questo modello per analizzare una situazione particolare, che si connette per mille fili a mille altre situazioni simili.
Il modo peggiore di intendere questo libro sarebbe quello di considerarlo l’ennesimo quadretto napoletano, la descrizione di un territorio arretrato e marginale, un caso di criminalità residuale.
I politici italiani raccontano abitualmente il Sud come un’escrescenza. Ma non è vero niente. Escrescenza significa qualcosa che vien fuori da un corpo sano. Qui non c’è alcun corpo sano: il Sistema descritto da Saviano è il corpo, come mostrano gli affari di Tronchetti Provera, ultimo di una genia di capitani coraggiosi a cui il governo di centrosinistra dieci anni fa ha consegnato gratuitamente l’azienda pubblica Telecom perché i capitani coraggiosi la spolpassero e poi la vendessero al miglior offerente come se fosse cosa loro, mentre è cosa nostra.
Cosa nostra, cioè loro. Questo è il capitalismo deregolato post-borghese, in cui gli assassini non sono affatto un’escrescenza, ma il corpo intero.
Quel che Saviano ci permette di capire è che in Campania si manifesta la forma avanzata del ciclo globale della produzione capitalista, la tendenza verso cui tutto il processo di produzione evolve.
I bonzi istituzionali dello Stato italiano promettono di agire contro la criminalità attraverso lo sviluppo economico del Sud, ma la criminalità è lo sviluppo economico, perché lo sviluppo economico non è più altro che criminalità.
L’impresa
L’efficienza è il tratto decisivo di ogni operazione imprenditoriale, che si tratti di trasportare merci con centinaia di TIR incolonnati o di sciogliere nell’acido un paio di cadaveri
“Impartimmo istruzioni affinché fossero comprati cento litri di acido muriatico, servivano contenitori metallici da duecento litri, normalmente destinati alla conservazione dell’olio e tagliati nella parte superiore. Secondo la nostra esperienza era necessario che in ogni contenitore venissero versati cinquanta litri i acido, ed essendo prevista la soppressione di due persone facemmo preparare due bidoni.” (63).
In questo libro si parla molto di problemi di efficienza: solo l’efficienza decide del successo economico dell’impresa.
“L’ordine è laissez faire laissez passer. La teoria è che il mercato si autoregola. E così in pochissimo tempo vengono attirati a Secondigliano tutti coloro che voglio mettere su un piccolo smercio tra amici, che vogliono comprare a quindici e vendere a cento e così pagarsi una vacanza, un master, aiutare il pagamento di un mutuo. La liberalizzazione assoluta del mercato della droga ha portato a un inabissamento dei prezzi.” (78).
Anche se si presenta come un caotico aggirarsi tra labirinti di vicoli e di villaggi, cantieri e desolate spiagge, il libro ricostruisce alcuni cicli merceologici su cui il opera il Sistema.
“Camorra è una parola inesistente, da sbirro. Usata dai magistrati e dai giornalisti. E’ una parola che fa sorridere gli affiliati, un termine da studiosi, relegato alla dimensione storica. Il termine con cui si definiscono gli appartenenti a un clan è Sistema: appartengo al sistema di Secondigliano. Un termine eloquente, un meccanismo piuttosto che una struttura. L’organizzazione criminale coincide direttamente con l’economia, la dialettica commerciale è l’ossatura del clan.” (48)
Un meccanismo, piuttosto che una struttura: un dispositivo, una concatenazione macchinica capace di generare profitto. I componenti del dispositivo possono cambiare senza che nulla cambi del suo funzionamento. Il carattere astratto del capitalismo (del lavoro e dell’impresa) è una lezione che i criminali hanno assimilato, e ora il centro del sistema d’impresa, depurato dalla concretezza personalistica o familiare, usa le persone e le famiglie per servire lo scopo superiore, l’accumulazione, la crescita, lo sviluppo.
Cicli merceologici
Nella prima parte del libro, raccontando il formicolante mondo dei laboratori clandestini che connettono il lavoro progettuale di sarti che hanno ereditato la tradizione popolare locale con il lavoro esecutivo di migliaia di operai sparsi su un territorio multicontinentale, si ricostruisce il ciclo merceologico del tessile, della moda, della creazione. Il ciclo del vero-falso, o piuttosto del falso vero è connesso con una rete commerciale del tutto analoga a quella di ogni altra catena, anche se è stata costruita con l’eliminazione fisica dei concorrenti. Nessuno ti chiederà mai quante persone hai strangolato, quando dirigi un centro commerciale che generala profitti. E se per uno spiacevole incidente qualche magistrato ti chiede conto di qualche dozzina di cadaveri, nessun problema, l’impresa non si fermerà per questo. Il boss può andare in carcere, l’importante è che la sua funzione continui a funzionare.
Saviano descrive poi il ciclo della droga, le forme di organizzazione dello spaccio sul territorio, le dimensioni economiche della filiera. Nulla a che fare con le dinamiche marginali del ghetto.
“Non potrebbe essere ghetto un territorio capace di fatturare trecento milioni di euro l’anno solo con l’indotto di una singola famiglia. Un territorio dove agiscono decine di clan e le cifre di profitto raggiungono quelle paragonabili a una manovra finanziaria.” (81).
Quando i ministri economici parlano del Prodotto nazionale lordo, dovrebbero ammettere la verità: quanto più sangue, quanto più morte, quanto più veleno, tanto più punti di crescita del PNL.
Secondo le statistiche ufficiali il 20% del prodotto nazionale evade il fisco: almeno un quarto della ricchezza che si produce e si scambia in Italia è generata in condizioni criminali. L’omicidio, l’occultamento di cadavere, il ricatto, la banda armata andrebbero catalogati come fattori decisivi della formazione del prodotto nazionale lordo. Andrebbero contabilizzati regolarmente, se si vuole recuperare un po’ dell’evasione. Dato che questo è il capitalismo liberista sarebbe meglio riconoscere le cose come stanno: se un bel giorno le famiglie di camorra e di mafia decidessero di abbandonare i loro traffici, convertite da un’apparizione di Padre Pio, l’economia italiana sprofonderebbe.
Continuando l’analisi dei cicli merceologici, Saviano fa un breve accenno al mercato delle armi. Ci riferisce che L’Italia spende in armi ventisette miliardi di dollari, più soldi della Russia, il doppio di Israele. La classifica l’ha stesa l’Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace.). Ne sono informati coloro che sono stati portati al governo dal voto dei pacifisti?
Il ciclo delle armi è strettamente legato al ciclo dello sterminio, che dell’economia liberal-camorrista è naturalmente parte integrante. Tremilaseicento sono i morti che Saviano ha contato negli anni, solo nella regione della camorra.
“Qui è il cuore d’Europa, qui si foggia la parte maggiore dell’economia della nazione. Quali ne siano le strategie di estrazione non importa. L’importante è che la carne da macello resti impantanata nelle periferie, schiattata nei grovigli di cemento e di monnezza, nelle fabbriche in nero e nei magazzini di coca. E che nessuno ne faccia cenno, che tutto sembri una guerra di bande, una guerra tra straccioni.”(135)
Non è una guerra per bande, è normale concorrenza commerciale. Non è guerra tra straccioni, è il cuore pulsante dell’economia nazionale.
“Imprenditori. Così si definiscono i camorristi del casertano, null’altro che imprenditori.” (210)
E come altrimenti dovrebbero definirsi? La loro impresa non è diversa dalle altre se non per alcuni dettagli formali. In tutto il mondo le regole sono state dichiarate lacci e laccioli, e da trent’anni gli Stati hanno un’unica preoccupazione: rimuovere le regole che impediscono il libero estrinsecarsi della competizione, rallentano il libero fluire della manodopera, e la riduzione interminabile del costo del lavoro.
Competere
Competizione è il concetto chiave che ha preso il posto del concetto di competenza.
Competenza è la capacità intellettuale che permetteva al borghese di svolgere la sua funzione progettuale, amministrativa, organizzativa, e giustificava il suo diritto alla proprietà.
Da quando le tecnologie dell’intelligenza hanno reso possibile la standardizzazione dei processi di progettazione coordinamento e amministrazione che un tempo erano fuse con la funzione proprietaria, le funzioni intellettuali si sono trasformate in funzioni del lavoro dipendente.
La borghesia competente è stata sostituita da un ceto che fa della competizione l’unica regola e l’unica competenza. Ma quando si parla di competizione non è forse evidente che il più competitivo è colui che sa eliminare gli avversari? E quando si tratta di eliminare non bisogna andarci troppo per il sottile.
Dal momento in cui la proprietà non coincide più con la persona, ma con un pulviscolo di frazioni di investimento, la competizione prende il posto della competenza. Naturalmente nella produzione molte altre competenze sono necessarie, ma queste sono scorporate dalla funzione d’impresa. Ogni competenza intellettuale che non sia quella speculativa è precarizzata, svalutata, mal remunerata. Solo chi ha sviluppato un’accentuata competenza nella funzione manageriale può arricchirsi con il suo lavoro. E cos’è la funzione manageriale, quando scorporata dalla specificità delle competenza intellettuale concreta? La menzogna, il raggiro, il falso in bilancio, l’evasione fiscale, e in caso di bisogno l’eliminazione fisica dei concorrenti, la tortura, il genocidio. Su questo piano la Halliburton è molto più efficace ed efferata che il clan dei Casalesi o dei Corleonesi.
L’ignoranza assurge al potere, e le scelte economiche si compiono in base alla sola considerazione del massimo profitto immediato. La sola cosa che conta è ridurre il costo del lavoro, dato che la competitività consiste in questo, non certo nel produrre qualità. Di conseguenza l’ultima parola nelle scelte produttive non ce l’hanno i chimici o gli urbanisti o i medici, ma coloro che posseggono competenze manageriali, cioè coloro che hanno la capacità di abbassare i costi del lavoro e di accelerare la realizzazione del profitto. La dinamica del neoliberismo ha distrutto la borghesia e l’ha sostituita con due ceti distinti ed opposti: da una parte il cognitariato, lavoro precario cellularizzato dell’intelligenza, dall’altra parte il ceto manageriale che possiede un’unica competenza: la competenza in competitività. E quando le cose vengono condotte al loro limite estremo, come accade in territori sempre più vasti della produzione capitalista globale, la competizione diviene eliminazione armata del concorrente, imposizione armata di un fornitore, devastazione sistematica di tutto ciò che non si sottomette al profitto del più forte. Quale competitore è migliore di quello che elimina il suo concorrente? E quale eliminazione è più sicura di quella che consiste nel murare vivo, scannare o sciogliere nell’acido muriatico?
Gomorra è iscritta nel codice logico del neoliberismo.
Regole
La fase neoliberista del capitalismo appare come un processo interminabile e ininterrotto di deregolazione, in realtà è l’esatto contrario. Si aboliscono le regole della convivenza e si impongono le regole della violenza. Mentre si aboliscono le regole che limitano l’invadenza del principio competitivo, si introducono automatismi sempre più ferrei nelle relazioni materiali tra le persone che divengono tanto più schiave quanto più libera è l’impresa.
Il processo di deregulation ininterrottamente elimina le regole che imbrigliano la mobilità dei fattori produttivi e limitano la potenza espansiva del capitale. Le forme di civiltà sociale e i diritti umani che si sono affermati nel corso dell’epoca moderna costituiscono regole che la deregulation deve eliminare. Le convenzioni culturali e giuridiche stabilite nel corso della modernità dal diritto borghese vengono sradicate una dopo l’altra dall’incedere della deregulation capitalistica.
Per questo il capitalismo si è trasformato in un sistema criminale e continuamente lavora ad espandere la sfera di pura violenza in cui la sua espansione può progredire senza limite alcuno.
Splatterkapitalismus: fine dell’egemonia borghese e dell’universalità illuminista del diritto.
Il crimine non è più una funzione marginale del sistema capitalistico, ma il fattore decisivo per vincere in un quadro di competizione de-regolato. Il ricatto, la violenza, l’eliminazione fisica degli avversari, la tortura, l’omicidio, lo sfruttamento di minori, l’induzione alla prostituzione, la produzione di strumenti per la distruzione di massa, la circonvenzione di incapaci sono divenute tecniche insostituibili per la competizione economica. Il crimine è il comportamento meglio rispondente al principio competitivo
Spazzatura
Per finire, l’ultimo ciclo dello Splatterkapitalismus descritto da Saviano è il ciclo dei rifiuti.
Rifiuti sono anzitutto gli uomini e le donne che il processo di valorizzazione criminale lascia continuamente lungo il suo percorso, storpiati, bruciati, gettati una fossa e poi fatti esplodere con una bomba a mano, o semplicemente umiliati, svuotati, incarcerati. A differenza della borghesia, che attribuiva un valore sacrale ai diritti umani, e li rispettava effettivamente, almeno quando si trattava delle persone appartenenti alla classe borghese, lo Splatterkapitalismus non riconosce alcun valore sacrale neppure alla vita di coloro che gestiscono potere. Per il Sistema i boss non sono che funzionari provvisorie:
“La dittatura di un uomo dei clan è sempre di breve termine, se il potere di un boss durasse a lungo farebbe levitare i prezzi, inizierebbe a monopolizzare i mercati irrigidendoli, investirebbe sempre negli stessi spazi di mercato non esplorandone di nuovi.” (222)
Marx ha descritto il processo generale di valorizzazione partendo dalla cooperazione sociale in cui si compongono infiniti atomi di tempo astratto. Alla fine della sua indagine sulla splatter-merce, Saviano cerca una metafora teorica capace di descrivere quel processo con altrettanta efficacia, ma si tratta di un’impresa disperata:
“La cosa più complicata è immaginare l’economia in tutte le sue parti. I flussi finanziari, le percentuali di profitto, le contrattazioni di debiti gli investimenti. Non ci sono fisionomie da visualizzare, cose precise da ficcarsi in mente.“
Poi, con un salto logico geniale, che permette finalmente di trovare il luogo più essenziale dell’iper-capitalismo contemporaneo, eccolo scrivere:
“Le discariche sono l’emblema più concreto di ogni ciclo economico.” ( 310)
L’Iper-capitalismo aumenta continuamente la sua capacità produttiva perché su questo si fonda il potere, non perché ci sia bisogno di produrre di più. I beni alimentari necessari a sfamare sei miliardi di esseri umani sono già largamente disponibili, ogni anno se ne distruggono milioni di tonnellate per evitare crisi di sovrapproduzione. I vestiti con cui gli umani si coprono eccedono largamente i bisogni, e ogni altra merce è reperibile nei magazzini infiniti che l’industria moderna ha provveduto a rifornire. Dunque perché si accelera si accelera si accelera, perché si impongono ritmi di lavoro sempre più forsennati, perché si corre a velocità sempre più frenetiche?
Perché l’Iper-capitalismo è intimamente Splatter.
Il capitalismo non si può più descrivere altrimenti che con la metafora (che non è poi neppure una metafora, ma una analisi clinicamente esatta) del cancro. Nelle discariche campane il cancro si nasconde malamente dietro un dirupo, sotto un leggero strato di erba marcia. Ci sono giovinotti laureati alla Bocconi che procurano alle aziende lombarde e tedesche ed emiliane territori campani in cui scaricare milioni di metri cubi di sostanze che diffondono cancro.
“Il territorio è ingolfato di spazzatura e sembra impossibile trovare soluzioni” (325).
Terre divorate dalla diossina. Ragazzini di quindici anni spediti dai camorristi della discarica a respirare l’aria densa di morte delle discariche per completare l’opera di smaltimento.
“I piccoli autisti più sentivano dire che la loro era un’attività pericolosa più sentivano di essere all’altezza di una missione importante. Nessuno di loro poteva immaginarsi dopo una decina di anni a fare la chemioterapia, a vomitare bile con lo stomaco fegato e pancia spappolati.” (329)
Le ultime pagine di Gomorra descrivono il paesaggio dei territori avvelenati dai rifiuti, dai residui, dalla spazzatura. Con un fazzoletto arrotolato intorno alla bocca per respirare meno aria possibile, Saviano si chiede che possiamo fare.
“Forse non restava che dimenticare, non vedere. Ascoltare la versione ufficiale delle cose. Mi chiedevo se potesse esistere qualcosa che fosse in grado di dare possibilità di una vita felice, o forse dovevo solo smettere di fare sogni di emancipazione e libertà anarchiche e gettarmi nell’arena, ficcarmi una semiautomatica nelle mutande e iniziare a fare affari, quelli veri.” (330)
Speranza
Alla domanda “che fare” c’è ancora risposta? C’è ancora risposta, oltre l’ovvio consiglio: non proliferate, non gettate altra carne innocente sul rogo che si diffonde? Per il momento altra risposta non c’è.
Ma sale dai quattro angoli del mondo una nuova armata, priva di bandiere, un’armata di senza futuro cui soltanto il suicidio appare come una speranza. Sembra che la principale inquietudine dei partecipanti al recente Congresso del Partito comunista cinese fossero le decine di migliaia di contadini che si uccidono perché la crescita economica li espelle dalle campagne e li riduce alla fame. E lo stesso accade in India, di fronte all’avanzare della modernizzazione industriale.
Dall’11 settembre del 2001 il suicidio è l’atto politico decisivo del nostro tempo. Quando la vita umana non vale più niente, e l’umiliazione cresce fino a farsi intollerabile ed esplosiva, forse è dai suicidi soltanto che possiamo attendere la speranza.