di Riccardo Capecchi
Chiara Cretella, Annunciazione in metropolitana, Fazi, 2007, pp. 159, € 14,50.
Tu non sei più vicina a Dio di noi;
ne siamo tutti lontani
R.M.Rilke, Annunciazione
Annunciazione in metropolitana è il secondo romanzo di una scrittrice, Chiara Cretella, capace di condensare parola poetica e impegno politico in un lirismo crudele (perché crudo e nudo e vero). Non solo: è una trasmutazione, una metamorfosi. Una rinascita – e ogni nascita o nuovo esordio ha una sua annunciazione. Ma quella di Leanna, protagonista del romanzo, già dal titolo si differenzia, pratica uno strappo rispetto alla tradizione delle pie madonne – è sotterranea, buia, metropolitana appunto. Underground, si è tentati di dire, ma con tutt’altro spessore.
Leggete il capitolo Video VIII, uno dei picchi luminosi del romanzo: rimarrete sconcertati dalla bellezza della visione, dall’esattezza e dalla luminosità stravolta di quest’angelo nuovo, a cui non stonerebbero in bocca i versi dell’Annunciazione di Rilke. E tutto il libro è una trasformazione, un passaggio – un’esplorazione dei personaggi, certo, una sorta di romanzo di formazione rovesciato, un romanzo di trans-formazione, di de-formazione. Ma attenzione a lasciarsi ingannare, a lasciarsi trasportare dalla superficie della trama senza vedere la profondità del flusso.
È possibile sintetizzare il nocciolo della storia in poche righe: Leanna, una giovane laureata in scienze politiche, conosce al funerale del padre, uomo politico invischiato in Tangentopoli, un uomo ambiguo, Alfredo, un artista gotico che pratica la body art, dall’aspetto femmineo e scheletrito, che inesorabilmente la attrae a sé in spirali di repulsione e fascino. Eppure, riassumendo la trama, si perde tutta l’energia eversiva del romanzo. Perché il personaggio di Alfredo è sublime, trascende il libro, diviene allegoria: nuovo gotico. Una versione contemporanea, fatta grumo di carne, delle tematiche neodecadenti; una singolarità, una soglia anormale e irriducibile che, come tutti i discorsi al margine, diventa un punto di vista capace di forzare categorie, minare stereotipi, far esplodere il senso comune. Esplorare questo modo “aberrante” di essere, intriso dell’odore di una morte perpetua (il contrario esatto dell’ossessione del vivere eterno, tipica dell’occidente capitalista), assume quindi i caratteri di una critica radicale.
Nel libro questa critica non risparmia niente e nessuno, neanche Alfredo stesso, che in realtà del sistema è parte, perché si limita a negare, a vivere appartato. Solo in quest’ottica si può capire la violenta domanda di Leanna che pone il problema del rapporto tra neodecadenza e rivoluzione, domanda che nel libro, a seguire pedissequamente la trama, sembra sgranata, assurda. E invece diviene fondamentale, metafisica quasi. Perché questo nuovo emergere del gotico è un evento del nostro tempo: basti pensare alla Nothomb. Ma queste riletture, che tanto successo hanno dal punto di vista editoriale, sono appiattite, disciplinate, ridotte a introspezione sterile. L’operazione di Chiara Cretella è invece, con questo romanzo, anche politica: dà nuova forma e nuova linfa a un filone neogotico, ibridandolo e riallacciandolo al reale. Leggete la descrizione dei suoi cimiteri: la tematica romantica si accosta a immagini palpabili, concrete, vive. Consiglierei a chiunque abbia letto e apprezzi la Nothomb di avvicinarsi ad Annunciazione in metropolitana, con la speranza che queste visioni possano aprire dei varchi, dei piccoli buchi nella scatola cranica per liberare la mente dagli stereotipi di certa letteratura.
Proprio le visioni assumono un’importanza fondamentale in un romanzo così autentico e raffinato. Alcuni capitoli del libro si intitolano “video”, seguiti da un numero. Il lettore è portato a pensare che siano descrizioni di performance artistiche filmate (Alfredo pratica una body art estrema, a cui ben presto Leanna partecipa diventandone soggetto), ma ci si rende conto ben presto che esse si trasformano in visioni, sogni, allucinazioni, quadri. E forse quel video sta nel suo senso latino per “vedo”, vedo davvero, autenticamente: ho una visione. Non relegando per questo Leanna nella schiera degli anormali, dei folli – è tutto molto naturale, descrive quel che ha chiaramente veduto.
La tematica del corpo è centrale e viene scavata in modi originali e profondi: questo percorso fatto di immagini vivide ci riconduce a Deleuze, attraverso le meditazioni femministe di Donna Haraway e di Rosi Braidotti. Ma va sottolineato che il libro, così scorrevole, è sostenuto da una struttura da romanzo decadente (cenni di Hoffmann, Rachilde, Gautier, Tarchetti e Boito, soprattutto, del quale Cretella è attenta studiosa), che si ibrida con l’odierno. Non a caso leggendo, si avvertono echi di Benn, il Gottfried Benn venticinquenne di “Morgue”, e alcuni passi richiamano i diorami di Frederik Ruysch, anatomista olandese a cavallo tra il ‘600 e il ‘700, esperto nei procedimenti di conservazione degli organi, che progettò e realizzò composizioni barocche con ossa umane e ramificazioni venose, nonché le suggestioni di Paolo Gorini, imbalsamatore lodigiano vicino alla Scapigliatura. Il rapporto arte-scienza come quello arte-medicina è centrale ed è focalizzato nella contemporaneità attraverso le sue ascendenze classiche. Lo stesso moto bipolare di profondo disgusto e sotterranea attrazione verso la morte culmina nella scena finale dell’ultimo capitolo (un’altra visione, Video IX, l’ultimo frammento), in cui l’autrice inizialmente ricalca l’atmosfera dell’ara settecentesca del Teatro Anatomico (sembra quasi di avere sotto gli occhi La lezione di anatomia del Dottor Tulp di Rembrandt), ma poi effettua una crasi sorprendente, un’ibridazione acuta, descrivendo la pratica degli aborti clandestini delle femministe degli anni Settanta. Una sorta di “anatomia estetica” per citare Boito, calata nella chirurgia estetica (qui estetizzante) della manipolazione maschile sul corpo femminile.
Proprio il femminismo, quasi come un’amica con cui confrontarsi, compare nel dolcissimo ritratto di Lucrezia. Rispetto al libro precedente, Gli insetti sono al di là della mia compassione (Pendragon, 2003), la Cretella mostra vistosi cambiamenti, una crescita di stile, di profondità, quasi di tocco. Ma qualcosa rimane. Anche questo romanzo esplora il rapporto dialettico amore/crudeltà che oggi domina questa nostra sensualità impaurita aggressiva irrequieta. La frase-epitaffio, secca, in quarta di copertina lo sottolinea bene, lo individua come chiave: “Solo la crudeltà è amorevole”. E forse è ancora una concezione statica, meccanica, ma nel romanzo, verso la fine, questo modo di intendere il discorso amoroso come una serie di rapporti di dominazione/sottomissione mostra delle crepe, è messo in crisi, cede alla grazia aliena degli insetti, a questa sensazione quasi biologica di trasformazione di corpi e oggetti che pervade il testo e che senza mezzi termini definisco poesia – ciò che più ho apprezzato del romanzo.
L’angelo di Rilke annuncia “tu che il mio canto intendi sola: / in te si perde la mia parola / come nella foresta”. Mi auguro che il canto di Chiara possa essere inteso da molte donne, e che questa pianta possa continuare a crescere e a trasformarsi, libera dalle ottusità del mercato, biologica come gli splendidi versi di Giorgio Celli citati nell’introduzione e in chiusura, una sorta di cornice ideale del romanzo: “la storia è un’illazione della vita”.