di Cristiano Governa
“C’è una donna che mi telefona da casa tua” mi ha detto stamattina Valerio Evangelisti.
Provo a pensarci. Questa frase sarebbe uno strepitoso elemento detonatore per un noir, una donna sconosciuta che, dal mio numero telefonico di casa, cerca il ‘papà’ dell’oscuro Eymerich.
Ma parlandoci, io e Valerio capiamo subito che il nostro modo di porci di fronte agli enigmi è quello di coltivarli, fare in modo che crescano, lasciandoli in pace a produrre ansia e, se tutto va bene, un filo d’angoscia. Un’inerzia produttiva direi.
E allora chiacchieriamo un po’ del mio nuovo romanzo Il catechista (Aliberti editore), che Valerio pare abbia molto amato e delle motivazioni contemporanee (quasi di cronaca) che mi hanno spinto a scriverlo. Gli parlo, gli spiego cosa ho visto per arrivare a scrivere la storia di un catechista oscuro ma cordiale, col cui arrivo in parrocchia però, coincidono alcune sinistre sparizioni di bambini.
Un giovane apparentemente ossessionato dalla televisione, dalla moda e dal gossip. Una figura in tutto e per tutto “buona e positiva” che però potrebbe avere qualche “piccola, sanguinaria, controindicazione”. E come controindicazione secondaria c’è che, alla gente, se lui è “carino, frizzante e alla moda”, delle sue ‘piccole controindicazioni sanguinarie’ non importa assolutamente nulla. Perché sarà anche il Demonio “ma perlomeno conosce i p.r. delle discoteche ed sempre pieno di donne”. Insomma, ho voluto provare a raccontare cosa succede in un posto dove ci si preoccupa solo di acciuffare gli assassini ma non i colpevoli. Cosa accade se accettiamo per un attimo di ipotizzare che il Diavolo, all’estremo ballottaggio con Dio, ha vinto le elezioni e che i voti decisivi sono stati quelli degli astenuti. Che astenersi è demoniaco.
Fateci caso, in ogni sondaggio che leggete, c’è da perderci la calma. Provate a chiedere una roba delirante: “Vi piace incaprettare bambini?” Il 95% degli intervistati risponderà ovviamente no. Il 2% degli intervistati, se sono certi dell’anonimato, diranno di sì. Ma fin qua, ancora, nessun ‘problema’ (si fa per dire, nessun problema). E’ quel 3% che a una domanda di questo genere risponderebbe “non so” che inquieta. I “non so” sono ovunque. Sono i paladini del “non giudicare”coloro che non applicano tale regola ma che semplicemente la ripetono all’infinito, tanto è sporca la loro coscienza e tanto si augurano che non tocchi a loro di venire giudicati. Non gli conviene. E così abbiamo scoperto che esser buoni è il modo migliore per potere vivere da veri infami, che non giudicare è la chiave per poter commettere ogni nefandezza e che la televisione è il ring, dove si impara a comportarsi così.
Per il mio libro cercavo una figura demoniaca che operasse attraverso la bontà e l’altruismo, e credo che l’amico Gabriele Romagnoli abbia colto nel segno quando, del protagonista del romanzo, dice: «Kaiser Souze ne I soliti sospetti ci aveva insegnato che la beffa più grande del diavolo è stata convincerci della sua inesistenza. Cristiano Governa ne Il catechista ci insegna che può fare di peggio: convincerci che è un messaggero di Dio, della nostra canzone preferita, dell’ideologia di riferimento. Che è (già) dentro di noi». Se è così son già contento.
Là fuori, non c’è bisogno che ve lo dica, è pieno di infami: criminali, assassini, stupratori, dittatori, corrotti, guerrafondai. E poi c’è anche un sacco di gente per bene.
E poi, infine, c’è una fetta di umanità che non si sa bene cosa sia, ma intanto balla, fa festa continuamente, reclama superficialità (non leggerezza) e si diverte.
Come dire, “Ok siamo all’inferno, ma intanto pompa sta canzonetta che mi piace tanto…”.
Insomma uno strato sociale che è disposto a commuoversi per tutto ma a muoversi per nulla, che adora compatire ma non è disposto a patire, una categoria pronta a piagnucolare se fallisce l’harem felino di una gattara di periferia ma che se ne sbatte di ogni essere umano realmente solo e disperato. Mi ricordo John Carpenter, il regista horror, che in un’intervista diceva “People wanna be scared. But not too much”. Insomma, ci piace avere paura, ma non viverci. Allo stesso modo, è gradevole ogni tanto piagnucolare per le sorti di un qualche orfanello di chissà quale posto sperduto del mondo, poi però di suo padre senza gambe grazie a una delle nostre mine, o di sua madre che, per mangiare un po’ delle nostre merendine cancerogene, si squassa e si ammala di lavoro in una fabbrica di palloni da calcio, ce ne frega il giusto.
La prostituzione dicevamo prima; già, qual è lo stato della prostituzione nel nostro paese?
Modesto. Una volta le ‘signorine’ aspiravano a fare le attrici, sognavano il palcoscenico, desideravano in grande. Oggi, sembrano maggiormente interessate a un toga party nel locale estivo giusto, o ad una comparsata nel programma televisivo più d’accatto del momento. E poi, se è proprio necessario per mantenere questo ‘status’, sono disposte anche a fare Beckett a teatro. Sperimentano, purine.
Ma la reale differenza fra le puttane di tanto tempo fa e quelle contemporanee è che le prime avevano pudore; il tocco da fuoriclasse per chi, dell’impudicizia, fa il proprio stigma esistenziale.
In questi giorni è in atto una formidabile operazione di prostituzione applicata alla coscienza collettiva; è scoppiata ‘paparazzopoli’, politici, imprenditori, uomini di spettacolo, rampolli dell’Italia bene e futuri comandanti della prossima economia, tremano.
E sapete perché? Perché pagano per fare sesso.
Pare infatti assodato che, i precedenti penali, le collusioni con la mafia, le bancarotte fraudolente, non vadano minimente a intaccare l’opinione che molte persone hanno di loro. Giudici antimafia spappolati sull’asfalto, industrie (e quindi lavoratori) mandate a gambe per aria e miriadi di risparmiatori gettati sul lastrico, non impediscono, in questo strano paese, di avere un ‘credito’. Di destare ottimismo.
Se cerchi amore pagando, però, le cose cambiano. E si scatena il più osceno e postribolare dei Demoni, quello del “siamo tutti uguali”, sempre pronto a suggerirci (mentendo) che un politico che va a puttane è uguale a uno che ha precedenti per mafia, bancarotta o corruzione. Ed è così che una nazione si avvia, allegramente, a puttane.
“Mi scrivi una cosa così ? – prosegue Valerio a chiacchierata ultimata — Piena di rabbia però…”. Io accetto, ottenendo in cambio, il permesso di tramutare la rabbia in sconforto. E credo di averla scritta, dunque, “una cosa così”. Ebbene sì, sono anni che di fronte a qualunque libro presentato, film girato o disco registrato, sento gli autori affermare che il loro intento era quello di portare “…un contributo di ottimismo e di speranza. Ché ce n’è tanto bisogno”.
Ma siamo sicuri? No, perché io, devo dirvi la verità, di certi ottimismi per endoscopia ne avrei un po’ abbastanza. E se ci fosse bisogno di scoramento? Ecco, questo è il mio contributo di sconforto da mettere vicino alle vagonate di contributi di ottimismo che ricevete ogni giorno.
Annusateli, vedete voi stessi, cosa puzza di più. Flannery O’Connor, che non mi pare il massimo del nichilismo, diceva: “I mortally and strongly defend the right of the artist to select a negative aspect of the world to portray… Of course you are only enabled to see what is black by having light to see it by”. Chiaro no? E se dunque, per concludere, accettare la sconfitta, la catastrofe della contemporaneità fosse un modo più efficace per fare luce e guardare avanti? Per ripartire?
Ma poi, dov’è che vorreste andare?
P.s. Hai ragione Valerio, ho scritto un romanzo noir/horror, è vero. Ma appena avevo finito, la realtà faceva nuovamente più paura di me.