di Cristina Rosati
Oscar Marchisio, Jadel Andreetto, Bologna Operaia. Inchiesta fra i metalmeccanici, ed. Socialmente, 2007, € 15,00.
Il modo migliore per dare un volto a ciò che si vuol descrivere è lasciare la parola al soggetto interessato. Nel libro Bologna Operaia, inchiesta fra i metalmeccanici sono i lavoratori a raccontarsi, in questo modo l’ideologia non trova spazio e l’analisi resta il più possibile legata ai fenomeni, alla realtà così come si manifesta. Eppure quello che colpisce l’attenzione e che scavalca le settanta interviste realizzate in tredici fabbriche bolognesi è quello che è tenuto fuori, il non detto. Non si possono descrivere solo con le parole i volti dei soggetti intervistati, la propria vita prima e dopo il tempo della fabbrica, e soprattutto non si può parlare con chi non ha nessuna intenzione di risponderti.
E’ forse il caso degli operai della Titan, una delle fabbriche analizzate nel libro dove con più fatica — raccontano gli autori — si è riusciti a entrare in contatto con i lavoratori. Forse il motivo di questa difficoltà sta nei cancelli di ferro, nelle alte mura di cinta e nel filo spinato, o anche negli stessi soggetti dell’inchiesta, poco disposti a raccontarsi, anestetizzati dal silenzio della stanza comune inondata dall’unico suono dello schermo televisivo.
Situazione opposta a quella della Lamborghini, dove con facilità gli autori sono entrati nei luoghi del lavoro, hanno mangiato con gli operai e visitato la catena di montaggio. Si tratta di due esempi che stanno agli antipodi, ma che vanno a delineare un’area comune: la ricerca della “geografia dell’identità” della classe operaia.
Il procedimento utilizzato è quello non a caso dell’inchiesta, metodologia cara alla tradizione operaista degli anni sessanta il cui presupposto è l’esistenza di un soggetto di classe, il soggetto operaio. La ricerca dei processi che concorrono alla costruzione dell’identità mette in evidenza uno scenario frammentato e pulviscolare che difficilmente si può assimilare. La frattura della memoria, la in-coscienza del legame tra lotte sindacali e diritti è sicuramente uno di questi tratti, così come la solitudine e la mancanza di solidarietà all’interno di una classe che continua a esistere, nonostante la perdita della memoria.
Ma il dato più interessante si costituisce fuori dallo spazio-tempo della fabbrica, nella ricerca di uno status diverso da quello reale. Possedere più di un telefono cellulare o un Suv sono una parte determinante nella costituzione dell’identità operaia, a costo di arrivare a fine mese strozzati dalle rate da pagare, tanto da non potersi permettere neanche un’ora di sciopero.