di Tito Pulsinelli
Tra gli abbonati vitalizi alle fesserie, si pavoneggiano quelli che estraggono spavaldi dal taschino, come si trattasse di un asso pigliatutto, l’etichetta adesiva multiuso dell’ »antiamericanismo ». E te la appiccicano addosso come un’arma impropria. Come un minaccioso prologo di ogni discussione, su qualsiasi argomento, inerente quel Paese che confina a nord con il Canada e a sud con il Messico.
Per non essere marchiati a fuoco da questa stigmate — come nuovi bufali della prateria globale – bisogna accettare senza fiatare guerre d’aggressione di vecchio stampo coloniale, o basi militari più grandi delle città che le ospitano.
Le critiche all’armamentismo di un governo di “sinistra” che decide di comprare 133 nuovi aerei da guerra agli Stati Uniti — in acrobatica simbiosi con quello di “destra”- sarebbero un’espressione di vetusto “antiamericanismo”. Persino dire che gli “States” vantano il record mondiale dell’obesità è una bassa manifestazione di pervicace « antiamericanismo » culturale. Perdono con Cuba nei mondiali di baseball? Non cronaca sportiva, ma “antamericanismo”.
I nuovi abbonati alle fesserie, per intenderci quelli della leva post-crollo del Muro berlinese, come tutti i neofiti sono più patetici. Esibiscono un candore di circostanza, e fingono di ignorare la banale differenza esistente tra un governo e la sua cittadinanza. Nella lingua da loro gettata alle ortiche si diceva capi e masse, élite e popolo.
Governo di Washington ed elettori statunitensi non formano un’equazione perfetta, non sono la medesima cosa. E’ la differenza concreta esistente tra rappresentanti e rappresentati, a tutto vantaggio di questi ultimi, anche in Italia.
Chi si oppone alle senili velleità tardo-imperiali di Blair, non è antibritannico e ancor meno potrebbe essere antieuropeo. Chi combattè contro il nazismo, o contro l’uso di armi chimiche durante la conquista della Libia, non era antieuropeo ma antinazista e antifascista.
E’ umanamente impossibile essere “antiamericano”, per la semplice ragione che identificare una nazione con un intero continente è un atto di ignoranza criminogena. Per usare un termine alla moda, si tratta di un negazionismo con cui si pretende cancellare il passato e il presente del continente America, il genocidio delle popolazioni native amerindie e la massiccia importazione di schiavi dall’Africa.
L’usurpazione del nome del continente è stato il primo atto totalitario dei fondatori degli Stati Uniti, rivelatore della loro vocazione espansionista, inscritta nel codice genetico fondamentalista del “destino manifesto”. I brasiliani, messicani, paraguayani, ecuadoriani, colombiani, guyanesi, dominicani, guadalupani, ecc. ecc., sono americani ma non hanno nulla a che spartire con le atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Né con la guerra contro il Vietnam, l’invasione dell’Iraq, il bombardamento di Città del Panama, o con la casa delle torture di Guantanamo. Please!
Continuare a chiamare “americani” gli abitanti dei territori su cui sventola la bandiera con le stelle sbarrate, è sintomo di una sudditanza datata, che riproduce una mentalità post ’45, da sciuscià-e-segnorine. Neorealista, ma non europea, ancora da protettorato. E’ l’accettazione acritica, da parte dei vinti, delle categorie e dei valori dei vincitori. E così lo interpretano tuttora gli attuali inquilini della Casa Bianca.
Alla lettera aperta dell’Internazionale Anglosassone per fare pressing sulla Farnesina e strappare spedizioni supplementari di fanti in Afganistan — ce lo dovete perche vi abbiamo liberato!- è stato risposto timidamente in diplomatichese. All’arroganza di chi si sente titolare di un credito inestinguibile ed eterno, non si è replicato con un “no, abbiamo già dato”. Servitù militari, basi terrestri, sotterranee e sottomarine, nucleari e non.
Tutti i governi che si sono succeduti fino ad oggi a Roma, hanno zelantemente occultato il regime giuridico con cui le basi vanno in concessione. Servitù volontarie o imposizioni all’Italia inserite nei trattati di pace dai cari « alleati »? C’è una data di scadenza? A 62 anni dalla fine della guerra gli italiani hanno il diritto di sapere, con o senza “antiamericanismo”.
Oltretutto, il contributo alla costruzione del mondo multipolare passa obligatoriamente attraverso la crescita dell’autonomia europea. L’UE non può limitarsi all’identità spuria di un meta Stato neoliberista —c ara ai banchieri e ai tecnocrati – di mercato-moneta. E basta.
E’ una corsa al precipizio per sradicare le peculiarità del proprio sistema sociale e diventare forzatamente la gemella siamese degli Stati Uniti. Al polo europeo è indispensabile una politica estera coerente e un proprio sistema di difesa autonomo. Dal neoliberismo di sinistra non ci si deve aspettare l’impossibile, perchè la sua identità originaria è rimasta sepolta nella Pompei del trasformismo modernista. Sia almeno europeista.
Fino a quando il ritmo dell’allargamento a est sarà dettato e regolamentato dalla NATO, l’Unione Europea è come un volatile con il piombo nell’ala, e potrà volare solo basso. Al resto ci penserà l’inqualificabile principio dell’unanimità, valido quando i membri erano 6 Stati, fondatori e sostanzialmente equivalenti. Impraticabile oggi, con 26 membri, dove la Lituania o Cipro hanno lo stesso potere decisionale della Germania. Così Washington dispone di numerosi valvassini, nel Baltico o nei Carpazi, con cui porre il veto e bloccare l’autonomia geopolitica europea.
L’attuale governo, invece, razzola in ben altri parraggi, e mostra un atlantismo passatista, a tutto campo. Siamo più o meno ai tempi di De Gasperi, Scelba, Fanfani e Saragat.
Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, il ministro della Difesa italiano è andato giù piatto. La “dottrina Parisi”, improntata ad un atlantismo ultras, si spinge a stabilire una inedita e sorprendente equivalenza tra Nazioni Unite, NATO ed Unione Europea. In sostanza, è lecita qualsiasi aggressione militare o invasione, basta che sia stata programmata dalla NATO, benedetta da Bruxelles o —molto in subordine – ratificata dall’ONU.
I foschi propositi sciorinati in pubblico da Parisi, che radicalizzano le complicità createsi ai tempi dell’aggessione alla Jugoslavia, hanno meritato una replica secca della Russia. L’Europa, con sommo gaudio degli USA, fece la guerra contro se stessa, partorendo la nuova NATO.
“Forse non ho compreso bene — ha detto Putin – o il ministro italiano si è espresso in modo inesatto. Ho capito che l’uso della forza è legittimo quando lo decide la NATO, l’UE o le Nazioni Unite. Se è davvero così, la pensiamo diversamente. Non abbiamo la necessità di sostituire le Nazioni Unite con la NATO o l’Unione Europea”.
Purtroppo Parisi si è espresso bene, e ci aiuta a capire che la concessione della città di Vicenza alle forze armate degli Stati Uniti non è un incidente di percorso. Si abbina alla fregola di contribuire generosamente a quel 47% del Prodotto Interno Lordo degli USA costituito dall’esportazione di tecnologia bellica. Consacra la visione di un’Italia subordinata, servile, incapace di dare — come in altri tempi – un contributo sostanziale all’edificazione europea.
Il neoliberismo di sinistra è connivente con gli Stati Uniti, anche quello guidato dal fascismo neoconservatore. Fanno sberleffi a quelli che osano parlare di antimperialismo, ma non fece una piega quando alla Casa Bianca sognavano ad occhi aperti l’impero, e deliravano sulla “nuova Roma, nella fase di transizione da Repubblica a Impero”.
Prodi concepisce l’Europa come socio di minoranza di un duopolio che vorrebbe dettare legge sulle materie prime al sud del mondo. E imporla con il bastone della NATO.
E’ il dramma di una oligarchia che non ha coscienza delle potenzialità e dei compiti storici del blocco che disgraziatamente dirige. Si attarda sulle sciocchezze propagandistiche “antiamericaniste”, risuscita fantasmi di piombo, invecchia negli studi televisivi, ma ignora Z. Brzenzinsky e il suo teorema. L’egemonia degli Stati Uniti si garantisce con la separazione permanente della penisola occidentale europea dalla massa territoriale eurasiatica.
L’egemonia degli Stati Uniti si garantisce con la separazione permanente della penisola occidentale europea dalla massa territoriale eurasiatica.
Il piccolo Ecuador “populista”, nel frattempo, ha la forza di sfrattare l’unica base nordamericana presente nel suo territorio. Per non essere “antiamericani” basta conoscere un minimo di geografia. Per essere almeno europeisti, sono insufficienti le pose moderniste e un lessico depurato di senso sociale e di prospettiva geopolitica.