di Girolamo De Michele
La riedizione delle Conversazioni di Gilles Deleuze con l’allieva Claire Parnet (Ombre Corte, 2007), arricchita da una post-fazione di Toni Negri (in realtà la recensione dello stesso alla prima edizione) viene a colmare una grave lacuna negli scaffali delle librerie, e fornisce l’occasione per un bilancio sul pensiero di Deleuze e su uno dei suoi libri più importanti. Provocatoriamente, vorrei dire: forse il più importante. Deleuze è — chi lo ha letto lo sa bene — un pensatore plurale. E quando unisce la sua pluralità a un autore dotato della stessa pluralità, come è avvenuto con Félix Guattari, la sua capacità di divagare apparentemente senza un filo argomentativo, tessendo una rete — o meglio: un rizoma — viene esaltata. È così che avviene il piccolo miracolo filosofico di un pensiero che sa farsi mondo, ripiegandosi e dispiegandosi continuamente.
Ora, Claire Parnet è più che un’allieva: è un’interlocutrice preziosa, una di quelle figure apparentemente “minori” dotate della capacità di innescare una reazione, di produrre quella scintilla tra allievo e maestro in cui Platone riteneva consistesse la filosofia. A Claire Parnet dobbiamo il progetto dello straordinario Abecedario di Gilles Deleuze (Derive e Approdi, 2006), la lunga video-intervista filosofica suddivisa in 24 voci: un tentativo di ordinare il pensiero di Deleuze, una lunga battaglia nel corso della quale continuamente Deleuze evade dai vincoli dell’ordine argomentativo. Un conflitto cortese fra ordine e disordine. In queste Conversazioni, invece, Deleuze è totalmente libero. Il libro non riporta quasi mai le domande, non suddivide le parole di Gilles da quelle di Claire: il divenire-pensiero di Deleuze entra in concatenazione col divenire-donna di Claire. Non è per caso, come sottolinea Negri, che in questo libro ci sono alcune delle migliori pagine, e alcune delle migliori figure, che Deleuze ha dedicato al femminile, al divenire-donna, appunto. Deleuze e Guattari hanno detto di aver scritto L’Anti-Edipo per lettori dai 14 ai 18 anni: per menti libere, non ancora assassinate dalla storia della filosofia, dagli schematismi interpretativi, dalle ermeneutiche. Personalmente non ho mai tentato l’esperimento con L’Anti-Edipo: ma ho messo queste Conversazioni nelle mani di lettori di 16-17 anni, con risultati entusiasmanti. Ecco perché dico: il libro più importante. La porta d’ingresso nel pensiero di Deleuze, sicuramente. Ma anche la porta d’uscita, una porta girevole che può proiettarci verso un al di là, un fuori, un altrove: ma può anche riproiettarci nel cuore del pensiero deleuziano, per rimettere tutto in questione. In nessun altro luogo Deleuze è riuscito a condensare la potenza del proprio pensiero, la straordinaria varietà dei temi trattati e dei concetti inventati. Soprattutto, mai come qui Deleuze fa emergere le urgenze, le esigenze che stanno dietro e fuori la riflessione filosofica, e che nondimeno la producono: «Non c’è alcun bisogno di filosofia: essa viene prodotta forzatamente là dove qualsiasi attività spinge in avanti la propria linea di deterritorializzazione. Uscire dalla filosofia, fare non importa cosa, in modo da poterla produrre dal di fuori. I filosofi son sempre stati un’altra cosa». Negri suggerisce, in conclusione della sua post-fazione, di usare questo libro come una sorta di breviario laico, «da leggere forse il mattino, prima di uscire di casa, se si vuol resistere, nel quotidiano, al quotidiano. Se con dolcissima radicalità, si vuol vivere». Può essere uno dei tanti modi di mettere in produzione questo libro (l’esegesi erudita la lasciamo volentieri ad altri): ricavarne il proprio personale Abecedario, concatenarsi con questo pensiero. Tentiamo qualche esempio, a mo’ di resistenza al quotidiano. V come Vita, ma anche P come Poteri: «Viviamo in un mondo piuttosto sgradevole, dove non soltanto la gente, ma anche i poteri stabiliti hanno interesse a comunicarci degli affetti tristi. Il tiranno, i preti, i compratori d’anime hanno bisogno di persuaderci che la vita è dura e pesante. I poteri hanno meno bisogno di reprimerci che di angosciarci». A come Amore, ma anche D come Dignità: «L’amore è nel fondo dei corpi, ma anche su questa superficie incorporea che lo fa avvenire. Cosicché, agenti o pazienti, allorché agiamo o subiamo, resta sempre a noi di essere degni di ciò che ci accade». S come Spinoza, ma anche A come Anima: «L’Anima e il Corpo, l’anima non è né sopra né dietro, essa è “con”, e sulla strada, esposta a tutti i contatti, gli incontri, in compagnia di coloro che la seguono sullo stesso cammino morale della salvezza, insegnare all’anima a vivere la propria vita e non a salvarla». S come Soggetto, ma anche C come Collettivo: «Le differenze non passano fra individuale e collettivo, dal momento che non ci risulta visibile alcuna dualità fra i due tipi di problemi: non c’è soggetto di enunciazione, ma ogni nome proprio è collettivo, ogni concatenamento è già da subito collettivo». Si potrebbe, e si dovrebbe, continuare. Ma c’è un’altra ragione ancora per leggere queste Conversazioni: le pagine sulle linee di fuga e i loro pericoli. Deleuze è il filosofo della gioia, certo: ma non può essere confuso con gli apologeti della fuga per la fuga, come accadde a qualche stolto che all’uscita di questo libro, credette di vedervi un pensiero debole o un cedimento al postmodernismo à la page (anche a Calvino, e negli stessi anni, toccarono le stesse sciocche etichette per aver nominato e praticato la “leggerezza” del divenire plurale e molteplice): «il grande errore sarebbe quello di credere che una linea di fuga consista nel fuggire la vita; la fuga nell’immaginario o nell’arte. Ma fuggire al contrario significa produrre del reale, creare vita, trovare un’arma». Bene, chi voglia provare a costruire (sulla scia di Bifo, che ci lavora da anni) una teoria deleuziana delle passioni tristi, della depressione sociale, delle linee di distruzione, trova qui una insospettata cassetta degli attrezzi: «i segmenti che ci attraversano e per i quali noi passiamo in ogni caso sono contrassegnati da una rigidità che ci rassicura, anche se fa di noi le più paurose di tutte le creature, come pure le più impietose, le più amare». Non per caso queste pagine sono nella sezione “Politiche”: perché il lavoro di resistenza contro lo Stato e i suoi poteri è un lavoro che richiede anche un paziente esercizio su di sé. Non è possibile non cogliere i toni foucaultiani di queste parole, registrate nel 1988. Oggi che queste Conversazioni sono nuovamente disponibili, e la pubblicazione dei Corsi di Foucault ci restituisce le sue parole dei primi anni Ottanta, scopriamo come le comuni (anche se indipendenti) riflessioni dei due filosofi sulla società di controllo siano solo un aspetto di un reciproco divenire comune di Foucault e Deleuze: un pensiero di resistenza contro i poteri e gli apparati che disciplinano la vita, ma anche contro quei micro-fascismi che, dentro di noi, ci fanno amare il potere.
questa recensione è stata pubblicata su Liberazione del 20 febbraio 2007
dall’Archivio di Carmilla:
testi di Gilles Deleuze:
Filosofia del noir
La società del controllo
testi su Gilles Deleuze:
Deleuze contro la stupidità, di François Zourabichvili
Il caotico movimento della lingua. Pasolini Deleuze Guattari, di Girolamo De Michele