di Jedel Andreetto
Ogni fenomeno ha una sua spiegazione sociologica, sempre necessaria e sempre insufficiente.
(Nicolás Gómez Dávila)
Sulla pagina della cronaca di Repubblica del 25 gennaio c’è un articolo a firma di Anna Maria de Luca: “Processo in Italia ai golpisti argentini.” (1)
Bene.
Bene?
La vicenda bene, ovvio. L’articolo male. Molto male.
Tempo fa sull’ “Internazionale” Lisbeth Davidsen (2) scrivendo del giornalismo italiano si lamentava del fatto che esso non riporti i fatti ma si limiti a esprimere opinioni ammiccando ai lettori di riferimento.
Ma vediamo, nello specifico l’articolo della de Luca:
“ROMA – Nella giornata della memoria, la sala bunker di Rebibbia echeggia di ricordi e dolore. Dante Gullo, leader della Gioventù peronista, al banco dei testimoni. È italo-argentino ed è stato prigioniero in Argentina per otto anni e otto mesi (dal ’75 all’83) senza mai essere processato. Ora lotta perché in Italia sia fatta quella giustizia che nel suo Paese è venuta meno a colpi di immunità.”
e poi: “Imputati, in base alle norme del diritto internazionale: Emilio Eduardo Massera, comandante della Marina militare argentina – uno dei pochi stranieri nelle liste di iscritti alla loggia massonica P2 sequestrate a Licio Gelli nel 1981 – e gli ufficiali del Grupo de Tarea 3.3.2 Jorge Eduardo Acosta, Ignacio Alfredo Astiz, Raul Jorge Vidoza, Antonio Vanek e Antonio Hector Febres. Sono accusati di crimini contro l’umanità. Ovviamente sono tutti contumaci: stanno in Argentina. Alcuni di loro sono latitanti, altri in attesa di giudizio […]”
Dunque: In Argentina gli ex militari responsabili di crimini contro l’umanità sono immuni, latitanti e in attesa di giudizio. E quindi la giustizia deve essere fatta in Italia.
Un paio di domande sorgono spontanee:
– Se sono immuni come mai sono in attesa di giudizio e che motivo hanno per essere in latitanza? Che non siano proprio immuni?
La risposta è semplice: non sono più immuni.
– Giustizia deve essere fatta in Italia? E in Argentina che succede? Dobbiamo intervenire noi, perché loro, non sono in grado? Attenzione non si stanno mettendo in discussione i processi sacrosanti che si sono svolti e che si stanno svolgendo qui da noi, ma semplicemente il tono dell’articolo. Sarà un impressione personale, ma ripensandoci bene, sembra di leggere tra le righe: In Argentina, è tutto marcio e corrotto e noi abbiamo il diritto morale di intervenire. Loro non ce la possono fare e quindi tocca a noi che siamo così progressisti e di sinistra… (l’ammiccata ai lettori di Repubblica è forse tutta qui) È davvero così?
In Argentina, le cose sono cambiate. Dopo l’elezione di Nestor Kirchner l’atteggiamento del Governo nei confronti delle persone implicate è completamente diverso da quello mantenuto fino al crac economico del 2001.
La mediaborghesia progressista plaude all’operato del Presidente in carica (molti altri lo ritengono un demagogo populista, lontano anni luce dal socialismo); il ministro della difesa è una ex montonera; le Madri di Plaza de Mayo hanno marciato per l’ultima volta il giorno di Santo Stefano del 2006 dopo 25 anni e 1500 giovedì e Hebe de Bonafini, portavoce del gruppo, ha dichiarato che non marceranno più perché alla Casa Rosada non c’è più un nemico anche se molte altre associazioni di “Derechos Humanos” non sono d’accordo con lei.
Kirchner è apparso a reti unificate il 29 dicembre scorso (3), in occasione della scomparsa di Luis Gerez, testimone chiave a uno dei processi in questione, affermando: “[…] Sono poco più di cento giorni che mani anonime hanno sequestrato il testimone del caso Echecolatz, Jorge Julio López. Sono due giorni che non abbiamo notizie del testimone del caso Patti, Luis Gerez. Tutto fa pensare che, in entrambi i casi, sia responsabile la mano de obra desocupada (4) ossia elementi paramilitari e parapoliziali, che vogliono mantenere la loro impunità.
Si tratta della stessa metodologia che venne utilizzata nello storico giudizio alla giunta militare: ricattare per ottenere impunità. In quel momento ottennero le leggi de Obediencia Debida y Punto Final (5) […] Noi non cederemo davanti al ricatto. Non permetteremo che si fermino i processi. Al contrario chiediamo celerità alla giustizia affinché giudichi, affinché si giunga una volta per tutte a giuste sentenze e affinché gli assassini stiano nel posto in cui devono stare. In carcere. Parte del problema che stiamo affrontando riguarda la lentezza della giustizia, come alcune libertà concesse e riconosciute a delinquenti contumaci in modo inspiegabile. Le istituzioni pubbliche, a tutti i loro livelli […] devono riaffermare la loro inequivocabile posizione di difesa dello Stato di Diritto. Rispetto dei diritti umani, e applicazione severa della legge, sono più che convinzioni personali, rappresentano la decisione sociale di vivere in uno Stato di Diritto.” (6)
– Se noi (assieme agli spagnoli, agli svedesi, ai francesi, ai tedeschi…) mettendo alla sbarra i criminali del “Proceso de Reorganización Nacional”, alla fine degli anni ’90 – inizio 2000 (7) abbiamo avuto il merito di aprire il vaso di Pandora, per quale motivo non lo abbiamo fatto prima? In Argentina durante il “Proceso” sono scomparsi circa 3000 cittadini italiani e nessuno ha detto o fatto nulla. Anzi fatto sì. All’ambasciata italiana di Buenos Aires vennero installate delle porte di sicurezza come quelle delle banche per impedire che i nostri connazionali si rifugiassero tra le pareti dell’edificio. E se non fosse stato per l’allora giovane Console Enrico Calamai che si trovò a gestire, rischiando la vita in prima persona, il consolato divenuto l’unico ‘riparo’, altre 412 persone non si sarebbero salvate.
I giugno 2005, il “Clarin” di Buenos Aires riporta che “lo Stato italiano, tramite un documento firmato dal premier Silvio Berlusconi, si è costituito parte civile querelante contro l’ammiraglio Emilio Massera e altri cinque repressori della “Marina de Guerra”, membri del Grupo de Tareas 3.3.2 e della ESMA che sono accusati di aver sequestrato, torturato e assassinato tre cittadini italoargentini durante i famigerati “Vuelos de la Muerte” durante il periodo della dittatura in Argentina.
Il governo di centrodestra ha seguito la linea del precedente governo intrapresa da Prodi e D’Alema. Nel 2005 la Corte d’Appello ha confermato definitivamente la sentenza di prima istanza del 2000, per la quale sono stati condannati all’ergastolo i generali Guillermo Suárez Mason e Santiago Omar Riveros e a 24 anni cinque membri della “Prefectura” (8)
Se siamo tanto bravi a fare ciò che in Argentina (almeno secondo Repubblica) non sono in grado di fare, perché lo abbiamo fatto solo ora? Svezia e Francia per esempio (con pochi loro cittadini scomparsi) hanno alzato un polverone enorme e hanno denunciato il governo argentino già all’epoca del “Proceso”.
Quindi, prima della fine degli anni ’90 / inizio 2000, questi personaggi erano immuni pure nel nostro paese e non solo in Argentina, nonostante i desaparecidos con passaporto italiano.
Allora perché solo ora? Quali interessi sono venuti meno?
Una possibile risposta si legge tra le righe dell’articolo della de Luca: P2. Non solo l’ammiraglio Massera, ma anche Videla e tutta la cricca era iscritta alla loggia. Licio Gelli, Umberto Ortolani, Roberto Calvi e Monsignor Paul Marcinkus fecero un sacco di buoni affari in Sudamerica quando l’intera area geografica era in preda a una crisi con tassi di inflazione mostruosi grazie ai contatti con i militari.
Il 1 gennaio 1980, a Buenos Aires, Roberto Calvi inaugurò la nuova sede del Banco ambrosiano de America del Sud nello stesso palazzo degli uffici di Massera e di Videla mentre Gelli era incaricato d’affari argentini in Italia.
Massera era in contatto con l’ammiraglio Torrisi nel Belpaese per questioni di traffico d’armi e buona parte dei 6.000 miliardi di armamenti spesi dal generale Videla, dal ’76 in poi, sono affluiti nelle casse delle industrie italiane. Ortolani aveva preceduto Calvi aprendo il Banco financiero di Montevideo, ma si rese comunque necessaria la rapida espansione dell’Ambrosiano, con le garanzie dello Ior, in tutto il continente visto il volume d’affari in crescita. Da queste banche sono passate molte operazioni di traffico d’armi e di petrolio e i traffici con la Tradeinvest dell’Eni, fino al finanziamento di 21 milioni di dollari concesso al PSI. Esaminando i conti di una di queste banche, il Banco Andino, alla fine del ’81, gli ispettori della Banca d’Italia scoprirono un buco da 1.000 miliardi.
Nello stesso periodo, anche il gruppo Rizzoli vide una grossa crescita editoriale in Sudamerica, mentre il “Corriere della Sera” in Italia pubblicava le interviste di Roberto Gervaso a Videla e Somoza e censurava gli articoli sui desaparecidos del corrispondente argentino.
Ma questa è solo la punta dell’Iceberg. Gli attori del copione si moltiplicano a vista d’occhio. La Fiat, l’Ansaldo, la Breda, l’IRI, l’Agusta, il Partito Socialista Italiano (Durante la guerra delle Malvinas una delegazione argentina, guidata dal segretario del partito socialista argentino Ammirati, si incontrò con Craxi per ottenere la revoca dell’embargo posto dal presidente del Consiglio Spadolini e dal ministro degli Esteri Colombo. Cosa che avvenne, con il sostegno di PSI e PCI. Della delegazione facevano parte anche i Macrì, gli industriali argentini, rappresentanti degli interessi della Fiat) senza contare che c’era in ballo la questione della costruzione del Subte (la metro) di Buenos Aires da parte di imprese legate al PSI… Tutte cose che si trovano in rete e negli incartamenti di alcuni processi dimenticati (9).
E poi, bisogna considerare anche che tutte le fabbriche italiane in Argentina, durante la dittatura, smisero di avere problemi con i sindacalisti, con le “teste calde”, con gli “operai facinorosi” che, puff, scomparvero.
Ripeto si tratta solo della punta dell’Iceberg. Ma in parte spiega alcune cose. E allora italiani brava gentaglia.
Un’altra cosa rimane misteriosa tra le altre. Per quale motivo la sinistra italiana ha solidarizzato e sostenuto gli esuli cileni con decisione dopo il colpo di stato di Pinochet e non ha fatto altrettanto con quelli argentini? Che sia una specie di solidarietà di partito. In fondo gli argentini erano peronisti. Né socialisti, né comunisti. Ma sto solo ammiccando.
(1) http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/cronaca/processo-aieta/processo-aieta/processo-aieta.html
(2) cfr. Il mito del giornalismo in “Internazionale” n° 661 del 29 settembre / 5 ottobre 2006 – Lisbeth Davidsen è corrsipondete del danese quotidinao “Politiken” e del rete Tv2.
(3) Lo ha fatto per la seconda volta. Non era mai successo nella storia del Paese.
(4) I militari e poliziotti rimasti disoccupati dopo le epurazioni delle forze dell’ordine dalle persone coinvolte con la dittatura.
(5) Due leggi che impedirono i processi per i crimini della dittatura militare. Approvate tra il 1986 ed il 1987, sono state abolite dal Parlamento argentino nel 2003, poco dopo la nomina del presidente Nestor Kirchner. La decisione ha consentito l’avvio di numerosi processi in aula in cause che già coinvolgono più di 500 accusati tra militari e civili. La Corte Suprema argentina ha dichiarato incostituzionali le leggi della Obbedienza dovuta e del Punto finale il 14 giugno 2005.
(6) cfr. http://www.presidencia.gov.ar/Discurso.aspx?cdArticulo=4496
(7) cfr. Desaparecidos – La sentenza italiana contro i militari argentini, a c. di G. Miglioli, manifestolibri 2001
(8) cfr. http://www.clarin.com/diario/2005/06/01/elpais/p-01201.htm
(9) cfr. http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/palermo.html