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Nell’ottobre 2003 il tenente colonnello dell’Aeronautica Yang Liwei è stato il primo cinese in orbita intorno alla Terra. Meno di un anno dopo, l’India ha lanciato Edusat, un satellite di monitoraggio scientifico e tecnologico. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo paesi in via di sviluppo come l’India e la Cina abbiano così tanta voglia di investire risorse preziose nell’esplorazione spaziale. In realtà le ragioni di queste nazioni sono più che valide, e forse più inoppugnabili di quelle che spingono, per esempio, gli Stati Uniti. Prendete il caso del fattore climatico, che in Asia può diventare anche una questione di vita o di morte. Grazie ai satelliti, si possono prevedere in anticipo tifoni, alluvioni e tempeste di sabbia, allertando tempestivamente le potenziali vittime.
Monitorando il clima è inoltre possibile gestire al meglio le produzioni agricole, salvando migliaia di persone dal rischio di morire di fame. Seguendo poi gli spostamenti degli sciami di insetti si ha la possibilità di difendere i raccolti da eventuali invasioni. E controllare le attività di popolazioni recalcitranti come quelle del Kashmir o del Tibet consentirebbe di arginare i fenomeni di smembramento e le rivendicazioni di autonomia.
Naturalmente, l’America è il leader mondiale nel settore dell’esplorazione spaziale. Spinto dalla paura per i precoci successi dell’Unione Sovietica, il governo federale ha finanziato progetti ambiziosi come l’Apollo e lo Skylab, programmi connotati da un indiscusso machismo tecnico ma anche da ben pochi vantaggi pratici. Senza contare che lo Stato ha sempre avuto difficoltà a ingoiare il rospo di investimenti così ingenti. Ma l’opinione pubblica freme. Il recente successo dell’Ansari X Prize suggerisce l’ipotesi che il futuro nel cosmo della nazione sia nelle mani di audaci imprenditori con gli occhi puntati sui rapporti quadrimestrali. India e Cina sono come la tartaruga della vecchia favola, e l’America è la lepre, troppo sicura della sua forza. La chiave della politica spaziale dei paesi in via di sviluppo è la pazienza, unita alla praticità e alla fiducia nelle proprie potenzialità. Evitare le tecno-delusioni. Non puntare a budget spettacolari. Focalizzarsi sugli obiettivi che possono migliorare la vita della gente normale. Gestire accordi con europei, russi, americani, insomma con chiunque sia disposto a contribuire economicamente. Il tutto condito da un alone di abnegazione socialista.
L’Agenzia Spaziale Indiana, l’Indian Space Research Organization, ha deciso, per esempio, di sottoporre a controllo gli ingegneri per evitare che un’eventuale burocrazia corrotta succhi risorse al programma cruciale. I primi risultati sono di tutto rispetto: poderose piattaforme nazionali per il lancio di satelliti e un arsenale proprio di missili nucleari. Lo scorso gennaio, il primo ministro Atal Behari Vajpayee, ha invitato il paese a impegnarsi per arrivare sulla Luna. Anche in Cina, il programma spaziale ha un ruolo significativo e d’avanguardia in un contesto sociale fortemente ideologico e turbolento. La Repubblica Popolare ha lanciato il suo primo satellite nel 1970, e oggi ha abbastanza Icbm nucleari da poter eventualmente disintegrare l’America intera. Nel 2003, le autorità del paese hanno annunciato di avere in progetto una spedizione umana sulla Luna per il 2010, ma successivamente hanno smentito la dichiarazione. È evidente che India e Cina hanno i mezzi, la volontà e la possibilità di diventare i leader spaziali del futuro. Ma cosa saranno portate a fare quando avranno una tale posizione di predominio? Probabilmente continueranno a comportarsi come hanno sempre fatto, in modo pacato e pragmatico. I leader cinesi hanno parlato di fondare una città sulla Luna, ma era chiaramente un’esagerazione: una Pechino su satellite sarebbe inutile. Tuttavia, il rapido processo di industrializzazione che sta coinvolgendo la Cina sta facendo sviluppare al paese un’incontenibile sete di energia. E data la notoria passione di questa nazione per i progetti di ingegneria civile di proporzioni mastodontiche, non è da escludere che i cinesi possono decidere di costruire una gigantesca centrale orbitante a energia solare. Farebbero anche bene. Spenderebbero quanto per la Diga delle Tre Gole, e l’iniziativa rispetterebbe tutte le leggi della fisica.
Mentre la Cina è da tempo preda di un boom dell’industria, l’India ha invece costruito una forte economia dell’informazione che dipende dai satelliti. La necessità di metterli in orbita in maniera efficiente e la posizione del paese che si trova vicino all’equatore, dove la gravità terrestre è più uniformemente distribuita, garantiscono alla regione un incentivo particolare alla realizzazione di un ascensore spaziale geosincrono. Una struttura di nanotubi al carbonio di quasi 50 mila chilometri d’altezza potrebbe trasportare avanti e indietro le economiche componenti hardware di produzione indiana, trasformando la patria di Ghandi in un ufficio informazioni mondiale. Volete sapere dove avete parcheggiato una macchina? Basta che chiediate a un indiano. E gli americani? Che ruolo avranno in tutto questo? Potrebbero alzare la posta ora e contare su quello. D’altra parte l’esperienza americana è sempre stata che nessun altra potenza poteva competere con gli Stati Uniti. Il potere è ancora in mano loro. Ma non per molto.
[fonte: WIRED]