di Robert Fink
[Questo articolo è stato pubblicato sull'”Indipendent” del 20 gennaio 2007. La traduzione è di Girolamo De Michele]
Qui il video su Hrant Dink [da Youtube]
Qui un precedente intervento sul genocidio degli Armeni
Hrant Dink è diventato ieri [19 gennaio] la vittima numero 1.500.001 del genocidio degli Armeni. Un colto e generoso giornalista ed accademico, direttore del settimanale turco-armeno Agos, Dink aveva cercato di creare tra le due nazioni un dialogo che portasse ad una narrazione comune del primo olocausto del 20mo secolo. Ne ha pagato il prezzo: due pallottole nella testa e due nel corpo da parte di un assassino nelle strade di Istambul, ieri pomeriggio.
Il fine non è solo di far sentire un orribile fiato sul collo della sopravvissuta comunità armena in Turchia, ma anche di mandare in frantumi le speranze della Turchia di entrare nell’Unione Europea, una visionaria proposta già compromessa dalla rottura delle relazioni con Cipro e il suo rifiuto di riconoscere il genocidio per quello che è stato: la deliberata uccisione di massa di un’intera etnia di cristiani — 1.500.000 in tutto — da parte del governo turco-ottomano nel 1915. Winston Churchill fu tra i primi a chiamarlo olocausto, ma a tutt’oggi le autorità turche rifiutano questa definizione e ignorano i documenti, verso i quali gli stessi storici turchi fanno orecchie da mercante, che attestano l’intenzione genocida del governo.
Il 53enne giornalista, che aveva due figli, è stato assassinato sulla soglia del suo giornale. Giusto un anno fa era stato dichiarato colpevole, secondo la nota Legge 301, di “atteggiamento anti-turco”, un’accusa che aveva strenuamente rigettato anche dopo la sospensione della sentenza per sei mesi decretata dal tribunale turco.
L’Unione Europea ha chiesto che la Turchia abroghi questa legge, per la quale si è cercato di imprigionare il Premio Nobel Orthan Pamuk. Durante il processo, Dink era apparso alla televisione turca in lacrime: “Io vivo assieme ai turchi in questo paese”, aveva detto allora, “e sono del tutto solidale con loro. Non penso che potrei vivere con l’accusa di averli offesi in questo paese”.
Ironia della sorte, Dink aveva accusato in un articolo i suoi amici armeni di aver permesso all’inimicizia verso i turchi a causa del genocidio “di avvelenargli il sangue”: il tribunale aveva decontestualizzato l’articolo e aveva preteso ch’egli si riferisse al sangue dei turchi come “sangue velenoso”.
Nel 2005 Dink aveva dichiarato alle agenzie giornalistiche che l’origine del suo processo risaliva a quando, a scuola, avrebbe dovuto recitare il tradizionale giuramento turco: “Sono un turco, sono onesto, lavoro duro”. Nella sua arringa difensiva Dink aveva affermato: “Io dissi che ero un cittadino turco, ma armeno, e che, pur essendo onesto e lavorando duro, non ero turco, ma armeno”. Dink non amava il verso dell’inno nazionale turco che fa riferimento alla “mia eroica razza”: non amava cantare quel verso, aveva detto, “perché sono contrario all’uso della parola razza, che porta alla discriminazione”.
Precedentemente Pamuk era comparso davanti al tribunale per aver parlato del genocidio del 1915 a un giornale svizzero. I principali commentatori turchi parlano di un’atmosfera incendiaria in Turchia nei confronti di tutti quegli scrittori che vogliono dire la verità sul genocidio, quando vaste aree dell’Armenia turca furono spogliare delle loro popolazioni cristiane. Decine di migliaia di uomini furono massacrati dai gendarmi turchi — e curdi — mentre un gran numero di donne e bambini venivano rapiti e macellati nei deserti della Siria settentrionale. I pochi sopravvissuti ancora vivi hanno descritto il rogo di bambini armeni vivi nei falò.
Di fatto, un libro pubblicato in Turchia e negli Stati Uniti dallo studioso turco Tamer Akcam, fornisce documentati dettagli sugli ordini trasmessi dal governo ottomano, nei quali l’allora governo di Costantinopoli ordinava il deliberato e organizzato omicidio degli armeni. In migliaia furono soffocati in grotte sotterranee nelle quali il mondo vide le prime camere a gas. Adolf Hitler chiese ai suoi generali nel 1939: “Chi ricorda gli Armeni?” — Hitler stava per avviare lo sterminio degli Ebrei polacchi. Se la polizia dovesse scoprire che l’assassino di Dink è un nazionalista turco — oppure, per quanto possa sembrare inconcepibile, un nazionalista armeno offeso dalle sue parole — sarà un’importante banco di prova sulla volontà del paese di confrontarsi con il proprio passato.