di Valerio Evangelisti
Stefano Di Lauro, ÒperÉ, ed. Besa, 2006, pp. 180, € 13,00
I romanzi e i racconti ambientati “dentro” i videogiochi, o in cui questi ultimi interagiscono con la realtà (ammesso che una realtà ci sia), cominciano a essere numerosi. E’ segno dell’imporsi di un medium che, sugli adepti, ha un impatto almeno pari a quello del cinema, e può rivelarsi persino più pervasivo.
Sta di fatto che il tema, nel suo proliferare, rischia di condurre alla noia. Per evitare il pericolo, occorrono nuove idee, nuovi approfondimenti e, perché no, nuovi linguaggi. Il primo romanzo di Stefano Di Lauro, regista e autore teatrale, riporta splendide vittorie su tutti e tre i fronti.
ÒperÉ è una rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice, ma è molto più di questo. Nello specifico, Orfeo è un trombettista jazz che inizia un videogioco pieno di insidie alla ricerca di una donna, Euridice, che vorrebbe strappare ai pixel e portare alla vita reale. Si immerge così in un mondo piovoso dominato da squallidi ipermercati e dall’odore stagnante di benzina, retto dalle feroci regole del profitto. In pratica un inferno. (Piacerebbe molto, mi sia consentita la boutade, al ministro Bersani).
Per raggiungere la sfuggente Euridice e strapparla alla sua esistenza fittizia, il giocatore dovrà scoprire e sconfiggere il Sistema, la misteriosa entità che governa tutto quanto e impone le sue regole di totale spietatezza. Sarà obbligato a sporcarsi in un contesto in cui non esistono che sporcizia e abiezione. Poi sarà costretto a trascinare Euridice, senza mai guardarla, verso un’improbabile uscita dal gioco, che è dubbio lei possa valicare.
Di Lauro ci riserva almeno due amari sberleffi, che non posso anticipare per intero. Intanto il Sistema è ciò che il suo nome indica, vale a dire un “sistema”: dunque non una sorta di consiglio d’amministrazione, né un “cervello elettronico” simile a quello che, in tanti racconti classici della fantascienza (ricordo per tutti il fulminante Per chi lavoriamo, di Jack Vance), imponeva a intere società regole impossibili.
Inoltre l’amore non è, nel romanzo, via di redenzione, bensì fonte di ulteriori travagli. Euridice, una volta raggiunta, si rivela più complessa di quanto sembrava, e niente affatto aliena alle logiche che la imprigionano.
Sulla trama non mi dilungo oltre. Quanto ai temi, non si contano gli spunti: si va da una critica sociale al vetriolo (è facile accorgersi che la società del videogioco è la stessa in cui viviamo), a considerazioni esistenziali che richiamano il nesso leopardiano tra Amore e Morte, fino a una riflessione sull’azione stessa del narrare. Persino troppo, ma esposto con meditata leggerezza, in un’encomiabile economia di pagine.
Quanto allo stile narrativo, varia di continuo: si passa dal lirismo di certe pagine all’iperrealismo di altre, ispirate al linguaggio di strada. Di Lauro adatta il metro stilistico a ciò che sta raccontando, con una massa di riferimenti letterari e cinematografici (fra tutti mi pare emergere Dick, sia in letteratura che nelle trasposizioni per il cinema) che si accumulano, senza tuttavia scadere nell’autocompiacimento del dialogo tra dotti. L’ego dell’autore è grande il giusto, senza esagerazioni.
Insomma, un esordio davvero brillante. Attendiamo Di Lauro al varco della sua opera seconda.