Tra il Luxembourg e il Jardin des Plantes, non molto lontano dal centro del mondo…
di Yves Le Manach
[Ripreso dal blog di Transnext. Yves Le Manach è un operaio parigino che da trent’anni vive a Bruxelles. In un periodo di disoccupazione ha iniziato a scrivere dei fogli volanti di critica sociale, che ha diffuso informalmente sotto il titolo di Artichauts de Bruxelles. Nel 1999 la casa editrice L’Insomniaque ha pubblicato un’antologia dei suoi “artichauts”. Ecco un brano dedicato alle memorie di un quartiere dal passato situazionista, ormai ridotto a una vetrina dell’alta borghesia di Parigi]
Terminata la guerra, lasciammo Toul-an-Neunet e tornammo a Parigi nel VI° arrondissment, in rue Saint-Placide (dove nacque il poeta Hégésippe Moreau e dove morì lo scrittore J.K. Huysmans). Ho trascorso i miei anni d’infanzia nel quartiere Sèvres-Babylone. Frequentavo la scuola materna di rue Vanneau[i] (dove vissero Karl Marx e George Darien, e dove viveva ancora André Gide), poi la scuola elementare di rue Chomel. Con mio fratello e mia sorella, più piccoli, andavamo a giocare nel giardino pubblico di Commaille o in quello del Bon-Marché[ii]. Mi recai presto all’oratorio Olier, in rue d’Assas…A quell’epoca incontravo spesso Michèle Bernstein e Guy Debord che abitavano in rue du Bac e venivano anche loro a rilassarsi nel giardino di Commaille.
Incrociavo anche i loro amici dell’Internazionale Lettrista, sia a Saint German-des-Près, “dove la nebbia dissimula appuntamenti che portano al suicidio” che al mercato Mabillon, dove loro facevano le riprese per la prima versione in immagini del film di Debord, Urla in favore di Sade. Ma non mi notavano, perché i più giovani tra loro avevano almeno dieci anni più di me.
Dopo le elementari sono andato ai corsi complementari in rue du Pont-de-Lodi, frequentati nello stesso periodo, come ho saputo in seguito, dall’editore de La Digitale[iii]. Lungo le rue du Cherche-Midi, du Four, de Buci e Dauphine, continuavo a incontrare Guy Debord. La mattina, quando io arrivavo a scuola, lui usciva dall’Estrapade e scendeva rue Dauphine per ritornare a casa. La sera, quando io tornavo da scuola, lo incrociavo mentre tornava in su lungo rue Dauphine, per ritrovare i suoi amici a l’Estrapade.
Nel 1956 la mia famiglia ha attraversato il boulevard Saint-Michel e ci siamo sistemati nel V° arrondissement, di fronte alla Moschea, tra il Jardin des Plantes, l’Arena di Lutèce e la chiesa Saint-Métard. Ma andavo ancora a scuola in rue du Pont-de-Lodi, e continuavo a incontrare Michèle Bernstein, Guy Debord e i loro amici. In un quartiere che contava più editori, gallerie d’arte e antiquari che macellerie e bar-tabacchi, non ero stato in alcun modo preparato al lavoro industriale. Tuttavia, non avendo compreso le regole del gioco delle “pari opportunità”, mi ritrovai presto incagliato in un centro di formazione professionale della rue Boinod, nel XVIII° arrondissement[iv]. Preso il mio certificato di abilitazione professionale, mi ritrovai a fare il metalmeccanico in una officina aeronautica a Courbevoie.
Durante quegli anni, che non sono stati i più felici della mia vita, ho incontrato raramente Berstein, Debord e i loro amici, che nel frattempo erano diventati situazionisti. Non appartenevano a quella categoria di persone che frequentano il XVIII° arrondissement o Courbevoie. Nel 1960 sono entrato nel gruppo dei Giovani comunisti del V° arrondissement. Le attività militanti mi riportarono al mercato Mouffetard (dove vendevamo L’Avant-garde, il nostro triste giornale), in rue Saint-Jacques (dove abitava M., una compagna degli studenti comunisti) e in rue de la Montagne-Sainte-Geneviève (dove viveva il nostro responsabile politico). Ricominciai a incrociare Michèle Bernstein, Guy Debord e i situazionisti, non solo per strada, ma anche nei bistrot della Place Contrescarpe: ero cresciuto. Ho passato gran parte della mia infanzia e della mia adolescenza a incrociare Bernstein, Debord e i loro amici, ma è stato solo nel 1963, al mio ritorno dall’Algeria, quando vivevo nella zona della Porte Saint-Ouen (ancora nel XVIII° arrondissement) che Odette mi mise nelle mani i primi numeri della rivista situazionista. Dopo il partito comunista ero diventato un simpatizzante dell’estrema sinistra. A quell’epoca subivo, ben più di adesso, le influenze dell’operaismo, e pertanto non riuscii a trovare un interesse immediato nelle tesi dei situazionisti, stampate su carta patinata, che mi apparivano troppo specializzate nella critica dell’arte per avere una qualche utilità nell’emancipazione di un metalmeccanico. Fu solo nell’agosto del 1964 che nello spazio di una notte divorai, durante un viaggio in treno tra Parigi e Hossegor, il numero 9 de L’Internazionale Situazionista, che Nathalie si era infilata nello zaino. Trascorsi le vacanze sulle spiagge delle Lande a leggere e rileggere quella rivista — era la sola lettura che avevamo — e a parlarne con Danièle e Nathalie. Di ritorno a Parigi, Nathalie mi procurò altri numeri della rivista. Non avevo più pregiudizi contro la carta patinata.
Sono nato a Parigi, all’angolo tra la rue d’Assas e la rue Guynemer, proprio di fronte al Jardin du Luxembourg, ma è stato a Toul-an-Neunet, al confine con Plèsidy e Magoar[v], che i miei occhi hanno scoperto il mondo, che ho pronunciato le mie prime parole e fatto i primi passi. È il ricordo fugace di quegli anni che mi permette di rivendicare un’identità bretone, assai inconsistente, devo ammetterlo. Il ritorno a Parigi ha rappresentato una rottura discreta ma tenace, la mia prima sensazione d’esilio. Eppure non rimpiango la mia infanzia tra Montparnasse e la Contrescarpe, il Senato e la Camera dei deputati. Senza appartenere alla categoria dei privilegiati che possono scegliersi in tutta libertà il luogo di residenza, le scelte casuali dell’ufficio che dispensa le case popolari e la volontà di mia madre, che aveva sempre vissuto nel VI° arrondissement e non ci teneva a emigrare a Porte Clignancourt, mi hanno offerto la possibilità di posare i miei passi accanto a quelli di Boris Vian e Boby Lapointe. Non direi che abbiamo vissuto al centro del mondo, ma non ne eravamo tanto lontani…
Il continente Contrescarpe è stato descritto in più occasioni nel corso degli anni Cinquanta da G.-E. Debord, G.J. Wolman e Gilles Ivain, ma vorrei citare qui alcuni passaggi dalla descrizione che ne ha fatto nel 1955 Jacques Fillon nella rivista surrealista di Bruxelles Les Lèvres nues:
“Il centro di Parigi è la zona della Contrescarpe, di forma ovale, di cui si può seguire il perimetro in tre ore di cammino, grossomodo. La sua parte nord è costituita dalla Montagne Geneviève; il suolo discende con lieve pendio verso sud. Gli abitanti sono molto poveri, generalmente di origine nordafricana[vi]. È là che si incontrano gli emissari di diverse potenze poco conosciute.
In un’ora di cammino verso sud si arriva alla Butte-aux-Cailles, dal clima dolce e temperato. Gli abitanti sono molto poveri, ma la disposizione delle strade tende alla sontuosità d’un labirinto.
A quarantacinque minuti di cammino verso ovest si trova un giardino, di solito disabitato tra le 19.30 e le 8 del mattino, noto comunemente come “square des Missions étrangères[vii]”.
A trenta minuti di cammino verso nord-est molti passage paralleli, che non portano da alcuna parte, delimitano un piccolo agglomerato cinese. Gli abitanti sono molto poveri. Preparano piatti complicati, poco nutritivi e fortemente speziati.
Cinquanta minuti di cammino a nord della Contrescarpe, dopo aver attraversato un’isola praticamente deserta, chiamata da molto tempo “île Louis”, si incontra un bar isolato, luogo di riunione costante dei polacchi. Sono molto poveri. Vi si trova una vodka eccellente a un prezzo modico[viii].
Tali sono gli interessi di una deriva ben condotta.”
È lì che abbiamo vissuto quando eravamo bambini ed è lì che si trovava la mia famiglia fino al 1997. Nella sceneggiatura del suo film In Girum …, Guy Debord scriveva: “C’era allora, sulla riva sinistra del fiume (…) un quartiere dove il negativo aveva la sua corte”. Ho respirato questo negativo, non molto, ma a sufficienza per dire che se c’è qualcosa di situazionista in me lo devo più all’architettura e all’atmosfera della città in cui ho vissuto che al valore assoluto della teoria[ix]. Non sono diventato situazionista, ci sono nato. Ciò mi assicura un credito difficilmente contestabile.
——————————————————————————–
Note di Transnext
[i] Attenzione: zona infestata da preti.
[ii] Supermercato dai prezzi pari al debito di un paese latinoamericano. Le vetrine natalizie esibivano borsette a 2.800 euro. Da convertire in una stalla o radere al suolo quanto prima.
[iii] Piccola editrice francese dal catalogo di sicuro interesse per chiunque disprezzi le vetrine della nota precedente.
[iv] Una delle poche zone all’interno della périphérique che regge la pressione del capitalismo immobiliare. Forte la presenza senegalese, ancora lontani i bourgeois-bohème. La tendenza alla ristrutturazione urbanistica spinge fuori dalla peripherique tutti coloro che non abbiano un salario tre volte superiore al costo dell’affitto. Questo costume è ratificato per legge.
[v] Località bretoni.
[vi] Probabilmente i loro nipoti sono stati deportati nella banlieu o nei possedimenti d’oltremare.
[vii] Oggi un triste giardino dove pascolano i ricchi pargoli del quartiere. Per evitare pericolosi incontri notturni, nell’ora indicata da Fillon gli accessi del giardino sono chiusi da un cancello metallico.
[viii] Si tratta ormai di una zona proibitiva, evitatela se non siete in assetto da guerriglia.
[ix] Conservando la stupenda intuizione di Le Manach, per cui si diventa quel che si è non per le teorie che si assimilano, ma per l’aria che si respira, invitiamo il viaggiatore che attraversasse Parigi a rivolgere i propri passi verso il XVIII° arrondissement o il XX°, o verso Montreuil. “Rive gauche” è ormai un logo della società mercantile.
[Traduzione e annotazioni a cura di Transnext. Il libro è acquistabile on-line nell’edizione francese sul sito di co-errances]