usticamessaggero.gifdi Giuseppe Genna

Era prevedibile. La decisione emessa questa sera dalla Cassazione ha decretato che il processo su Ustica chiude i battenti, dietro i quali non rimane nessuno. E’ la legittimazione dell’impotenza, politica geopolitica civile e incivile, di uno Stato che era sotto controllo quando il disastro aereo accadde e che, 27 anni dopo la tragedia, è sfasciato e disilluso e, in maniere diverse, impotente politicamente geopoliticamente civilmente e incivilmente.
Uno dei cadaveri della tragedia di Ustica, prima del recuperoNessun colpevole per uno dei capitoli più vergognosi del servaggio italiano a Guerra Fredda in corso.
Ricordando che esiste una Banca dati su Ustica, allestita da un pool capitanato anni fa da Gianluca Neri, desideriamo qui riproporre alcuni nodi non sciolti nell’intricato labirinto giudiziario di quello che, a bella posta e contro il popolo italiano, è stato trasformato da dramma in affaire – e come tale risolto mediante non risoluzione.

L’AFFARE SINIGAGLIA

L’interesse per Guglielmo Sinigaglia in relazione alla vicenda di Ustica nasce da una sua ipotesi di collegamento tra la tensione esistente con la Libia e la perdita del DC9 dell’Itavia avvenuta la sera del 27.06.80 a largo dell’isola di Ustica. Egli dichiarava di aver partecipato, inconsapevole delle finalità e quale appartenente alla Legione Straniera, ad una operazione congiunta tra le Forze aeree e navali italiane, americane, francesi e inglesi, finalizzata all’abbattimento di un aereo civile libico, operazione che per errore aveva cagionato l’abbattimento del DC9; operazione quindi multinazionale, coordinata dalla base di Decimomannu. Come si vedrà in seguito, sulla base delle sue dichiarazioni, fu svolta un’intensa attività istruttoria, al termine della quale venne appurato che le sue rivelazioni erano menzognere e prive di ogni fondamento, tanto che esso veniva imputato del delitto di calunnia. L’entrata in scena di questo personaggio è inquietante, così come le sue dichiarazioni, costellate di elementi palesemente falsi e al limite dell’assurdo – come rileva anche il PM – e di altri invece che hanno trovato riscontro, come per esempio i contatti del capitano Puppo con il S.I.S.DE ed in particolare con il colonnello Rossi, capo Centro di Milano, l’omicidio di Ferro in Sicilia, l’esistenza di Radio Mazara International, ed altri.

Il rapporto dell’Arma dei CC. di Milano

Con rapporto datato 27 maggio 89 dei Carabinieri del Nucleo Operativo Milano, redatto dall’allora tenente Roberto Zuliani ed a firma del maggiore Massolo Umberto, venivano comunicati a quest’Ufficio elementi d’interesse per l’inchiesta riferiti da Sinigaglia il 22 maggio precedente. È bene riportare per intero il rapporto anche perché sarà oggetto di imputazione a carico dell’ufficiale che lo redasse: “Per quanto di interesse si riferisce quanto segue: alle ore 04.00 del 22.05.89, lo scrivente, tenente Roberto Zuliani, effettivo al Nucleo Operativo del Gruppo CC. Milano 1°, veniva informato dal vice brigadiere Francesco Ricci, sottufficiale di servizio, che tale Guglielmo Sinigaglia, in rubrica generalizzato, aveva espresso il desiderio di parlare urgentemente con un ufficiale per riferire fatti di particolare gravità.
Durante il colloquio il Sinigaglia sosteneva di essere stato picchiato da cinque persone, tutte appartenenti ai servizi segreti francesi, poichè ritenuto responsabile della sottrazione di un dossier, redatto da quei Servizi, concernente l’abbattimento del DC9 Itavia nei pressi di Ustica. Affermava, inoltre, di essersi arruolato, nel 73, nella Legione Straniera e di aver successivamente partecipato, con i suoi reparti speciali della stessa, a parecchie missioni segrete, fra le quali citava l’operazione Tobruk, avvenuta nel 79, e l’operazione Eagles Run-to-Run svoltasi tra il 25 ed il 30.06.80. Queste operazioni dovevano tendere a destabilizzare il governo libico e a dar appoggio alle fazioni avverse a Gheddafi.
Secondo quanto dichiarato verbalmente dal Sinigaglia nel corso della missione Eagles Run-to-Run, i sottomarini americani, italiani e francesi impiegati per il trasporto dei componenti della forza di sbarco, intercettati da due aerei sovietici, lanciarono contro questi dei missili, uno dei quali colpì il DC9 Itavia. Il dossier sulla operazione e sull’abbattimento dell’aereo passeggeri, che doveva essere inviato, per poi essere pubblicato, dal capo dei servizi segreti francesi a due giornalisti italiani, Romano Cantore e Sandro Tonelli, rispettivamente vice-capo redattore ed inviato in Francia della rivista “Panorama”, non risulta, sempre attenendosi alle dichiarazioni del Sinigaglia, esser mai pervenuto a costoro. Non solo: i servizi avrebbero ritenuto responsabile della sparizione del fascicolo lo stesso Sinigaglia e la giornalista Francesca Oldrini, anch’essa impiegata nella predetta rivista. Dovrebbe essere stata a conoscenza di tutta la vicenda, un altro giornalista di Panorama, Antonangelo Pinna, amico di Sinigaglia.
Dagli accertamenti svolti presso la stazione CC. di S.Donato dove Sinigaglia risultava risiedere, è emerso che lo stesso era elemento di pessima condotta morale e civile, dedito alla consumazione di truffe e millantatore. Risultava anche che si fosse spacciato per tenente dei CC., appartenente ad un reparto speciale e, durante il terremoto dell’Irpinia, per medico addetto ai soccorsi.” (v. rapporto dell’Arma CC. di Milano, in data 27.05.89).
Sarà accertato che l’ufficiale che aveva redatto il rapporto, nessun riferimento aveva fatto alla circostanza che Sinigaglia era stato sottoposto a visita medica presso il pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli, così come risultava dal referto medico, non ancora trasmesso dall’ospedale, ma già noto allo Zuliani. Verrà accertato anche che era stato rilevato il segno di una ferita già rimarginata, probabilmente originata da un proiettile, come Sinigaglia aveva in effetti riferito. Per quanto riguarda il giornalista Pinna nel rapporto non veniva riferito che costui in realtà aveva soccorso il Sinigaglia dopo l’aggressione e che lo Zuliani stesso aveva raccolto informazioni informali sia dal Pinna che dalla Oldrini. Nessun riferimento veniva fatto, tra l’altro, alla circostanza che, nonostante il Sinigaglia fosse stato descritto come un millantatore, lo Zuliani si era rivolto al Centro CS del S.I.S.MI di Milano. Ma di questo in particolare nella posizione Zuliani. Qui va solo detto che sentito al riguardo l’ufficiale dichiarava di ricordarsi dell’accaduto e delle dichiarazioni del Sinigaglia in ordine alla patita aggressione; questi, rammentò Zuliani, che aveva dichiarato di appartenere ai Servizi d’Intelligence della Legione Straniera, sosteneva di essere stato aggredito in strada, perché un ufficiale dei Servizi francesi era convinto che esso e la giornalista Oldrini fossero in possesso di un dossier relativo ad Ustica, nel quale si faceva esplicito riferimento alla nota operazione “Eagles run to run”, di destabilizzazione del governo libico. Alle contestazioni dell’Ufficio in merito alla mancata menzione della circostanza relativa ai colpi di arma da fuoco di cui il Sinigaglia sarebbe stato fatto segno, al soccorso ad opera del Pinna e alla conoscenza del Sinigaglia del capitano Puppo – ufficiale al quale il Sinigaglia, a suo dire, aveva riferito la vicenda di cui era stato testimone e che per tale motivo sarebbe stato eliminato – il teste dichiarava che in relazione ai colpi di arma da fuoco aveva accertato, contrariamente a quanto affermato dal Sinigaglia, che quest’ultimo non presentava ferite riconducibili a “ogive di proiettili”; infatti non erano emersi riscontri in tal senso neppure dalla documentazione del pronto soccorso del Fatebenefratelli. Inoltre l’ufficiale, sul soccorso prestato dal Pinna, non ne aveva fatto cenno, per non averne parlato neppure il Sinigaglia nelle sue dichiarazioni orali; aveva riferito di conoscere soltanto la Oldrini; i due giornalisti, entrambi sentiti “informalmente, la mattina successiva, confermarono di non essersi recati sul luogo dell’incidente. Per la vicenda del capitano Puppo, che il Sinigaglia riteneva fosse stato ucciso per il suo coinvolgimento diretto in indagini relative al caso Ustica – sulla cui vicenda si tornerà più innanzi – Zuliani non ritenne di considerarla, essendo il Puppo deceduto a seguito di un normale incidente stradale. Risultano evidenti le singolarità che emergono dalla lettura del rapporto e dalle dichiarazioni rese dall’ufficiale. Infatti non appare usuale che siano richiesti accertamenti, l’indomani, presso il Servizio militare, quando ci si è resi conto che il Sinigaglia si era presentato “in stato confusionale e puzzando d’alcool” e quindi con un indice di credibilità molto basso; e non si comprende, se si fosse attribuito anche un minimo di attendibilità alle sue dichiarazioni, il motivo per il quale fu omesso di accertare la possibilità che il Sinigaglia, anche se non colpito, fosse solo stato fatto segno comunque a colpi di arma da fuoco; come non si comprende la mancata verbalizzazione delle dichiarazioni della Oldrini e del Pinna e conseguente alligazione al rapporto.

L’articolo apparso sul ‘Messaggero’

Verrà quindi accertato che sia prima che dopo l’intervento dei Carabinieri di Milano la vicenda raccontata da Sinigaglia aveva attirato l’attenzione di alcuni giornalisti ai quali il Sinigaglia si era rivolto. La vicenda però compariva per la prima volta sulla stampa nelle colonne del quotidiano “Il Messaggero” all’edizione del 3 giugno 90 in un articolo titolato “Ustica-Guerra nel Tirreno”. L’articolo firmato da Aperio Bella riportava il “racconto” di un “capitano” della Legione Straniera, arruolatosi con il nome di copertura di Giulio Girotto”, (ma rispondente al nome di Guglielmo S.) che alle ore 22.00 del 27.06.80 accolse, presso la base di Calvi, luogo ove prestava servizio, un gruppo di militari francesi “sconvolti”, appena sbarcati da un velivolo “Nimrod”, aereo radar inglese. In quella circostanza apprese che nel corso della loro missione era stato abbattuto, con un missile lanciato da un sottomarino, un velivolo civile. Si leggeva inoltre che sempre quella sera, il legionario avrebbe dovuto partecipare ad una missione, denominata “Eagles run to run”, che avrebbe permesso al Governo francese, grazie ad un contingente militare sbarcato da un sottomarino direttamente sulla costa cirenaica in prossimità di Bengasi, di tornare in possesso degli aviogetti Mirage incautamente venduti al Governo libico; questa operazione, che si sarebbe dovuta svolgere contestualmente ad una rivolta di giovani ufficiali della guarnigione di Tobruk, finalizzata al rovesciamento del leader libico Gheddafi, venne all’ultimo momento annullata.
Al fine di conoscere ulteriori dettagli sulla vicenda veniva convocato l’Aperio Bella che, nel corso dell’esame testimoniale, riferiva che il legionario aveva contattato l’anno precedente dapprima il capo-redattore del “Messaggero”, Paolo Gambescia, il quale, avendo ritenuto interessanti le dichiarazioni, lo aveva invitato, in quanto si era già occupato della vicenda di Ustica, ad incontrare la “fonte” per approfondire l’argomento. L’incontro ebbe luogo verso la metà dell’89 nella cittadina di Lenna, presso l’abitazione del legionario, il quale al termine del colloquio, i cui brani più significativi sono stati riportati nel cennato articolo, spiegò di non averne mai parlato sino a quel momento solo per timore di rappresaglie. A conferma di ciò, citava l’episodio del decesso, a seguito di un singolare incidente stradale, del capitano dei CC. Puppo che aveva svolto indagini legate all’incidente di Ustica. (v. esame Aperio Bella Dany, GI 04.09.90).
Gambescia precisava che in un primo momento, non essendo emersi riscontri alle dichiarazioni del legionario, non aveva pubblicato alcun articolo. Solo successivamente, allorché “filtrarono” dalla Commissione Stragi delle “indiscrezioni” su tracce radar correlabili ad aerei provenienti o diretti verso la Corsica, di comune accordo con Aperio Bella, decise di pubblicare il testo dell’articolo, aggiungendo infine che il Sinigaglia, dopo il colloquio da cui aveva avuto origine l’articolo, non s’era fatto più vivo (v. esame Gambescia Paolo, GI 08.09.90).

I contatti di Sinigaglia con i giornalisti di ‘Panorama’

I primi giornalisti a entrare nuovamente in contatto con Sinigaglia sono stati Francesca Oldrini e Massimo Cantore. La Oldrini così descrive la vicenda. Il 28 marzo 89 giungeva presso la segreteria di “Panorama” la telefonata di una persona che si diceva in possesso di importanti notizie sulla vicenda di Ustica. Il Direttore del periodico le affidava l’incarico, unitamente a Massimo Cantore, di contattare colui che aveva chiamato. Prima di incontrarlo – continua la Oldrini – chiesero alla persona che aveva telefonato garanzie sulla sua attendibilità che quest’ultimo fornì accreditandosi come referente di Sandro Colongo, brigadiere dei Carabinieri della Stazione di S.Pellegrino Terme, di tal Fabrizi, maresciallo della Polizia della Questura di Bergamo e di Mario Tropea di professione avvocato. Dopo avere avuto assicurazioni da parte del brigadiere Colongo sull’attendibilità di Sinigaglia ed aver appreso che a causa delle indagini che stava compiendo sulle dichiarazioni di Sinigaglia la sua ragazza aveva subito delle minacce – circostanza che sarà negata, invece, dal sottufficiale – la Oldrini insieme a Cantore si recava, in data 5 aprile 89, a Lenna, località dove incontrarono il Sinigaglia che narrò loro l’intera vicenda di cui era a conoscenza, fornendo un elenco di suoi ex commilitoni della Legione che avevano partecipato all’operazione denominata “Eagles run to run”. (v. esame Oldrini Francesca, GI 10.09.90).
Il brigadiere Colongo ha ammesso di aver conosciuto il Sinigaglia nel corso di un intervento notturno nei pressi di Lenna. Ricordava che in quella circostanza nell’auto guidata da Sinigaglia venne rinvenuta la targa di autovettura asportata ad altra auto, risultata poi dell’autovettura in uso alla convivente del Sinigaglia medesimo. Nel corso di successivi colloqui richiesti dal Sinigaglia, questi confidò al sottufficiale che i Servizi francesi volevano rapire la propria donna, Russolo Adriana, poiché esso Sinigaglia aveva militato nella Legione Straniera ed era a conoscenza di vicende legate al caso Ustica; che poco tempo prima ignoti avevano tentato di ucciderlo e che un maresciallo del Gruppo della Questura di Bergamo voleva avere un incontro con il legionario; che quest’ultimo però gli aveva riferito di non averlo “cercato” (v. esame Colongo Sandro, GI 28.09.90).
Il maresciallo della Questura di Bergamo, identificato nel sovrintendente capo Fabrizi Paolo, ha dichiarato che nel 1988 un sottufficiale dei CC. gli inviò una persona. Persona di cui non ricordava il nome ma che si era presentata come colonnello dei Carabinieri e che nel corso della conversazione gli aveva anche detto di essere un tenente dell’esercito. Il sottufficiale però non ha ricordato se, nell’occasione dell’incontro con il Sinigaglia, questi gli avesse parlato di Ustica, non escludendo però che gli avesse detto di essere un legionario (v. esame Fabrizi Paolo, GI 20.11.90). Inoltre Colongo ha smentito la versione della Oldrini, secondo la quale il sottufficiale avrebbe garantito sulla serietà del Sinigaglia; ha ricordato di aver espresso forti dubbi sulla sanità mentale del soggetto, aggiungendo di non aver mai ricevuto minacce e né che fosse stata mai minacciata la propria fidanzata (v. esame Colongo Sandro, GI 28.09.90). La fidanzata di questi, Argenti Anna, confermava quanto dichiarato dal militare. (v. esame Argenti Anna, GI 28.09.90).
È stato possibile ricostruire lo scenario raccontato da Sinigaglia ai giornalisti di Panorama in occasione degli incontri di Lenna mediante la registrazione della conversazione che la giornalista Oldrini accuratamente aveva effettuato. Sinigaglia narra che la Legione Straniera lo aveva incaricato nel 1980 di recarsi a Petrosino in Sicilia per pianificare un’operazione che prevedeva la consegna di armi ai nazionalisti libici. L’operazione che veniva attuata nelle acque del Mediterraneo, secondo Sinigaglia, godeva dell’appoggio delle motovedette francesi ed italiane. All’esito di questa prima operazione Sinigaglia veniva inviato a Calvi in Corsica per addestrarsi a prender possesso di un aeroporto. L’operazione prevedeva il recupero di 15 Mirage venduti dalla Francia alla Libia. A questa operazione avrebbero partecipato 200 uomini della Legione. Il 25 giugno 80 venivano messi in preallarme cominciando così a familiarizzare con la strumentazione a bordo di un velivolo Nimrod. Il giorno successivo vennero tutti convocati presso la sala operativa. Sinigaglia veniva pertanto incaricato di far parte dell’equipaggio di quel velivolo insieme ad altri due ufficiali. Le centrali operative che coordinarono le operazioni erano due, Decimomannu e Calvi. A Decimomannu vi erano francesi, inglesi, tedeschi e italiani. Appena giunto il segnale “l’uccello vola” che stava ad indicare che il velivolo – un Tupolev o Antonov – con a bordo Gheddafi o Jallud era in volo, scattava l’operazione che prevedeva che un MiG pilotato da un libico si alzasse in volo per intercettare il velivolo con la personalità. Però – continua il racconto Sinigaglia – era accaduto che il primo segnale fosse stato un falso allarme – il MiG per problemi di autonomia non poteva stare in volo con mezz’ora di anticipo. Dopo circa mezz’ora dal primo segnale, giunse il secondo segnale che segnalava il volo dell’obiettivo. Fu a questo punto che venne dato il via all’operazione di rincalzo che prevedeva il volo di tre Mirage provenienti da una base della Corsica. Altri aerei F104 si alzavano in volo da Decimomannu, altri ancora dalla portaerei Foch. Contemporaneamente dalla portaerei sovietica Kiev si alzavano un MiG ed uno Yak 36. In quei momenti – continua Sinigaglia – essi avevano sui loro schermi a bordo del Nimrod soltanto il velivolo- che questa volta indica come un Antonov o un Ilyshin – con a bordo la personalità libica ed un A310 dell’Air France diretto a Barcellona. Giunti al cosiddetto “rendez vous” il velivolo con a bordo la personalità libica deviava però su Malta; essi però hanno ritenuto che si trattasse di un velivolo di linea che stava atterrando nell’isola. Ed é proprio a questo punto che il DC9 dell’Itavia veniva scambiato per il velivolo libico. È così che Sinigaglia descrive alla Oldrini quegli istanti: “Sinigaglia: lui sembra quello che noi aspettiamo. Capito? In compenso però era già scattato, perché lì è stata proprio frazione di pochi istanti, l’ordine di abbattere il MiG e lo Yak. L’ordine di abbattere non è partito soltanto per i Mirage, gli F104 e gli aerei decollati dalla Foch, ma è partito anche per i sommergibili, pertanto si è scatenata una sarabanda. Morale della sarabanda, va giù il DC9 Itavia, va giù un Mirage francese va giù e va giù sulla Sila il MiG, mentre lo Yak con una picchiata si sottrae a tutto e a tutti e se la squaglia. Ecco, questo è quello che è successo quella sera.
Oldrini: quindi non si sa bene quale missile abbia colpito il DC9?
Sinigaglia: il missile sicuramente francese, sicuramente francese, perché tutti gli aerei erano francesi, gli aerei erano francesi, gli F104 non erano in grado, non erano operativi a quella distanza. Partendo da Decimomannu per quello che poi ho saputo anche io dopo… non sono armati come i Mirage i missili che possono tirare a 90km dal bersaglio. Devono essere prossimi al bersaglio per tirare gli F104, ragione per cui la reazione, l’ordine di tirare è stato comunicato soltanto ai mezzi in volo francesi e ai sottomarini francesi che erano quelli in grado di poter tirare; non ce ne erano altri.
Oldrini: il sottomarino non era inglese?
Sinigaglia: questo è stato il primo ordine, per cui si scatena la sarabanda, viene fuori. In allineamento se tu ti ricordi avevamo un sottomarino che era avanti di parecchie miglia.
Oldrini: ottanta.
Sinigaglia: ottanta.
Oldrini: americano.
Sinigaglia: che di quello si può dire poco, si può dire tutto e si può dire, poteva essere lì come osservatore delle operazioni, questo io non posso dirtelo. Poi avevamo i nostri bravi sottomarini e a sette miglia avevamo quello inglese. Lì han tirato tutti per quel punto.
d: quanti erano i sommergibili francesi?
Sinigaglia: tre.
d: e gli inglesi?
Sinigaglia: uno e uno americano.
d: chi ha dato l’ordine di sparare, di aprire il fuoco?
Sinigaglia: è arrivato da Decimomannu che a loro volta lo hanno ricevuto però.”.
Sinigaglia continua affermando che nella battaglia aerea veniva colpito anche un Mirage francese, il cui pilota veniva recuperato in mare da un elicottero dell’Aeronautica italiana. A seguito di eventi l’ordine, da Decimomannu, di rientro in quanto era stato abbattuto un aereo civile. Sinigaglia afferma di non avere subito saputo dell’abbattimento del DC9 Itavia, ma di averlo appreso in seguito dalla stampa (v. trascrizione audiocassetta).
Questo pertanto lo scenario che Sinigaglia propone ai giornalisti di Panorama. In altra conversazione, sempre accuratamente registrata dalla Oldrini, Sinigaglia si dilunga a parlare della possibilità di recuperare documentazione in possesso di ufficiale della Legione Straniera che proverebbe l’abbattimento del DC9 dell’Itavia. Si dilunga anche sulle sue missioni in Sicilia; la prima nel 1980, a Petrosino, la seconda nel 1981 a Mazara del Vallo, finalizzate a forniture di armi ai controrivoluzionari libici. […]

Conclusioni

Le dichiarazioni di Sinigaglia sono risultate palesemente mendaci. Lo scenario che ha riferito prima ai giornalisti e poi all’inchiesta supera in più punti ogni fantasia. Un velivolo Mirage non potrebbe mai decollare da una portaerei: quel tipo di Nimrod in quell’anno non era ancora entrato in servizio; un sottomarino non è in grado di lanciare missili mare-aria; gli aliscafi della classe Sparviero non erano ancora entrati in servizio, ad eccezione del capoclasse; l’ammiraglio Accame già nel 1980 non era più in servizio.
Ma vanno aggiunte quelle circostanze che s’è accertato come vere e che ovviamente non potevano mancare, in quanto la miglior tecnica di inquinamento resta quella di somministrare falsità commiste a verità, per generare quel fumus veritatis che spesso cagiona l’asfissia delle inchieste. Si veda l’effettivo inserimento di Sinigaglia nella conduzione di Radio Mazara International benché privo di qualsiasi esperienza; l’effettivo legame di Emilio Patrì con gli ambienti libici; l’effettivo legame tra Giuseppe Ferro e Patrì; la permanenza a Cagliari a spese della ditta per la quale lavorava, senza ragione alcuna e con l’invio di somme di denaro all’epoca rilevanti. A ciò va aggiunto l’interessamento del Centro CS del S.I.S.MI. di Cagliari su Sinigaglia i primi giorni del luglio 80. Per tali motivi l’ingresso nel processo di Sinigaglia è inquietante. È certo che il Sinigaglia non ha agito da solo. Egli è stato di certo manovrato da chi ha voluto alzare il solito polverone. Che il Sinigaglia possa essere stato manovrato da qualche servizio, lo si rileva dalle conoscenze di vicende del capitano Puppo concernenti il referente al S.I.S.DE di quest’ultimo, il colonnello Rossi. Solo chi abbia potuto svolgere attività di intelligence poteva conoscere il nome del capo Centro del S.I.S.DE di Milano. Ed il fatto che lo stesso Sinigaglia si rifiutasse di fornire spiegazioni sulla conoscenza del ruolo del colonnello Rossi avvalora questa ipotesi.

IL MISTERO DEMARCUS

Un capitolo a parte dell’inchiesta deve essere dedicato a Demarcus Angelo, capitano di corvetta della MM, in congedo dal 22.08.84. Costui a partire dal 90 ha prodotto, raccolto ed inviato copiosa documentazione, sia alla stampa nella persona di Cantore del settimanale Panorama e di Protti dell’Europeo che a membri della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi, tra i quali gli onorevoli Zamberletti e De Julio.

Il Demarcus veniva convocato ed escusso una prima volta in data 27.01.92. In questa sede riferiva di aver prestato servizio nella Marina Militare dal 58 al 28.08.84; imbarcato nel 78 sulla nave Stromboli; a dicembre dello stesso anno destinato al Comar di Roma; successivamente inviato al Comando in capo della Squadra navale a Roma a Santa Rosa; infine alla Direzione Generale del personale della Marina fino alla cessazione del servizio. In merito al disastro di Ustica confermava l’invio di documenti e di copia di un proprio memoriale sulla vicenda, ad alcuni giornalisti, il cui originale avrebbe conservato presso la propria abitazione. Questo memoriale avrebbe contenuto: la ricostruzione, attraverso i fascicoli societari, dell’Ali e della Sonix 2000, collegabili, secondo sue ipotesi, al MiG libico di Castelsilano. La Sonix 2000, sempre a suo dire, era una società con presidente il generale Mangani, costituita nel 78 ed avente per oggetto il commercio di componenti elettronici per applicazioni militari; mentre l’Ali si occupava dell’addestramento dei piloti libici sia in territorio libico che italiano – presso la base di S. Lorenzo in Sardegna – e provvedeva soprattutto alla relativa logistica.
Quest’ultima circostanza sarebbe stata constatata di persona, avendo egli stesso svolto una visita d’istruzione nel 78 nell’isola con finalità di studi topografici. Nell’80, nel corso di un viaggio privato accertò, sempre di persona, la presenza di due MiG 23 nell’aeroporto di S. Lorenzo e di piloti libici, questi ultimi visti sia presso l’aeroporto che in un paesino chiamato Muravera. Con loro avrebbe avuto occasione di scambiare alcune battute in lingua inglese, e così era venuto a sapere che soggiornavano a S. Lorenzo per frequentare un corso di addestramento superiore. Le notizie contenute nel memoriale relative al sito radar di Poggio Ballone, sono il risultato delle confidenze fattegli dal maresciallo AM Mario Alberto Dettori, (trovato impiccato nei pressi di Grosseto in data 31.03.87) suo compaesano – essendo entrambi di Pattada in provincia di Sassari, e coetaneo del proprio fratello minore Carmelo – in servizio nell’80 presso la sala operativa di Poggio Ballone. Egli incontrava Dettori, in occasione di suoi viaggi a Roma per motivi di servizio; in una di queste occasioni il Dettori gli aveva riferito quanto era successo a Poggio Ballone la notte di Ustica. All’inizio era stato restio sull’argomento, perché asseriva che vi era stata una “grande guerra”; successivamente nell’84 aveva accennato che il 27.06.80 dall’aeroporto di Grosseto vi era stato un decollo strano. Nel dicembre 86 gli riferiva invece che quel decollo strano riguardava un MiG bianco per esercitazioni. Tale velivolo era coperto elettronicamente; v’era cioè un PD808 decollato da Pisa che accompagnava i due velivoli, il DC9 e il MiG, verso Sud. A quel punto sarebbe scattato l’allarme per intrusi da Ovest; il PD ebbe a trovarsi in difficoltà, non essendo in grado di difendersi; pertanto Grosseto fece alzare i caccia, gli F104 pronti per l’emergenza. In quel momento il MiG bianco tentò di evitare gli aggressori e sfiorò con il timone di coda il vano carrello del DC9. Tutti i dati di cui sopra il Dettori li aveva appresi attraverso i radar; sempre sui radar aveva percepito che il MiG bianco continuò la rotta fissa discendente verso Sud-Est. La collisione sarebbe avvenuta poco a Sud di Ponza.

“GLORIA” E I MASSONI

Altro collaboratore di giustizia sotto protezione, che riferisce su Ustica, è tal Elmo Francesco. Questi parla di quanto sa sulla strage alla Procura di Torre Annunziata (verbale di PG delegata 19.05.96) che trasmette l’atto il 14.02.97.

Le sue cognizioni derivano dalla lettura di un fascicolo in fotocopia denominato “Gloria” concernente il noto Affatigato. In questo file erano però contenute “stranamente” – è lo stesso “pentito” che usa questo avverbio – un elenco delle NP7, informazioni su Sciubba Elvio ed una nota sulle motivazioni del disastro. Il carteggio consisteva in una piantina degli Stati Uniti d’Europa (sic!) e una nota sulla strage, nella quale era indicato che il disastro di Ustica era secondo le loro informazioni collegato al trafugamento ed alla vendita di materiale fissabile (sic!) prelevato dalla centrale nucleare di Bologna, poco prima chiusa a seguito dell’attentato alla stazione di quella città. Il furto vedeva la regia dell’Affatigato con la complicità di una banchiere italo-svizzero di nome Battaglia, il cui materiale fu venduto tramite un certo Mussa, capo centro dei servizi segreti libici in Italia ed un certo Omar. Il trasporto fu eseguito proprio con il DC9 di che trattasi con la scorta di tre MiG libici partiti dalla loro base nei Balcani: dal conflitto con aerei francesi ed americani seguì l’abbattimento sia di due dei tre MiG che dello stesso DC9 nei pressi di Ustica, per impedire che tale materiale giungesse alla Libia. In questa nota si supponeva che la Libia fosse nella fase finale nella produzione di missili a testata nucleare. In tutta questa congerie di fatti emergeva la connessione tra Servizi italiani e libici o per meglio dire di agenti esterni di nostri Servizi.
Ovviamente il banchiere italo-svizzero è Pacini Battaglia; Mussa è Moussa Salem, a lungo tra gli anni 70 ed 80 Capo Centro libico in Roma; Omar quasi sicuramente il noto Omar Yaya.
Esaminato da questo Ufficio l’Elmo aggiungeva dettagli. Egli era stato in possesso del fascicolo “Gloria”; lo aveva ricevuto dal colonnello Mario Ferraro – del S.I.S.M.I, morto nell’estate del 1995. Il “Gloria” non trattava di Ustica, ma di attività di massoni. Tra i tanti appunti ve n’era però uno, ben dettagliato, sulla strage e cioè una “cronistoria di come e perché era nato il caso Ustica”. Quindi Elmo così continua: “Era il 1994, verosimilmente nel maggio o giugno, ed era sicuramente dopo che io avevo intercettato Marco Affatigato, intendo per questo fare accertamenti e scoprire a distanza le sue attività al momento in corso per conto del colonnello Mario Ferraro. L’appunto era dattiloscritto senza alcun riferimento, forse di una pagina, era molto dettagliato e, per quella che è la mia esperienza, riportava più che una ipotesi, una certezza per il Servizio. In quel momento stavo lavorando, come è successo per il 94 e parte del 95, come agente esterno dello stesso Servizio Militare. Già avevo fatto tale attività dal 1983/84 e fino all’87/88 e occasionalmente dall’88 al 93. Il colonnello Ferraro mi agganciò intorno al febbraio 94 nell’hotel President, se ben ricordo, di Zurigo, quando io stavo lavorando nello studio dell’avv.Merloni. Quel giorno si presentò con Michele Finocchi. Io nella occasione ho saputo che il col. Ferraro era appena tornato dal Sud Africa. Cominciai, quindi, a lavorare per lui. Per lavorare intendo che dovevo fornire documenti su italiani che frequentavano lo studio e sulle attività dello studio stesso e degli studi notarili e professionali ad esso connessi. A Città dei Ragazzi, provincia di Milano, doveva esser fine marzo inizio aprile 1994, ho incontrato il Ferraro con una persona che mi si presentò come Giuseppe Di Maggio. Questi all’epoca che l’ho conosciuto in Sicilia nel 1985 era un collaboratore di Emanuele Piazza, che sapevo che lavorava per Bruno Contrada”. Poi, dopo altre circostanze sulla sua attività per il Servizio, la narrazione sulla strage: “Dopo la strage di Bologna, alla stazione, fu chiusa la Centrale Nucleare nei pressi della stessa città. Susseguente, ma senza una datazione precisa dei fatti, cosa che mi ha sorpreso subito perchè inusuale, ci fu un furto di materiale fissabile, era scritto proprio così, dal nucleo della Centrale stessa. Questo materiale fu rubato tramite la copertura di una Sezione dei Servizi Segreti italiani, ad opera di tale Affatigato Marco. Nello stesso appunto brevemente, dopo la parola “Alt” venivano indicate “le coperture” dello stesso Affatigato, indicate nello “SDECE”, il Servizio Segreto francese, e nel dott. Vincenzo Parisi, che era il suo contatto all’interno dei Servizi. Dopo la parola “Semialt”, l’appunto continuava normalmente con la indicazione delle persone che erano intervenute nell’affare con l’Affatigato. Vi era indicato il Capo Centro dei Servizi libici Omar Mussa, poi un ufficiale dei Servizi libici, tale El Houbri, almeno questo mi sembra di ricordare, ed il nominativo di un banchiere romano, tale Battaglia, legato a tale Omar, non il Mussa. Sempre secondo l’appunto, l’agente “copert” Affatigato, vende materiale fissabile alla Libia, rappresentato dal Mussa. Latore del pagamento della fornitura era il Battaglia, a cui si era rivolto l’Omar, quello detto diverso dal Mussa, anch’egli un agente dei Servizi libici in Italia. Il materiale fu caricato nella stiva dell’aereo, che doveva viaggiare sulla tratta Bologna-Palermo. A Palermo poi amici italiani dell’Omar, quello nominato per secondo, dovevano caricarlo nel porto di Trapani, su uno dei tanti battelli che venivano usati, il cui nome non era indicato, per esser consegnato in Libia. All’altezza di Roma, l’aereo venne affiancato da tre MiG libici partiti da una base jugoslava, che stavano, rispetto all’aereo, ad ore 10 e ad ore 14, ma più in alto, non visibili, dall’aereo. Il terzo aereo seguiva. Si trattava quindi di una formazione a triangolo posta ad altezza superiore, per cui il terzo aereo aveva la stessa scia e quindi sul radar sarebbe stato visto in un unico punto, con differenza sugli altimetri. All’altezza di Bagnoli, la formazione sarebbe stata intercettata da aerei NATO e ne sarebbe scaturita una battaglia, in cui furono abbattuti il DC9, che comunque doveva essere abbattuto perchè il materiale fissabile non doveva comunque arrivare in Libia, e due dei tre MiG. Il terzo sarebbe riuscito a fuggire. Nello stesso appunto era scritto, all’ultimo “Ordine di non fare arrivare in Libia il materiale fissabile”. L’ordine parte dal NSA, poi passato alla CIA che lo ha passato alla base di Bagnoli, che ha dato le disposizioni operative necessarie”. Infine le sue considerazioni: “Come mie considerazioni, posso dire che il 13 agosto 94 alla stazione centrale di Milano chiesi lumi a Di Maggio sull’ammanco di materiale fissabile a Bologna. Il Di Maggio mi confermò dell’ammanco, ma aggiunse che non si sapeva dove fosse andato a finire ed essendo cosa di molti anni prima, non vi era interesse. Mi risulta che il generale Tito ospitava in territorio serbo-bosniaco, di religione mussulmana, basi con MiG libici. In considerazione di ciò, tutto quanto riportato nell’appunto e sopra detto, mi è sembrato e mi sembra ancora credibile. Aggiungo che sia il Ferraro che il Di Maggio hanno sempre avuto un comportamento corretto nei miei confronti e mi hanno dato sempre informazioni esatte.
A contestazione, ribadisce, “…per averlo letto sull’appunto e per ricordarlo perfettamente, senza tema di errore, che nella cronologia, in sintesi, era riportata prima la strage alla Stazione di Bologna, poi la chiusura della Centrale Nucleare vicino a Bologna, chiusa per timore di un altro attentato, poi il furto del materiale fissabile e da ultimo l’abbattimento dell’aereo di Ustica. Voglio precisare che all’epoca Gheddafi era arrivato all’ultimo stadio della costruzione della bomba atomica. Gli occorreva proprio il materiale dello stesso tipo di quello trafugato che sarebbe poi stato trattato chimicamente in Libia, con la tecnologia a loro disposizione, per diventare utilizzabile per la bomba atomica. Vi era una direttiva, e siamo in piena guerra fredda, di impedire la fornitura di materiale nucleare utile. Mi si può obiettare che tale materiale poteva essere fornito dalla Russia. Una risposta potrebbe essere data dal fatto che la Libia voleva distaccarsi dalla dipendenza della Russia, e quindi diventare paese trainante delle altre nazioni africane. Voglio precisare che le ultime indicazioni cronologiche mi sono state fatte dal Di Maggio il 13 agosto 94, alla stazione centrale di Milano, quando chiesi generiche notizie sulla Libia”. (v. esame Elmo Francesco, GI 20.03.97).
Disposta l’esibizione da parte del S.I.S.MI del fascicolo “Gloria”, il decreto sortiva effetto negativo sia per l’inesistenza di un fascicolo specificamente così denominato, sia perchè quelli in cui comunque esso appariva era, come prenome, associato al cognome, e non avevano alcuna attinenza con i fatti. Sul Ferraro emergeva che nel 94 era stato trasferito al controspionaggio; che il 13 agosto di quell’anno non era in missione; che dai primi sino alla seconda metà di quel mese era stato in ferie presso la propria abitazione in Roma.
Sempre da attività di PG emergeva che il CESIS, interpellato dalla Procura di Torre Annunziata, aveva escluso che Di Maggio Giuseppe avesse amai prestato la sua opera a qualsiasi titolo presso il Servizio militare.
Tali risultanze e, principalmente, la cronologia invertita della strage di Ustica e Bologna e le risultanze sui furti a Bologna e luoghi vicini, oltre a una serie di incongruenze che non merita conto elencare, fanno giustizia di tali dichiarazioni.