di Mauro Gervasini
[Con questo articolo inizia la sua collaborazione regolare a Carmilla, dopo vari interventi isolati, Mauro Gervasini, critico cinematografico per Film TV, Duel e altre testate, autore del volume Cinema poliziesco francese (ed. Le Mani, 2003) e di monografie su George Romero e Walter Hill, conduttore della rubrica Zoe su Radio Popolare. Il 2007 di Carmilla si apre con un team di collaboratori tra i più compatti della Rete.] (V.E.)
Dal primo romanzo di Ian Fleming, scritto nel 1953 in piena Guerra fredda, al Casino Royale cinematografico del 2006. In mezzo ci sono stati altri 20 film e l’evoluzione di un mito senza pari, come tale quasi sempre uguale a se stesso salvo le necessarie improvvisazioni dovute alle stagioni e agli interpreti.
Lontano dal modello fleminghiano Sean Connery, spietato ma soprattutto rude; ironico e tagliente Roger Moore, il degno 007 in tempi di glasnost; transitorio Timothy Dalton, ma anche il più fedele al referente letterario; moderno ma sprecato Pierce Brosnan, dopo Goldeneye costretto ad “abitare” sceneggiature che neppure lui capiva bene.
Dell’era di quest’ultimo, il miglior regista Martin Campbell raccoglie la sfida di cambiare tutto affinché il mito resti ancora una volta uguale. Casino Royale era la sola carta possibile di una mano che continuava a essere vincente in termini di incassi ma sbiadita per empatia ed entusiasmo. Resettare il personaggio pareva impossibile, e invece…
James Bond, per entrare nella sezione doppio zero, porta a termine la sua prima missione omicida e subito viene gettato nella mischia. L’MI6, l’intelligence militare del quale fa parte con il grado di comandante, da tempo guidato da un M donna (strepitosa Judi Dench), gli fa tallonare Le Chiffre (Mads Mikkelsen), un banchiere albanese che ha appena preso in consegna cento milioni di dollari da un signore della guerra africano per investirli in una speculazione borsistica conseguente a uno spaventoso attentato terroristico. 007 sventa l’attentato e i milioni vanno in fumo. Ecco perché tutti si ritrovano in Montenegro nell’esclusivo Casino Royale: Le Chiffre sfida a poker un manipolo di miliardari per riscattare i soldi prima che il cliente lo elimini. Bond sarà della partita, spalleggiato da Vesper Lynd (Eva Green), funzionario del SIS (Secret Intelligence Service) che ha il compito di vigilare sui soldi di Sua Maestà.
Che il vodka martini sia shakerato o mescolato è indifferente per il giovane 007, e lo smoking tuxedo d’ordinanza gli viene regalato, quasi imposto, dalla seducente Vesper, anche lei ben lontana dal modello passivo delle Bond Girl. James impara: ad amare, a misurarsi con il nemico, a scegliere di chi fidarsi davvero, mentre l’azione è istintiva e l’assassinio un piacere. Come al solito, poi, 007 si completa e si riflette nel cattivo.
Non più malvagi da fumetto che desiderano primeggiare nel crimine come in qualunque altro campo dell’agire umano, ma un banchiere. Qualche vecchio fan della serie, nostalgico del wagneriano superomismo di Blofeld o Stromberg, ha storto il naso, e invece Le Chiffre è la più netta novità di Casino Royale: i cattivi del 2000 sono gli anonimi mister White che di giorno riciclano il denaro dei dittatori tragici a Milano e la sera si ritirano sul lago di Como rispettabili e come se niente fosse. Operatori di borsa senza scrupoli, spalloni della tecnologia avanzata, gambler del liberismo anarchico. Le loro lacrime di coccodrillo sono, infatti, di sangue.
Di fronte alla banalità del male, occorre che almeno il bene sia teatralmente eccezionale, politicamente scorretto, crudele senza ipocrisie. Ecco, dunque, il James Bond di Daniel Craig. Così sfrontato da essere lui a uscire dal mare come Ursula Andress o Halle Berry. Un personaggio finalmente “pensato” e al servizio di una storia scritta con intelligenza e coerenza logica, come non capitava da anni in un film della serie. Meno effetti speciali, certo, meno glamour e nessun giocattolino regalato dalla sezione Q, ma anche più brutalità e pathos.
Speriamo che la produzione abbia fatto tesoro degli errori del passato e non scelga, come dopo Goldeneye, un appiattimento sugli stereotipi a partire dal prossimo episodio (titolo provvisorio, Risico). Se Barbara Broccoli e Michael G. Wilson resisteranno alla tentazione di dare in pasto ai fan solo quel che già conoscono a memoria, con Daniel Craig potrebbe essersi aperto un ciclo fantastico, finalmente all’altezza dei tempi.