di Giulia Gadaleta
Luisa Valenzuela è scrittrice argentina, cosmopolita e poliglotta. Ha condotta una vita errabonda tra Buenos Aires, New York, Parigi. Di questo nomadismo ha lasciato un segno particolare nei suoi due romanzi pubblicati in Italia: Noir con argentini (Perosini, 2002) e Realtà Nazionale vista dal letto (Gorée, 2006). Entrambi usciti nel 1990, sperimentano un punto di vista obliquo sulla vita argentina, o per meglio dire, sotterraneo. La parodia e il grottesco sono, d’altra parte, una vera e propria vocazione, di cui fa le spese il potere, e quello militare in special modo. E’ la seconda volta in pochi anni che viene a Bologna e questa volta non mi faccio scappare l’occasione per un’intervista.
Barcellona, Parigi, il Messico e New York: lei ha condotto un’esistenza nomade e solo nel 1989 è tornata definitivamente a Buenos Aires. Quanto sono cambiate la sua lingua letteraria e la sua visione dell’Argentina?
Io credo che la mia lingua letteraria non sia cambiata tanto quanto la visione dell’Argentina, perchè vedere le cose da lontano fa capire molto di più quando si è vicini, ti permette di vedere il panorama generale. Quando sono lontana dall’Argentina la penso molto di più di quando ci vivo, quando sono in Argentina preferisco scrivere come se il protagonista fosse a New York. Forse la distanza mi ha dato più coraggio, l’ardire di parlare di cose molto forti, anche se non so, perchè io vado e vengo, è sempre stato così, quando non viaggiavo veramente viaggiavo con la mente.
Ho letto però che lei è tornata anche perchè temeva di perdere la lingua…
E’ vero, come la protagonista di Realidad Nacional desde la cama avevo cominciato a sognare in inglese, a fare questi dialoghi interiori in inglese e questo non mi piaceva, significava interiorizzare un’altra lingua.
Lei è molto attratta dalla marginalità e dal mondo sommerso, e sembra quasi che la sua scrittura serva per far emergere l’in-coscienza collettiva, per portare alla consapevolezza. La scrittura ha un potere taumaturgico, di salvezza, di terapia psicanalitica?
Mah, io non voglio che la letteratura serva a qualcosa… ma nello stesso tempo serve come strumento di conoscenza: io non capisco niente se non lo scrivo, mi pongo delle domande e poi non ho una risposta ma scrivo per trovare una via di comprensione. Io non aiuto il lettore, voglio che il lettore e la lettrice pensino da soli, continuino la storia che racconto, vadano oltre, credo che quello che è importante nella scrittura è dire quello che non può essere detto, forzare i limiti, allora anche il lettore può pensare un pò più in là di quello che io ho scritto. A me non piacciono i libri che spiegano tutto. Qui sta l’abilità dello scrittore, nella scelta della parole, lasciare una lieve ambiguità… Io non voglio un lettore passivo, mi interessa non cosa ma come si racconta.
In Novela negra con argentinos si parla di “scrivere con il corpo”: ci spiega questa sua personale poetica? Ha qualcosa di femminista?
Forse sì, forse ha a che fare con l’essere donna, ma credo che tutti quelli che scrivono davvero, quando la scrittura viene così da sola, praticamente scrivono con il corpo e con la testa, è una cosa dell’erotismo, della passione, una cosa che fluisce dal sangue, si sente, io sento nel corpo quando la scrittura viene bene, quando non viene bene è una cosa totalemente razionale, pensata, non c’è emozione.
Sia in Novela negra con argentinos che in Realidad Nacional desde la cama la teatralità è fondamentale. Perchè nel rappresentare la vita sconfina nel teatro? Cosa rappresenta il teatro per lei?
In verità solo questi due romanzi hanno a che fare con il teatro, sono stati scritti quasi insieme. Ho scritto Novela negra con argentinos mentre ero ancora a New York ma, una volta tornata a Buenos Aires, non ho voluto presentarlo come primo romanzo del mio ritorno, questa cosa tanto forte, tanto dura, in cui appunto il teatro è il leit motif proprio perchè si ispira a New York che è tanto teatrale. Realidad Nacional desde la cama è nato come opera teatrale ma non piacque. Allora l’ho trasformato in romanzo, mantenendo questa circostanza del punto di vista della protagonista a partire dal letto.
Oltre al teatro però, mi sembra che sia in Novela negra con argentinos che in Realidad national desde la cama, gli unici tradotti in italiano, i suoi personaggi siano divisi tra il desiderio di scomparire e la vita. In questo senso risentono entrambi del momento in cui sono stati scritti, il 1990?
Guarda, io me ne sono andata da New York perchè volevo sottrarmi al senso del dovere e alla passione per il lavoro che hanno i protestanti, un bel giorno mi sono detta: io sono latinoamericana! Non devo lavorare tanto! Poi però la sensazione che ho provato al ritorno in Argentina era di non voler sapere niente, era troppo per me, era un caos assoluto, nessuna persona lascia una città che ama, affascinante e piena di stimoli come New York per ritrovarsi nel caos.
Ci fu il tentato golpe dei Carapintadas durante la prima presidenza Menem, l’iperinflazione che portava i prezzi ad aumentare di ora in ora: tutto quello che ho scritto in Realidad nacional desde la cama in forma di parodia, che è la mia maniera di vedere. E c’era anche la sorprendente reazione della popolazione delle baraccopoli che deridevano i militari ribelli, la perdita del rispetto e della paura dei militari era un miracolo!
Quello che ho scoperto a posteriori è l’importanza della passività, del sostenere la situazione, come fa la mia protagonista, perchè in fondo l’azione si sviluppa a partire dalla sua immobilità. Il tema della memoria è diventato il simbolo dell’Argentina che voleva dimenticare e nello stesso tempo non poteva: è meglio dimenticare o mettere le cose in ordine?