Ascolta “Talvolta abbiamo tempo”, file .mp3, 2.79mb, circa 3 minuti, nell’esecuzione di Babsi Jones
Con un post non dissimile agli altri che ingemmano il suo blog – il quale personalmente ritengo fondamentale per il Web italiano: la realtà transculturale e trans-soggettiva più vivace e stilisticamente alta della blogosfera letteraria, che una volta fu e adesso è morta e sepolta -, Babsi Jones conclude una fase di transizione che l’Internet italiana, intesa quale àmbito di “discussione” culturale, sta faticosamente compiendo, per trascinarsi verso una fase 2.0: una fase in cui non ci sarà più asilo per osservazioni circa il rigore dei dibattiti, poiché i medesimi dibattiti assumeranno altra dimensione e forma. y cuando ya ganaron ellos y también ganamos nosotros si intitola il post ed è degno di alcune osservazioni generali.
Anzitutto il discorso è soggettivo: la scrittrice discute, a partire da suoi taccuini di un un tempo ormai trascorso, del libro che ha nominato quasiromanzo, in uscita per Rizzoli nel 2007. La riflessione che vorrei proporre coinvolge proprio lo spostamento dal romanzo, l’allontanamento da un canone cristallizzato, per traslare questo spostamento verso la zona inesplorata a cui la Rete degli scrittori (di certi scrittori) inizia a mirare.
Si deve a Wu Ming 1 la definizione, che immediatamente ha attecchito nei meandri della blogosfera letteraria, di “oggetto narrativo”, a proposito del suo New Thing. In realtà, New Thing altro non è che un libro che invera una tradizione totalmente assente in Italia: quella che supera il postmodernismo e l’avanguardia, che nel loro luogo di nascita (America su scorta francese) sono entità distinte, mentre da noi sono entità equivoche, spesso contaminantesi fino all’identificazione. New Thing cerca di attuare una poetica à la Burroughs [nell’impressionante foto a destra], per usare terminologie dirette e in nulla rigorose da un punto di vista filologico. Si tratta di una poetica che, in Italia, è inquinata dagli esiti disastrosi dell’avanguardia storica, soprattutto da questa categoria del popolare come leggibilità piana che ha favorito una contestazione ciarlatanesca sulla scorta di adornismi pallidi (cioè, nozioni che risalgono a 50 anni orsono). Anche la poetica-Burroughs risale a quarant’anni orsono, ma la differenza con Adorno è che non si tratta di ragionamento, bensì di fecondazione letteraria. Resta ancora da stabilire se in America Burroughs sia stato davvero compreso ed, eventualmente, perseguito come parto letterario (fatto salvo Vollmann, mi pare di no); in Italia sono certo che non solo non è stato compreso, ma nemmeno è stato utilizzato per come richiedeva di esserlo (a nulla valgono performance, letture dal vivo, rapping poetico et similia).
Allontanandoci da New Thing, resta che Wu Ming 1, con lo slogan “oggetto narrativo”, traccia una soglia a cui, personalmente ho risposto: non tanto per adesione ideologica precostituita, quanto per necessità poetica implicita, con il grafema romanzo rispetto al libro su cui sto lavorando. Babsi Jones si allontana dal romanzesco (perché è tutta qui la questione: il romanzo come coincidente col romanzesco, per come il romanzesco è stato tradizionalmente inteso, non ci parla più; il romanzo esplode e torna a essere “il [o un] libro”) coniando l’espressione quasiromanzo. Ora vale la pena di osservare se, a questi spostamenti, corrisponde uno spostamento di quanto accade in Rete.
E questo spostamento c’è, sta verificandosi.
C’è la tendenza, nelle frange più avvertite di scrittori che storicamente operano su Web, a creare INSTALLAZIONI ARTISTICHE in Rete.
Tutti contemporaneamente, per stare ai nomi fatti: Wu Ming con i racconti prodromici al libro di prossima uscita Manituana , con l’esplosione del web dedicato a Free Karma Food di Wu Ming 5 e con i file dell’audioteca, oltre che con lo spettacolo da 54 insieme agli Yo-Yo Mundi; io stesso con il tentativo di web esploso da L’Anno Luce, con il sito della Fabula Orphica e la trasformazione, da sito di informazione letteraria a officina aperta di riflessione e pratica di un oggetto narrativo, e Babsi Jones con l’intero suo blog, fino a questo post che, a mio parere, costituisce la sintesi più avanzata del processo che qui accenno.
L’installazione di Babsi Jones prevede, nella chiusa, l’ascolto di un file audio che, mutuato da Neruda, fa esplodere una ambiguità decisiva in tempi di letteratura globalizzata. Cito la stessa autrice:
‘Chiusi gli appunti vaghi che risalgono al 2005, torno a oggi. C’è un poema di Pablo Neruda, non molto conosciuto. E’ tratto da Memorial de Isla Negra, del ’64, e io ci arrivo jug-amente attraverso un gioco di traduzioni a rimpiattino. La versione che ho in italiano, e che qui leggo, fa parte dei diari della Wolf, sicché è la traduzione italiana di una traduzione tedesca dallo spagnolo, o così sembra. Non importa. La parte in italiano si squarcia aprendosi verso il quasiromanzo, è un richiamo medianico (“a proposito di verità, di vinti, vincitori, di colpevoli e innocenti”), come io amo chiamare queste riflessioni, questi insert.’
E’ da notare, sintomaticamente, lo sforzo neologizzante che Babsi Jones impegna per descrivere cosa fare: dico che è un sintomo, perché questo accade nel momento in cui si penetra nell’inesplorato. Prima di questa notazione, nel ragionamento narrativo sui suoi taccuini, Babsi Jones utilizza artifici ritmici tipici della composizione di un testo letterario – isolato, separato graficamente dal resto, quasi un verso, virgolettato, che allude a una voce reale, il che semina l’anticipazione alla voce reale che ascolteremo a fine post:
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“Anche ammettendo che essi fossero i cattivi, chi avrebbe osato narrare la loro storia?”
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Dopodiché, rimane l’ascolto: un testo letterario, che nomadicamente varca molte lingue, letto da un’autrice (letto alla stragrande, perché l’autrice dispone di robusta formazione teatrale) e distorto artificialmente – con l’intenzione di testimoniare un legame medianico con un libro che ancora deve essere pubblicato.
Si allude, quindi, alla continuazione della fabula infinita che in un oggetto narrativo ha una semplice e testuale occorrenza, germinando, di linea in linea, universi che troveranno, già stanno trovando, il loro luogo di espansione su una piattaforma, il Web, che deve costituirsi come accoglimento di produzioni artistiche, con linguaggio sintetico proprio, e non semplice giustapposizione di linguaggi pre-esistenti. Il movimento è appena agli esordi, ma i risultati (considerando i corollari YouTube e Flickr) sono già sconcertanti. E lo sono per il carattere medianico che Babsi Jones esplicita (e già i Wu Ming l’avevano esplicitato in 54, attraverso la geniale allegoria del televisore McGuffin): lo stesso Burroughs usa il medesimo termine per ricollocare, al centro dell’opera letteraria, l’affabulazione, che la letteratura sta ignorando progressivamente, fino all’esaurimento (anche della pazienza dei lettori).
Installazioni artistiche su Web, legate al cuore del letterario, che non è solamente il mero testo, ma ciò che il testo scatena e che dal testo può gemmare: qualcosa su cui ci sarà da discutere, ma fuori dalla gabbia di generi e teoremi accademici e impastoiamenti di tradizioni equivocate. E’ da questa cruna d’ago che passa il futuro, e saranno i poveri ad attraversarla: gli scrittori.