di Piero Bianucci
Marte come un’altra Terra, dove scoprire forme di vita in cui specchiarsi, dove un giorno l’umanità potrebbe trovare un’altra patria. Nasce così il grande sogno collettivo, quando nel 1893 Percival Lowell, fortunato uomo d’affari americano con la passione dell’astronomia, si regalò un telescopio tra i migliori dell’epoca e interpretò i «canali» scoperti da Giovanni Schiaparelli come opere artificiali costruite da esseri intelligenti per fronteggiare l’aridità del pianeta. I canali si sono dissolti in illusioni ottiche, le sonde spaziali ci dicono che Marte è simile al deserto del Sahara, ma alla temperatura dell’Antartide e sollevato a 40 mila metri di quota, dove la pressione è 1/200 di quella al suolo.
Ma il sogno rimane. Tra Usa, Europa e Giappone sono decine le missioni in programma fino al 2020. E poi, verso il 2030, forse con partenza dalla Luna, lo sbarco dell’uomo. Un sogno costoso: 100 miliardi di dollari contro i 24 delle 17 missioni Apollo che portarono 12 uomini sulla Luna. Tanto interesse si spiega con il fatto che, nonostante tutto, Marte rimane l’unico pianeta vagamente simile al nostro: le ultime sonde hanno accertato la presenza di ghiaccio, al sole dell’estate marziana il termometro sale sopra lo zero, batteri e altri organismi elementari potrebbero essersi sviluppati in passato su Marte e forse ancora sopravvivere, un meteorite proveniente da quel pianeta sembra conservarne tracce fossili. Poi c’è l’ipotesi di rendere Marte abitabile: un’operazione chiamata «terraforming» [a fianco, uno studio Nasa su Marte terraformizzato], donde l’orrendo neologismo terraformare. Simulazioni al computer fatte da Robert Zubrin dicono che basterebbe aumentare di 4 °C la temperatura del Polo Sud per scongelare l’anidride carbonica della calotta ghiacciata e innescare un effetto serra che porterebbe la pressione da 6 a 100 millibar; a questo punto altri gas si libererebbero dal suolo e in una decina di anni il pianeta si riscalderebbe fino a poter ospitare microorganismi portati dalla Terra, che produrrebbero ossigeno. Difficile dire dove finisca il realismo e inizi l’abile azione delle pubbliche relazioni della Nasa
«Nello spazio cercando noi stessi»
Incontro col cosmologo e matematico John D. Barrow e la sua visione dell’impresa marziana
di Emanuele Rebuffini
Celebre cosmologo e matematico, John D. Barrow, insegna all’Università di Cambridge, dopo essere stato professore a Oxford, Berkeley e aver diretto il Centro di Astronomia del Sussex. Grande divulgatore scientifico, è autore di centinaia di pubblicazioni, tra le quali L’universo come opera d’arte, Impossibilità e Da zero all’infinito, la grande storia del nulla (Mondadori, 2002). È anche autore di un testo teatrale, Infinities, per la regia di Luca Ronconi. Lo abbiamo incontrato a Torino in occasione della cerimonia del Premio Italgas, dove Barrow ha ricevuto il premio «Divulgazione e ambiente» nel fascinoso scenario della Mole Antonelliana.
In queste settimane l’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata sulle esplorazioni marziane. Quale importanza rivestono per l’umanità?
«Ci aiutano a capire quale è il nostro posto nell’universo. A lungo ci siamo chiesti se la Terra sia l’unico pianeta in cui esistono forme di vita e per questo abbiamo sempre coltivato il desiderio di poter esplorare gli altri pianeti».
Queste missioni richiedono grandi finanziamenti, che potrebbero essere meglio impiegati nella lotta al terrorismo, all’inquinamento e al sottosviluppo. Dallo spazio possono arrivare risposte ai nostri problemi terreni?
«È importante esplorare sia lo spazio sia il nostro mondo per migliorarlo. Come per tutti i budgets, anche in questo caso si tratta di riuscire a suddividere le risorse disponibili in modo tale da poter finanziare attività diverse. Tenga presente che le spese stanziate per esplorare Marte sono una frazione minuscola rispetto al budget destinato ad altre attività, per esempio le spese militari, oppure le spese per la sanità, oppure le spese che le nostre famiglie sostengono per andare al ristorante o al cinema. Gli spettatori che vanno al cinema a vedere film come ”Star War” dovrebbero devolvere il 5% del prezzo del biglietto al finanziamento delle ricerche spaziali. E sono sicuro che se venisse proposto, gli spettatori accetterebbero. Le esplorazioni spaziali ci permettono di ottenere informazioni molto importanti, per esempio nel campo climatico. Lo studio del sistema atmosferico di Giove ci sta aiutando a comprendere la complessità dell’atmosfera terrestre. Lo studio dell’instabilità atmosferica dei pianeti ci è utile per comprendere i mutamenti climatici terrestri. C’è però da tenere presente che i benefici derivanti da un programma spaziale sono indiretti e a lungo termine. Il beneficio principale del programma Apollo degli anni ’60 è stato lo sviluppo dell’industria informatica. Così l’acceleratore di particelle è servito alla creazione di Internet».
Lei è un sostenitore della teoria della continua espansione dell’universo. Quali sono le conseguenze etiche e filosofiche di questa visione?
«Ci sono due teorie, quella che sostiene che l’universo sia destinato a una contrazione e quella che ritiene che l’espansione sia continua. Le prove sono tutte a favore di quest’ultima. La vita umana è apparsa solo a un certo punto nella storia dell’universo e anche in futuro avremo forme di vita, anche se diverse da quelle che conosciamo. Tutti noi siamo formati da atomi di carbonio. Il carbonio è presente nelle stelle ed è grazie alla reazione nucleare che si libera nell’universo. Per la costruzione di questi blocchi di vita occorrono miliardi di anni e le dimensioni dell’universo sono proprio ciò che consente la vita. In un universo di dimensioni più ridotte non avremmo modo di sopravvivere, perché non ci sarebbe il tempo di costruire questi ”blocchi di vita”. In futuro la vita continuerà nell’universo, ma questo sarà sempre più inospitale, perché le stelle moriranno. Quindi questa teoria comporta una visione pessimistica del futuro».
Ma per capire l’universo dobbiamo guardare verso le stelle o dentro noi stessi?
«Il problema che esiste in natura è che esistono cose infinitamente grandi e cose infinitamente piccole. Noi stessi non sappiamo se la materia sia divisibile all’infinito. Sospettiamo che non lo sia e che a un certo punto si arrivi a trovare una particella infinitesimale non più divisibile. Non sappiamo se l’universo abbia una dimensione infinita, e non lo sapremo mai, proprio perché abbiamo la possibilità di percorrere solo una distanza finita».
Lei è stato chiamato a dirigere il Millennium Mathematics Projetc, per diffondere la cultura della matematica. E per dimostrare che il matematico non è né una persona noiosa né un genio folle come il Nash di «A beautiful mind»…
«Se volessimo insegnare la meccanica potremmo partire dai movimenti dello sport o della danza, cioè da qualcosa che appartiene alla vita quotidiana. Per spiegare la statistica potremmo prendere in considerazione la lotteria. Mi piace praticare lo stesso tipo di approccio per la matematica. Trarre esempi concreti dal mondo. Pensiamo ai dipinti di Pollock, che hanno molto a che vedere con la teoria dei frattali. Anche le piante sono dei sistemi di frattali. Si deve usare il mondo che ci sta intorno per dimostrare che la matematica è ovunque». [da Il Mattino]
Avventura Marziana
[da Marte e l’Avventura marziana]
Gli esseri umani sono in grado di costruire navicelle spaziali in grado di raggiungere la Luna nel giro di alcuni minuti; un volo su Marte durera’ 2 ore e mezza, mentre un volo su Alfa Centauri, rilevato ad anni luce di distanza dalla Terra, durera’ un’ottantina di giorni.
Questi viaggi incredibili possono trasformarsi in realta’, sostengono due esperti di fisica tedeschi, i quali sostengono quest’audace teoria [nella foto, un campo sperimentale della cosiddetta Z-machine]. Walther Dresher dell’universita’ di Innsbruck ha deciso di unire le forze con Joachim Hoiser, uno scienziato molto qualificato della compagnia tedesca HPCC-Space Gmbh.
“I fisici tedeschi basano il loro lavoro su di una teoria formulata dallo scienziato tedesco Burkhard Heim negli anni ’50,” dice Vadim Pimenov, vicedirettore dell’istituto di fisica teorica ed applicata dell’Accademia delle scienze russa, nonche’ professore all’universita’ statale Lomonosov di Mosca. “Heim, brillante fisico e filosofo, fu il primo scienziato che inizio’ a prendere in considerazione i principi di voli spaziali facendo uso di un “supermotore”.
Il concetto, a prima vista, appare assai poco probabile. Si tratterebbe di una combinazione derivata dallo sforzo di unire i meccanismi quantum alla teoria generale della relativita’ – due teorie che finora hanno superato tutti i tentativi di renderle “amiche”, in maggior parte dovuto alla diversa interpretazione dei concetti di spazio e tempo. Heim si e’ basato sul concetto di Einstein relativo alla gravita’ vista come una manifestazione di distorsioni nel “tessuto” di spazio e tempo, sostenendo tuttavia, che tutti i tipi basilari di interazione debbano essere considerati una manifestazione del completo assortimento degli spazi dimensionali.
Heim ha presentato due dimensioni addizionali dal momento che quelle esistenti non erano sufficenti per provare la sua teoria. E’ stato detto che il fisico abbia comprovato che la gravita’ e l’elettromagnetismo possano convivere nel proprio spazio 6-D. Inoltre ha affermato che, a determinate condizioni, una forza di gravita’ puo’ trasformarsi in una elettromagnetica e viceversa.
Resta ancora da stabilire se Heim sia riuscito a far convivere i meccanismi quantum con la teoria generale di relativita’. Per ragioni sconosciute, lo scienziato si e’ rifiutato di rendere pubblici tutti i dettagli della propria teoria finche’ non ha fatto un’esperimento “decisivo”, il quale non si e’ materializzato o per ragioni tecniche o per la mancanza di fondi.
“Il fisico tedesco Wolfgang Dresher si e’ basato sulle strane idee di Heim, aggiungendovi due ulteriori dimensioni,” dice il professor Pimenov. “Dresher ha descritto matematicamente un universo ad otto dimensioni, lo spazio Heim-Dresher, aggiungendo due ulteriori tipi di interazione,” dice il professor Pimenov.
Il collega di Dresher Joachim Hoizer, al pari dello scienziato americano John Kelvin e dell’accademico russo Nikolaj Kozyrev, ha sostenuto la teoria. Secondo loro, un circolo a veloce rotazione combinato ad un magnete di forma anellare in un forte campo magnetico, e’ in grado di “spingere” una navicella spaziale ad altre dimensioni, nelle quali possano esistere differenti valutazioni dei coefficenti naturali, inclusi spazio e luce. L’apparecchiatura sara’ in grado di creare antigravita’ muovendo una navicella spaziale nello spazio regolare. “Non stiamo cercando di sfidare le leggi fisiche esistenti, stiamo solamente ampliando i nostri punti di vista a questo proposito”, dice Kelvin.
“Gli studenti accademici avrebbero reagito in modo decisamente scettico se tali argomentazioni fossero state avanzate qualche anno fa”, sostiene Pimenov. “Oggigiorno la situazione e’ cambiata. L’istituto americano di aereonautica e astronautica ha recentemente pubblicato un elenco dei vincitori di vari premi negli ultimi anni nel campo dei migliori lavori teorici applicati alla ricerca aereospaziale.”
“Le istruzioni relative ad un volo spaziale basato sulla teoria quantum di Heim” di Hoiser e Dresher e’ stato premiato nella categoria “Il volo futuro”.
Secondo la rivista Il nuovo scienziato, l’opera rappresenta una serie di speculazioni relative alla possibilita’ di far passare un oggetto materiale nel cosiddetto spazio parallelo (oppure “altro universo”) da cui farlo ritornare.
I sogni relativi ad una macchina del tempo stanno iniziando a prendere forma negli Stati Uniti.
La cosiddetta macchina-Z e’ in fase di costruzione nel laboratorio nazionale americano denominato Sandia. Essa rappresenta una delle piu’ potenti risorse “d’impulso” di un campo magnetico al mondo, nonche’ il piu’ potente generatore in assoluto di raggi roentgen. tali esperimenti stanno per essere effettuati anche a Mosca, nell’istituto di fisica teorica ed applicata presso l’Accademia delle scienze russa.