di Alberto Prunetti
[Riprendiamo la pubblicazione di storie di resistenza popolare negli anni del ventennio fascista, tratte da Potassa, edito da Nuovi Equilibri. Qui la prima parte, già pubblicata su Carmilla]
La sera del 21 maggio 1921, verso le 19, il possidente Giuseppe Bernardini sente bussare alla porta della sua abitazione, fuori dal borgo di Massa Marittima. Apre e si trova di fronte due tipi male in arnese. Uno lo conosce di vista, è Chiaro Mori. Chiaro fa la questua a mano armata. Il Bernardini obbietta di non avere denaro. Chiaro ribatte che la sera prima ha intascato tremila lire per la vendita di alcuni maiali. Convinto dai fucili dei visitatori, il possidente trova i soldi. I due espropriatori intascano, intimando di non far parola a nessuno dell’episodio e “raccomandando al Bernardini, se aveva cara la vita, il più assoluto ritegno.” Ma si sa, certe esortazioni a volte lasciano il tempo che trovano. Così il Bernardini va di filato alla stazione dei carabinieri di Massa Marittima per denunciare Chiaro Mori di Antonio e Fiorentini Cecilia, nato il 26 febbraio 1885 a Massa Marittima, bracciante, disertore e latitante
Chiaro Mori ha vissuto dodici anni nei boschi: disertore durante la prima guerra mondiale, entrò nella banda del prete, un gruppo insurrezionale che agì nel grossetano durante il conflitto bellico e di cui si sa pochissimo. Il prete, o il pretaccio, ai tempi di questo episodio era già morto: il suo nome era Curzio Iacometti, un anarchico di Monterotondo Marittimo. Curzio è conosciuto con il soprannome di “il pretaccio”, perché prima di aderire all’idea libertaria è stato in seminario. Durante la Prima guerra mondiale lo Iacometti viene arruolato in una fattoria della piana di Grosseto che funziona da campo di concentramento per i prigionieri austriaci, la Tenuta degli Acquisti del Conte Gucciardini. Dà prova del suo patriottismo esultando alla notizia della disfatta dell’esercito italiano a Caporetto: festeggia l’evento coi prigionieri, per questo viene allontanato dal campo e inviato a Grosseto. Intuisce che a Grosseto verrà punito, forse imprigionato. A metà strada decide di saldare il proprio conto con la Madre Patria. Torna indietro e appicca il fuoco alla fattoria dell’esercito italiano. Mentre le fiamme illuminano gli oliveti il pretaccio si sbarazza della divisa. Gettatosi nelle intricate macchie della Maremma, si congiunge con un folto gruppo di disertori e tiene un comizio in una radura del bosco. Ai disertori, che si nutrono di bacche e radici, propone di assaltare le fattorie dei benestanti armi alla mano. Al contrario dei suoi compagni, spesso analfabeti, il prete è uomo di studi. Conosce il latino e la teologia. Dà prova della sua abilità scrivendo lettere minatorie per l’estorsione del denaro indirizzate ai latifondisti della zona. Cominciano gli espropri e si moltiplicano i casi di diserzione armata: dovrà intervenire l’esercito per debellare quella che verrà chiamata “la banda del prete”.
Quando c’ero c’era…
Il “prete” venne trovato morto a Pomarance nell’estate del 1919. Le circostanze della morte non sono mai state appurate. Uno della banda che gli sopravvisse è proprio Chiaro Mori: “Chiarone”visse nei boschi, o nei poderi vicino ai boschi, per circa 12 anni, e fu una vera spina nel fianco per le autorità fasciste del grossetano. Duro e armato, Chiaro ama però i balli contadini, i contrasti in rima e la musica e di quando in quando frequenta i poderi dove si tiene qualche festa. Una sera Chiaro si diverte in un ballo in un podere quando viene avvertito dell’arrivo dei carabinieri. Smette di ballare e scende di corsa le scale, ma sul pianerottolo si trova dinanzi un brigadiere che gli chiede se c’è nel salone il Mori. Dimostrando spirito e sangue freddo, Mori risponde: “Quando c’ero c’era, ora ‘un c’è più”. Poi aggira il milite, frastornato dalla potenza logica dell’argomentazione, e si dilegua nelle macchie circostanti. Chiarone rimane alle macchie fino al 1929, quando finalmente i fascisti riuscirono ad arrestarlo.
La poesia di Chiaro
Su un muro d’un’osteria a Pian di Mucini, Massa Marittima, trovo un pezzo di pagina con un’intervista al poeta-contadino Lio Banchi. Lio parla di Chiaro Mori. Dice che nel dopoguerra a Pianizzoli, una frazione vicina, contadini, vetturini e boscaioli si riunirono per sfidarsi a colpi d’ottava rima. Tra loro c’era un poeta estemporaneo che si chiamava Chiaro Mori “…che per molti anni aveva vissuto al bosco essendosi rifiutato al servizio militare… cantava poesie chiedendo risposta a chi poteva essere in grado di farlo…”
Chiaro me lo immagino intento a sfidare gli altri braccianti, e mi spiace di non conoscere i suoi versi… sulle scale del podere, con la musica della festa che si attutisce e gli stivali dei carabinieri che rimbombano sugli scalini… quando c’ero c’era, ora ‘un c’è più… parole che fanno ridere, che sanno di sberleffo, ovvie e stupendamente argute, scandite dai suoni vocalici che si intrecciano in uno scioglilingua quasi infantile…poi di colpo un’intuizione: mi metto a contare le sillabe. Sono 10, con un’ultima sillaba accentata: è un endecasillabo tronco. Rimbalzata nella memoria orale, la poesia di Chiaro Mori è arrivata in un unico meraviglioso frammento,che raccoglie l’eco di Dante fuggitivo nel castello di Poppi — finch’é iv’ero iv’era — e la prolunga in un endecasillabo che ammutolisce un carabiniere: Chiaro faceva poesia col vino in corpo e la pistola in tasca, e nel contrasto poetico si giocava la propria libertà. Viene da rammaricarsi che non si conosca altro della sua poesia. Ma penso anche che l’efficacia delle rime contadine sta proprio nell’analfabetismo dei suoi illetterati protagonisti. Suono che nasce e muore nelle osterie e nelle aie dei poderi, la poesia a braccio perde di vigore quando si posa sulle pagine di carta. E allora cosa importa se di tutti i versi di Chiaro ne conosciamo uno solo, così efficace da aggirare un mandato di cattura? Mi chiedo dove sia oggi la poesia di Chiaro. Quando c’ero c’era…
[Continua. La foto di corredo al testo non si riferisce né al prete né a Chiaro Mori, dei quali non ho trovato alcuna documentazione fotografica, bensì al brigante Menichetti] A.P.