di Nevio Galeati
Nelle acque del Mediterraneo nuotano, imperturbabili, branchi di barracuda; risalgono l’Adriatico seguendo le correnti. Lungo le coste francesi, fra Tolone e Mentone, prolifera la Caulerpa taxifolia, un’alga tropicale che ostacola i cicli vitali di altri organismi. Ma, anche vicino alle coste italiane che si affacciano sul Tirreno fin dall’inizio degli anni Settanta, sono apparse alghe che in origine si incontravano solo in Giappone. Poi spuntano pesci palla e ricciole fasciate di origine africana.
Questi movimenti subacquei sono provocati dal fenomeno di tropicalizzazione del “mare in mezzo alle terre”, uno fra gli effetti del mutamento climatico cui potrebbe porre rimedio il protocollo di Kyoto, inutilmente firmato l’11 dicembre 1997, entrato in vigore il 16 febbraio 2005 e squisitamente neppure preso in considerazione dai maggiori responsabili del dissesto ecologico del pianeta. Stati Uniti in prima fila: Clinton lo firmò negli ultimi mesi del proprio mandato, Gorge W.Bush, appena insediato, ritirò l’adesione. Ma, se pare che l’interesse delle emissioni di biossido di carbonio e altri cinque gas serra non tolga il sonno più di tanto, qualcuno sta pensando a come risolvere il problema del riscaldamento del mare; e proprio in Italia. La ricetta ha un nome: rigassificatore
Di cosa si sta parlando? Si tratta di un impianto che permette di riportare allo stato gassoso un fluido che si trova allo stato liquido. Una soluzione che viene adottata per trasportare, con cisterne o navi cisterna (ecco la salvezza del mare), dal luogo di produzione al luogo di utilizzo, evitando quindi di avvalersi di gasdotti. Ai quali, come si è visto, è possibile chiudere i “rubinetti”, lasciando intere nazioni al freddo. Normalmente questo sistema si utilizza per il metano che in alcuni paesi produttori, la Nigeria piuttosto che l’Egitto (Eni ha un impianto nuovo di zecca a Damietta), viene portato alla temperatura di 160 gradi sotto zero, riducendone il volume di circa 600 volte.
Ed ecco il miracolo della scienza applicata all’ecologia: per riportare allo stato gassoso il metano liquefatto è necessario riscaldarlo, per poi spararlo nelle pipe-line che lo erogano alle centrali termiche, o ai depositi a terra. Naturalmente il modo migliore per innescare questa operazione è utilizzare l’acqua di mare; che non costa (apparentemente) nulla e che funziona da fonte di calore. Va da sé che quella stessa acqua, gelida e con l’aggiunta di cloro per evitare la formazione di alghe (sic!), va successivamente rigettata in mare. Che vedrebbe abbassata la propria temperatura di almeno cinque gradi. Con buona pace di barracuda, pesci palla, scorfani africani e alghe di “importazione” (naturalmente sempre e solamente tossiche).
“È paradossale sostenere – si legge nel sito Tecnosophia, associazione no-profit ‘per la promozione della Scienza, della Tecnologia e dell’Ecologia Razionale’ (non sapevo che esistesse anche una ecologia irrazionale…) — che il raffreddamento determinato dalle acque di scarico dei rigassificatori determinerebbe un preoccupante effetto negativo per gli ecosistemi marini”. Peccato che gi studi della Guardia costiera statunitense abbiano accertato i rischi cui vanno incontro flora e fauna oceanica proprio a causa dell’utilizzo di acqua marina per il funzionamento di quegli impianti. E le Stelle-a-strisce sui problemi ambientali non sono specchi di saggezza (si diceva di Kyoto, no?).
In Italia funziona solamente il rigassificatore di Panicaglia (dagli anni Settanta); ma esiste una decina di progetti, già approvati o in corso di valutazione, con ipotesi di installazioni da Brindisi a Livorno, da Ravenna a Grado; e, ancora, Taranto, Gioia Tauro, Porto Empedocle. Progetti firmati Eni, British Gas, Edison, Endesa e altre realtà ancora.
Molte obiezioni alla realizzazione di impianto off-shore o “semplici” terminal, cui dovrebbero attraccare gasiere della stazza di almeno 130.000 tonnellate, riguardano la sicurezza; e non sono fisime di ecologisti con troppi ideali e poche applicazioni pratiche. Un rigassificatore viene definito “impianto a rischio di incidenti rilevanti” ed è sottoposto alla direttiva Severo. L’ingegner Francesco Carpagnano di Barletta nel proprio sito ricorda come il comitato scientifico di Livorno abbia stabilito che se una di queste “bestie” dovesse esplodere svilupperebbe “un’energia pari a 50 ordigni atomici e distruggerebbe ogni cosa nel raggio di 55 chilometri”. La risposta “industriali” è sempre la stessa: le misure di sicurezza sono superiori in assoluto al rischio.
Ma il mare? Ancora una volta dimostro di avere orizzonti limitati. Scartiamo le esplosioni, perché Cernobyl è stato l’esempio della degradazione tecnologica dell’Est (sic per la seconda volta): data per accettata la dissoluzione della qualità dell’aria, tanto vale prendersela anche con il mare. Si è riscaldato, artificialmente ma progressivamente, nel corso dei decenni? In questi giorni infatti le masse d’acqua, in Adriatico, hanno temperature uniformi, mentre, in dicembre, dovrebbe partire l’inversione termica, che garantisce le correnti e lo sviluppo delle specie autoctone. Lo rileva Attilio Rinaldi, biologo marino, presidente del Centro ricerche marine di Cesenatico, ex responsabile dell’Icram (il centro ricerche sui mari istituito dal primo governo di centro sinistra e cancellato dal Berlusconi 2). E allora che fare? Via con acqua gelata e un po’ di seltz (in forma di cloro). Lo scopo è risparmiare nel rifornimento di fonti di energia. Con i rigassificatori il metano, oltre a darci una mano, costerebbe meno (a dire il vero il governo ha sospeso gli incentivi ai Comuni che accetteranno l’installazione degli impianti di rigassificazione). Per inciso il metano non è una fonte rinnovabile. Naturalmente pannelli solari o impianti eolici sono fantascienza. E così fra uno sbalzo termico e l’altro, senza recuperare sardine o triglie, si riusciranno a surgelare anche i pesci venuti dal sud.