di Valerio Evangelisti
[E’ uscito, presso la casa editrice Avverbi, il saggio di Daniele Barbieri e Riccardo Mancini Di futuri ce n’è tanti. Otto sentieri di buona fantascienza (pp. 168, € 12). Bellissimo un secondo sottotitolo: Istruzioni per uscire da un presente senza sogni. Quella che segue è la mia prefazione al volume.] (V.E.)
E’ splendido dovere scrivere la prefazione a una sorta di guida alla fantascienza. Un genere della letteratura (ma non solo: del cinema, della televisione, dei videogiochi, della pubblicità, ecc.) mille volte dato per morto. E mille volte risorto, a mo’ di Dracula nei film della Hammer.
Ma che la fantascienza letteraria sia in crisi non si può negare. Il fenomeno è presente ovunque. Urania, che vendeva 50.000 copie due decenni fa, oggi ne vende un decimo. Negli Stati Uniti, che non furono la patria del genere (europeo al 100%) ma sicuramente la culla della sua divulgazione popolare, le riviste più prestigiose o hanno cessato le pubblicazioni, o si sono trasferite su Internet. Quelle che resistono in forma cartacea, come la Isaac Asimov’s SF Magazine, vendono quanto Urania, però in un Paese ben più grande dell’Italia.
Del resto, di recente è morto Robert Sheckley in quasi completa miseria, privo delle cure che il costosissimo sistema sanitario americano non gli assicurava (malgrado varie collette a suo favore nel Vecchio Continente). Gli scrittori di fantascienza che ho conosciuto — e sono tanti, notissimi da noi — di sicuro non nuotano nell’oro, anche perché negli Stati Uniti sono pressoché dimenticati. Fanno eccezione solo quelli che hanno trovato fonti alternative di reddito, come Robert Silverberg (che con la firma Ron Hubbard ha scritto per Scientology molti tomi della serie apocrifa Battaglia per la galassia), Harlan Ellison (sceneggiatore televisivo molto richiesto, al pari di Richard Matheson), Dan Simmons (passato al romanzo storico e alla riscrittura in chiave fantasy delle opere omeriche), George R. R. Martin (transitato brillantemente al fantasy puro e semplice).
Invece chi è rimasto fedele all’invenzione fantascientifica fatica a campare. Specie i personaggi che seppero rivoluzionare la sf, come Norman Spinrad, che oggi vivacchia alla meglio a Parigi, o l’anziano e malato Samuel Delany. Chi non è morto è povero o poverissimo, e può contare solo sul magro sostegno proveniente dai Paesi dell’Est dove, come nell’Italia del secondo dopoguerra, la fantascienza è ancora vista come sinonimo di modernità. Drammatico il caso di Frank Belknap Long, autore non eccelso ma vecchio amico di H. P. Lovecraft (li separavano solo le idee politiche: Long era comunista, mentre Lovecraft passò dall’estrema destra alla socialdemocrazia solo nel suo ultimo anno di vita). Una decina di anni fa si spense, come Émile Zola, nell’appartamentino di due stanze che occupava a New York, ucciso dalle esalazioni di una stufetta.
Eppure tutti costoro “Once Were Warriors”: erano dei grandi. Gli sconvolgimenti che avrebbero portato nell’immaginario di popoli vicini e lontani non li sospettavano nemmeno. I capiscuola della fantascienza letteraria — non solo quelli citati, ma anche gli Isaac Asimov, i Robert Heinlein, i Van Vogt, i Pohl, i Simak della generazione precedente, e poi i Tenn, i Dick, i Leiber, gli Sturgeon, i Knight ecc. — stavano, dalle pagine di riviste a poco prezzo, sconvolgendo i sogni collettivi e, ancor di più, la percezione del presente.
Non inseguivano, come è divenuto abitudine oggigiorno, la fantascienza cinematografica. Il cinema si attardava su versioni puerili dell’invasione aliena, modellate sulla Guerra dei mondi di H. G. Wells. Gli scrittori si spingevano avanti di decine di migliaia di anni, descrivendo conflitti futuri (molto simili a quelli del loro presente) oppure ipotizzando società alternative ma perfettamente logiche, assolutamente diverse da quelle illogiche e favolistiche ipotizzate dalla fantasy, all’epoca minoritaria. Non a caso, nella SF si gettarono a capofitto autori marxisti come Mack Reynolds (prima di lui, un buon numero di comunisti come Nat Schachtner o il menzionato Long; in parallelo a lui, autori della sinistra radical come Philip K. Dick; posteriormente, libertari quali Ursula LeGuin, Michael Swanswick, James Morrow e decine d’altri).
Prendeva corpo una narrativa che trattava di sistemi, di economie globali, di società complete e conflittuali, di utopie in apparenza lontane ma ferreamente ancorate alla contemporaneità. Non me ne voglia chi giudica il noir (che personalmente adoro, in Hammett, in Manchette, in Izzo e in tanti altri) il “genere” per eccellenza. La fantascienza ha espresso molto di più. Al punto che a un certo momento si è fatta società. Si è come sciolta, ha aderito al reale e alle sue espressioni mediatiche, che aveva accuratamente previsto, anche nelle sue distorsioni.
E’ entrata in seria crisi, nella sua forma narrativa, solo quando qualcuno (qui personalizzo quello che in realtà è un trend socio-culturale di lungo periodo) bruscamente ha deciso che fosse proibito sognare secondo logica. Che non vi fossero alternative al presente, e che ogni proiezione razionalmente utopica portasse alla catastrofe. Finiti i sogni, finite le opzioni, finita la fantascienza. Esiste un reale unico e immodificabile, cui tutti si devono disciplinare. Ormai, nella narrativa fantascientifica, si tratta di scegliere tra Elizabeth Moon, pessima imitatrice di Heinlein, e l’australiano Greg Egan, autore di roba illeggibile, che può essere digerita solo da analfabeti molto intuitivi, visto che il suo valore letterario è nullo.
Invece questa guida di Barbieri e Mancini è un severo richiamo alla fantascienza autentica. Quella che mi fece sognare ma anche riflettere. Che diede forma alla mia personalità, ma non solo alla mia. Occorreva, al tempo delle utopie negate e del realismo piatto e opportunista, che qualcuno tornasse a esplorare i momenti in cui l’immaginazione si è spinta più lontano e ha descritto, in forme metaforiche o allegoriche, il mondo in cui viviamo. Non per adattarvisi, bensì per superarlo.
Preghiamo per la rinascita di un genere narrativo che fece dell’intelligenza la sua bandiera, e si piegò solo quando l’intelligenza fu bandita dall’ambito della società, della politica, dell’ideologia. Consola il pensare che alla Rivoluzione francese seguì sì Termidoro, e fu lunghissimo: l’epoca napoleonica ne fu un po’ la continuazione, e ciò che le seguì fu peggio. Ma nel 1830 le bandiere dell’utopia erano nuovamente sulle barricate.
Tornerà anche la fantascienza adulta, irridente e sovversiva. Per apprestare le armi future, nulla di meglio che riflettere sulle sue trascorse conquiste. Il ramo più vitale della narrativa di genere ha una caratteristica propria solo della grande letteratura: sa parlare a generazioni diverse e distanti. Con ciò prepara, sotterraneamente, l’inevitabile riscossa.