[Anteprima da Giap#5, VIIIa serie – 29 novembre 2006. Cliccando il simbolo che precede il link audio puoi ascoltare l’mp3 senza lasciare questa pagina di Carmilla. E’ il Playtagger di del.icio.us, informazioni qui. Se invece vuoi salvare il file sul tuo disco rigido: clicca col destro sul link testuale e scegli “salva come” (se usi un PC) o vai sul link testuale e fai ctrl + click (se hai un Mac).]
di Wu Ming
Clicca qui per ascoltare Hasta siempre nella versione di Jet Set Roger y los Perros de Saturno (mp3 128k, 3:50)
Quarant’anni fa.
Nella seconda metà del novembre 1966 Ernesto “Che” Guevara e i suoi compagni entravano nella macchia boliviana, dando avvio all’ultima, fatale campagna di guerriglia.
Meno di un anno dopo, la cattura, l’uccisione, il clamore e l’entrata nel mito.
“Tutto abbastanza bene;” scrive il Che sul suo diario boliviano, traendo il bilancio del primo mese. “il mio arrivo, senza inconvenienti; la metà del gruppo è giunta anch’essa senza inconvenienti anche se con un poco di ritardo; i collaboratori principali di Ricardo sono pronti a lottare contro ogni ostacolo. Le prospettive appaiono buone in questa regione sperduta dove tutto sembra indicare che potremo restare indisturbati fin tanto che lo riterremo conveniente.”
Negli ultimi anni si è scritto molto sul Che. Come ha affermato Sir George Martin a proposito dei libri sui Beatles, “bisognerebbe proibire per legge di aggiungerne altri alla lista”. L’auspicio era ironico, dato il contesto (l’introduzione al libro di Martin Summer of Love: the Making of Sgt. Pepper).
Si è scritto addirittura moltissimo sull’icona del Che, sulla sua commercializzazione e perdita di significato: è uno dei tòpoi del giornalismo di costume di tutto il mondo. Gli “esperti guevarologi” intervistati si dividono tra gli Apocalittici di sinistra (secondo i quali la tendenza è sempre e soltanto un male e una vittoria del capitalismo su uno dei suoi più acerrimi nemici d’antan), i Biliosi di ex-sinistra (“Avete visto? A cosa serve la vostra utopia nostalgica? Il mercato ha vinto, persino il vostro eroe è una merce, fate come noi, lasciatevi alle spalle queste cianfrusaglie ideologiche!”) e i Rosiconi di destra (“E’ una vergogna! Si è trasformato in icona culturale un terrorista comunista, co-fondatore di una dittatura!”).
L’ultimo rantolo – amplificato a livello mondiale l’anno scorso e di cui ancora si propaga l’eco – lo ha emesso Vargas Llosa Jr. (Alvarito, hijo de cotanto padre), illividito dall’eterno ritorno del “Nacédor” (colui che sempre nasce, nella definizione di Eduardo Galeano), dallo spostamento a sinistra di gran parte dell’America latina (che evidentemente se ne fotte dei saggi consigli di Vargas Llosa Sr.) e dal successo del film di Walter Salles I diari della motocicletta.
Ben poco spazio trova nei media chi, come l’argentino Néstor Kohan, rovescia la questione e scrive:
Il Che si diffonde attraverso la sua immagine. E partendo da qui domandiamo: perché i/le giovani di tutto il mondo non indossano una maglietta con la faccia di Bush o dei suoi miserabili torturatori in Iraq e a Guantanamo? Perché i/le giovani di tutto il mondo non mettono felpe e magliette con l’immagine di Ratzinger o di quelli che dirigono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale? Quale sarà il motivo? […] Crediamo che il Che sia divenuto un modello attraente e seducente per la gioventù che non ne può più del neoliberismo poiché [il Che] esprime proprio quello che né [Vargas Llosa] né Milton Friedman, né Von Hayek, né Karl Popper, né George W. Bush né nessuno di questi personaggi mediocri è riuscito a rappresentare: un altro modo di vivere. Anche se è ovvio che il mercato fa soldi col suo volto, è anche vero che quei milioni di giovani non si mettono felpe e magliette con un simbolo del dollaro o un’immagine dell’euro. [tratto dallo “Speciale Che Guevara” della rivista Latinoamerica, n.93, 4.2005]
Qualcosa di molto simile scrive Miguel Benasayag nel suo libro Il mio Ernesto Che Guevara (Centro studi Erickson, 2006).
Oggi, in ogni manifestazione o esperienza alternativa, che sia in uno squat, sulle terre occupate o in qualsiasi altro luogo, ritroviamo sempre e comunque il nostro Ernesto, il Che, il dottor Guevara Lynch. Per questa ragione non è possibile capire la potenza dei movimenti attuali e la loro specificità, se non guardando che cosa c’è dentro al “fenomeno Che” e analizzandone i possibili effetti. In filigrana si disegnano sempre quella barba, quello sguardo, quella seduzione irresistibile. E’ lui: lo si riconosce ogni volta, anche se non sono sempre gli stessi che lo fanno rivivere […] Si tratta di capire se in questo universo neoliberista, nel quale l’economicismo e lo scientismo proclamano a gran voce che “tutto è possibile”, dove si disconosce addirittura il senso del limite e della restrizione, la figura del Che non rappresenti una vera forma di resistenza che tenta di stabilire o di ristabilire le leggi fondamentali della nostra società, in difesa dell’uomo e della vita e contro il diffuso utilitarismo.
Noi siamo d’accordo con quest’impostazione. Penetrando sempre più a fondo nella cultura pop come fosse il sottobosco della Sierra, l’icona guevariana si trascina dietro riverberi, rimandi, significati, link pronti da cliccare. Se anche solo uno su cento di quelli che “consumano” la merce-Guevara si interroga sulla sua storia, sul suo percorso, e va a leggersi l’intervento alla Tricontinentale, e si infiamma per le parole scagliate contro l’imperialismo, e si commuove per l’esempio di altruismo e amore per la comunità, questo è senz’altro un bene. Parafrasando i nostri amici di guerrigliamarketing.it, affermiamo che, mentre non sempre il conflitto diventa merce, la merce può sempre diventare conflitto, si può sempre far leva sulla quantità di lavoro (e quindi di implicito conflitto) che la merce incorpora e porta con sé. Far leva sull’entrata del Che nella cultura pop, e vedere che effetti riusciamo a produrre.
Nel 2001 l’editore Fanucci pubblicava un romanzo di Wu Ming 5, Havana Glam, in cui si descriveva Cuba negli anni Settanta di un universo parallelo, un mondo in cui David Bowie è affascinato dal castrismo e dedica album di glam-rock a epiche imprese come l’assalto alla caserma Moncada o il fortunoso approdo del battello Granma che portava dal Messico il primo nucleo di guerriglieri.
Qualche anno fa, al termine di una presentazione a Brescia, qualcuno ci parlò di un artista che si faceva chiamare Jet Set Roger e si ispirava al medesimo immaginario glam che WM5 aveva infilato nel romanzo. La cosa ci intrigò, e spargemmo la voce affinché costui (il quale all’epoca non aveva un sito) si mettesse in contatto.
E’ trascorso molto tempo prima che la voce raggiungesse l’interessato, che pochi mesi fa ci ha scritto una mail dicendo che aveva letto il libro e gli sarebbe piaciuto collaborare con noi.
Gli abbiamo chiesto di registrare una canzone ispirata al crossover di Havana Glam. Dopo avere ribattezzato la sua band “Los Perros de Saturno”, Roger è entrato in studio e ha registrato una toccante versione Seventies-rock (appena screziata di latin) del più celebre pezzo di Carlos Puebla, una delle canzoni più eseguite nel mondo, Hasta siempre.
Nella sua postfazione al libro di Patrick Symmes Sulle orme del Che. Un viaggio in moto alla ricerca del giovane Guevara (Einaudi Stile Libero, 2002), Wu Ming 1 scriveva:
E’ necessario ripartire da La Higuera, dove – come ha scritto il poeta Enrique Lihn – il Che “ha stabilito post mortem il proprio quartier generale”, per scavare nel mito guevariano fino a toccare “il fondo di nuda roccia” che tuttora esiste sotto gli strati di retorica, langue du bois terzomondista e sovracodificazione simbolico-mercantile. Solo questo paziente lavoro ci consentirà di ri-aprire e re-investire il mito, giocandolo nella situazione presente, contro chi prepara la più grande e la più cruenta guerra tra poveri della storia, e al contempo di imparare dagli errori, di rimanere vigili e prevenire la sclerotizzazione e la perdita di senso dei miti che i movimenti vanno creando.
Una decostruzione e rifondazione del mito guevariano sarà possibile solo moltiplicando i punti di vista obliqui, inattesi ed eterodossi […]
Questo è il nostro obliquo, inatteso (tutti celebreranno il quarantennale della morte, pochi hanno tenuto in mente il quarantennale dell’inizio dell’avventura boliviana) e – senz’altro – eterodosso OMAGGIO.
Hasta siempre comandante.
L’immagine del Che con la lacrima di rimmel è stata realizzata da Gianni Rossi.
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