QUI il riassunto delle puntate precedenti.
Questo invece è un flash di aggiornamento: la quarta copia del libro di Gilberto Centi Luther Blissett. L’impossibilità di possedere la creatura una e multipla (Synergon, Bologna 1995) è stata venduta a €171.
La quinta è all’asta adesso, l’inserzione scade alle 11:45 di giovedì 02/11. Per contribuire o anche soltanto per dare un’occhiata, basta cliccare sulla copertina qui a destra.
Dalla vendita della quarta, quinta e sesta copia trarremo un
finanziamento per Supporto Legale.
Il 10% della nostra quota andrà a finanziare Carmilla.
Qui di seguito, l’ultimo saluto a Gilberto e il video di una sua performance…
[Roberto e Federico, per Gilberto, mercoledì 2 agosto 2000]
INVECE CHE COME QUALSIASI ALTRA COSA
“Ora sono stufo di scrivere sui poeti. Voglio però aggiungere che vivendo come poeti invece che come qualsiasi altra cosa, fanno del male a se stessi”
Charles Bukovski, The Captain is Out to Lunch
Domenica scorsa è morto Gilberto Centi, poeta, pubblicista, compagno, visionario, pensatore radicale, reduce degli anni psichedelici, autore del primissimo libro su Luther Blissett (Luther Blissett: l’impossibilità di possedere la creatura una e multipla, Synergon, Bologna 1995).
E’ morto all’ospedale dell’Aquila, mi dicono.
La frase di prammatica è: “stroncato da un male incurabile”.
L’aveva tenuto nascosto a tutti, o forse se n’era accorto tardi persino lui.
A dispetto della sua attitudine da eremita, a Bologna era molto conosciuto.
Scriveva per la rivista Zero in condotta, organizzava censimenti di poeti, era un finissimo recensore di libri.
Scriveva bene, Gilberto. Cazzo, se scriveva bene.
Da anni buttava giù appunti e raccoglieva materiali su Luther Blissett, su cui voleva scrivere il commento teorico definitivo. Alcune delle cose più intelligenti, profetiche, spiazzanti mai scritte su quel Progetto le ha scritte proprio lui, già nel lontano ’94.
Coabitava con un cagnolino in un angusto bugigattolo di via del Fossato.
Vestiva in modo goffo, in inverno portava una orribile giacca a vento. Non saprei nemmeno ricordarne il colore.
La sua era una parlata ebefrenica, inconfondibile. Si mangiava due parole su tre. Dovevi ascoltarlo coi sensi all’erta, ricostruire il discorso dai frammenti, navigare a vista usando come faro quel sorriso sdentato.
Non so che tipo di dialogo intrattenesse col proprio malandato organismo: di certo era un autolesionista. Poteva tirare avanti per mesi assumendo solo speed e coca cola, nel suo frigo c’era solo cibo per cani, oltre a bottiglie della suddetta bevanda peptica. Gli eccitanti gli servivano per scrivere. Scriveva forsennatamente, battendo sui tasti di una vecchia Olivetti, con una radiolina sempre accesa.
Scherzando, lo avevamo eletto segretario dell’associazione “Brutti per il comunismo”.
Più di un anno fa lo incontrai all’uscita dell’osteria “Mutenye” di via del Pratello. Gonfio e sbronzo, con la solita giacca a vento, la frangetta incollata alla fronte. Si complimentò per il primo romanzo, mi disse di stare attento perché quello editoriale è un mondo di lestofanti, cinque minuti di conversazione e se ne andò.
Per sempre.
Cinque minuti di antimateria, parlando con l’abisso, e non me ne resi conto.
Forse nemmeno lui.
Sono sicuro che l’autunno bolognese vedrà diverse iniziative dedicate a Gilberto. A me piacerebbe ricordarlo con un florilegio, a cominciare dal celebre apocrifo: “Diciamocelo: il 2000 ha già rotto i coglioni!” (presuntamente proferita nel 1974). (R.)
SENZA CONFINI ANAGRAFICI DI RICONOSCIMENTO
A ripensarci, dopo, ti accorgi di quanta vita hai condiviso con una persona. Anche se negli ultimi tempi ci si era persi di vista, probabilmente perché la salute lo stava mollando e si faceva vedere poco in giro, andava sempre più spesso a L’Aquila, adducendo scuse.
Discrezione. Fino alla fine. Una lezione di stile da chi esteticamente sembrava averne così poco.
Un fratellastro maggiore, trasandato e senza una lira, con quelle parole che sembravano sempre stentate, e in realtà erano soppesate, erano scelte con cura. Un’ossessione da poeta.
E un animo nobile. Sissignore. Come ne ho incontrati pochi. Era quel modo di prendersi a cuore le cose, di viverle con lo stomaco. Una volta gli telefonai per dirgli che l’ex-fidanzata di un nostro conoscente si era suicidata. Non aveva mai visto quella ragazza, prima di quel momento non sapeva nemmeno che esistesse. Eppure mi ritelefonò, poche ore dopo, ancora sconvolto: non riusciva a capacitarsi di come una ragazza di vent’anni avesse potuto ammazzarsi.
Io ricordo:
La presentazione del libro di un mio amico, alla Festa dell’Unità, dove Gilberto mi lasciò il microfono per farmi dire delle cose che avrebbero scontentato tutti: il pubblico e l’autore del libro. Era lui il moderatore, ma non gli importava.
Una notte a Radio Blissett, quando la sua voce registrata sulla base musicale mi fece venire i brividi e mi commosse, con quella formula lapidaria e disincantata: “Rabbia più… rabbia meno”.
Interminabili discussioni a qualsiasi ora del giorno e della notte, nel bugigattolo in cui viveva: una fornace, dove gli oggetti si incastravano millimetricamente e avevi la sensazione che se ne avessi spostato uno sarebbe crollato tutto.
Una lunga intervista che mi fece per telefono. Nessuno mi ha mai più fatto domande del genere.
Le sue Penultime Parole, nel libro che scrisse su Blissett:
“Arriveranno gli ultimi o i penultimi Antagonisti del nostro tempo e senza confini anagrafici di riconoscimento.
Stanno arrivando. Li riconosceremo da quanto fin qui abbiamo ricostruito o intuito.
Ma chi scrive non e’ tra quelli che aspettano-l’arrivo-dei-soccorsi.
Ci siamo, con altri minuscoli compiti.”
E il messaggio nella sua segreteria: “6-4-4-8-531, lascia un segno: non andrà perduto”. Adesso risponde una voce registrata della Telecom che dice che il numero è inesistente.
Aveva ragione. Niente va perduto, i segni rimangono. Soprattutto quelli lasciati da una persona che per oltre vent’anni ha vissuto tutto quello che questa città ci ha riservato. Nel bene e nel male.
No, niente va perduto. Quelli di noi che tra quarant’anni potranno ancora farlo, si ricorderanno di Gilberto, del suo naso enorme e di quello che ci ha aiutato a fare con i suoi “minuscoli compiti”.
Gilberto appartiene a una stagione delle nostre vite e a un’epoca che forse si è chiusa, perché si potesse dare inizio a qualcosa di diverso. Succede sempre nella storia. Ma ce lo ricorderemo, altroché. E francamente spero che lo faremo ridendo, in tempi interessanti. Quelli che ci ha aiutato a inaugurare. (F.)
“Una cosa sola era certa, perché inequivocabile: eravamo giovani.
Per il resto di noi risultava soltanto la pervicace proiezione mentale dei Vecchi Geometri del Tempo circa una condizione estranea che credendo di capire si ostinavano a spiegare. Poi dal fastidio passai al sorriso.
Ci ‘pedinavano’ annotando i nostri ‘segnali’ che diventavano dissertazioni sulle terze pagine e gli special televisivi. Ci definivano per possederci e nell’ovvia impossibilità della riuscita come defraudati, caparbiamente si avventuravano in zone intravviste solo dall’aereo. Cosi’ quando scendevano e si inoltravano in piazze, strade e vicoli perdevano l’orientamento, aggravando il loro stato confusionale, utilizzando le sole mappe in loro possesso: quelle ‘fuori corso’ del loro tempo.
Così mostravano a noi quel che non eravamo, irriconoscibili, con radi agganci alla realtà, complessivamente stravolta.
Talmente lontani non se ne accorgevano. Nella convinzione non dico d’averci sfiorato ma d’essersi calati in un’età dell’Oro e del Buio che non gli apparteneva.
Eravamo un colorito allarme avanzante, con suddivisioni manichee neanche tra buoni e cattivi.
Leggevano in aramaico quando noi scrivevamo in cirillico.”
(Gilberto, 1995)
LA VOCE E IL VOLTO DI GILBERTO
Live performance del 16 luglio 1997 allo Scandellara Rock Festival di Bologna con testi di Gilberto Centi, musiche degli X-Raymen (Giuseppe Guerra/basso Cesare Ferioli/batteria) e cut up video di Alessandro Cané e Cesare Ferioli
Tutti i video proposti/consigliati da WM sono visibili in un unico colpo d’occhio qui.