di Maria Agostinelli
TUTTI I LIBRI DI LORIANO MACCHIAVELLI
Qual è la tua idea del genere “giallo”? Quali credi che saranno i suoi futuri sviluppi?
Tendenzialmente il giallo è sempre stato un possibile motivo di squilibrio, un virus nel corpo sano della letteratura, autorizzato a parlare male della società nella quale si sviluppava. In Italia, ad esempio, il Partito Nazionale Fascista poneva ostacoli al diffondersi della letteratura gialla perché ne aveva intuito la pericolosità; la ricca borghesia italiana del dopoguerra confinava il genere nell’ombra facendolo passare come un gioco enigmistico privo di contenuti e stili perché ne aveva capito le potenzialità; la critica di sinistra meno attenta lo tollerava a malapena.
Poi le cose sono cambiate e il fatto che oggi il romanzo giallo non trovi più denigratori, ma ovunque ferventi ammiratori mi fa riflettere. Evidentemente quel motivo perturbante non c’è più e la letteratura gialla italiana non fa più paura perché, con ogni probabilità, non serve più a niente. La società che raccontiamo nei nostri romanzi si è vaccinata e fatalmente l’affermazione del giallo si presenta come una sconfitta del genere.
C’è comunque da dire che il successo del poliziesco italiano non è nato dall’oggi al domani: è frutto di paziente lavoro, di tentativi, d’incontri fra scrittori e scrittori, fra scrittori, critici e studiosi. Gli autori italiani hanno fatto una scelta di qualità che ha pagato e ha fatto sì che alcuni critici e accademici si schierassero dalla loro parte, fornendo il supporto culturale indispensabile, senza il quale il genere non avrebbe basi solide. Questi scrittori hanno fatto un così buon lavoro che anche autori famosi che in passato avevano storto il naso al solo colore giallo oggi si sporcano le mani.
Ma proprio da qui nascono le perplessità, perplessità che riguardano appunto il futuro del poliziesco italiano: dove sta andando? Sicuramente sta correndo grossi pericoli.
Editori grandi e piccoli fanno a gara per accaparrarsi nuovi autori e pubblicare romanzi gialli italiani. Si stampa di tutto. La televisione trasmette e ritrasmette senza sosta vecchia e nuova fiction di autori italiani. Gli scrittori non si prendono neppure il tempo per dormire e scrivono, scrivono, scrivono e intervengono su tutto. Insomma, più che associazione a delinquere, stiamo avviandoci a diventare un’agenzia di pettegolezzo in bilico fra letteratura e giornalismo spazzatura.
Ho sempre sostenuto che il genere, per sopravvivere, ha bisogno di giovani autori, e in questo senso ho fatto quanto potevo. Ma il genere ha bisogno anche e soprattutto di qualità, oggi più del passato, perché è oggi che si decide se siamo scrittori con del carattere o scrittori della domenica.
A quanto ho capito per te il giallo svolge essenzialmente una funzione sociale…
Non solo per me. Massimo Carlotto sostiene che il giallo rappresenta, radiografandola, la realtà sociale, politica ed economica che ci circonda, e per fortuna questa affermazione non viene più disconosciuta, neppure dai più accaniti detrattori del poliziesco italiano.
Da parte sua Patrick Raynal, direttore della Serie Noir di Gallimard, afferma che il nuovo poliziesco (che “fa da contraltare al noir classico e cela il germe del rinnovamento letterario europeo”) affonda le sue radici nel sociale. Raynal vede nel romanzo giallo, italiano ed europeo, una sorta di ponte tramite cui possono parlare gli emarginati, ovvero tutti coloro che, per forza o per scelta, passano la propria vita sfuggendo alle regole e all’istituzione.
Non sono un critico e personalmente non me la sento di tentare un’analisi del poliziesco, ma mi sento di affermare che oggi il giallo, e non solo italiano, per le sue caratteristiche di linguaggi, temi e ricerca sia una letteratura contemporanea, forse la più adatta a indagare la nostra società, a metterne a nudo i difetti e, ammesso che ce ne siano, i pregi.
Penso anche, però, che oggi le verità ufficiali non siano quelle che emergono dalle indagini, ma quelle che escono dalle televisioni e dai giornali. Purtroppo io ritengo che oggi il nostro impegno nel rappresentare la realtà sociale sia del tutto superato e inutile. Anche se, come ho detto prima, c’è stato un tempo in cui questa realtà, se pure filtrata attraverso il romanzo giallo, dava fastidio.
Sono quindi del parere che il genere, per non morire di asfissia e di monotonia, debba guardare avanti, modificarsi di continuo come di continuo si modifica la società nella quale è ambientato. Deve cercare nuove formule, a costo di essere ancora emarginato, perché allora vorrà dire che è tornato a contare.
Qual è l’importanza dei vizi e delle abitudini nella delineazione del personaggio di un detective?
Io credo che un personaggio letterario (ma anche cinematografico o televisivo) sia credibile se assomiglia un po’ alla gente che vive attorno ai lettori (o agli spettatori). Se si porta dietro i pregi, i difetti, le virtù e i vizi che tutti abbiamo. Tanti che siano i vizi e poche le virtù.
Il lettore (lo spettatore) si affeziona o a un personaggio nel quale si possa riconoscere, o al personaggio che vorrebbe essere. Magari un eroe. O un delinquente perfetto. E poiché io non ho la tempra né dell’eroe né del delinquente, sono cioè un uomo qualsiasi, il mio personaggio che ha avuto più successo, Sarti Antonio, sergente, è pieno di difetti e di vizi. Ha anche una piccola virtù, che dovrebbe essere comune agli uomini ma che scarseggia sempre di più e che sta per essere iscritta, dalla morale comune, nell’elenco dei difetti più gravi: l’onestà.
Alcuni detective sono strettamente legati all’ambiente in cui agiscono. Qual è l’importanza del particolare contesto urbano o regionale nella strutturazione della storia?
Le risposte che sto dando hanno valore solo per il sottoscritto. In particolare questa che riguarda l’ambiente. Infatti io non potrei collocare le mie storie in un altrove. Una delle caratteristiche del romanzo giallo è di avere radici in un ambiente ben definito. Che ne so io di Los Angeles? Di New York? O di Roma?
Ricordo la lettera di risposta di un editore a una mia richiesta di stampa. Più o meno mi scriveva che era impensabile ambientare una storia di mistero a Bologna, come facevo io, perché notoriamente Bologna era una città godereccia, grassa e colta dove il delitto e il mistero non erano di casa.
Sbagliava lui, naturalmente, perché Bologna è una delle città più delittuose che io conosca e dove il mistero si respira nell’aria. Ma bisogna capirlo quell’editore. Erano altri tempi: la Uno bianca, la strage alla stazione, i così detti delitti del DAMS, e molte altre storie efferate, non erano ancora arrivate a scuotere il grasso e la cultura della mia città.
Molti detective contemporanei arrivano alla soluzione del delitto quasi per caso, apparentemente senza un reale utilizzo della propria razionalità. Cosa ne pensi?
Ogni scrittore può scegliere il modo che preferisce per risolvere i suoi problemi. Di certo c’è però una cosa: il romanzo giallo è basato sulla razionalità. È, dovrebbe essere, il trionfo della ragione. Non è un caso che il romanzo poliziesco sia nato dall’illuminismo, sbagliato o giusto che sia. Perché io comincio ad avere seri dubbi anche sulla ragione che ci circonda.
Un giallista da tempi non sospetti, Loriano Macchiavelli, classe 1934, bolognese doc. Dopo aver frequentato l’ambiente teatrale come attore, organizzatore e autore, dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco, divendendo uno degli autori italiani più conosciuti, letti e tradotti, soprattutto grazie all’indimenticabile personaggio della sua serie principale: il sergente Antonio Sarti della Questura di Bologna, che ha dato vita anche all’omonimo fumetto su Orient Express. Macchiavelli ha pubblicato per Garzanti, Rizzoli, Mondadori, Rusconi, Cappelli e numerosi altri editori. Con altri nove giallisti di Bologna ha fondato il GRUPPO 13; è membro del direttivo dell’ASSOCIAZIONE SCRITTORI di BOLOGNA e iscritto all’AIEP, Associazione Italiana degli Scrittori di Poliziesco.
[Fonte: RaiLibro]