FORBIDDEN SIREN
di Danilo Arona
Occorre visitarli, i luoghi del delitto. Soprattutto se il delitto in oggetto ha soltanto e sempre compartecipato dell’astratta dimensione della metafora, pur esistendo realmente sulla carta geografica. Così, senza più indugiare, alcuni giorni fa mi sono preso un giorno di vacanza, sono salito in macchina e mi sono diretto verso Piacenza per immettermi da qui sulla A1 in direzione Bologna. Prima del capoluogo mi sono infilato sullo svincolo della A13 verso Padova, con l’intento di raggiungere prima di sera il km. 98.
Ve lo ricordate il km. 98 della A13? Dovreste, ma vi rinfresco in ogni caso la memoria. E’ qui che si è materiata la leggenda di Melissa, investita da chissà chi nelle prime ore del 29 dicembre ’99. Brandello di verità o purissima immaginazione, tutto è iniziato qui. Dove vorrei arrivare prima che scenda la notte.
Purtroppo non ci riesco. Sono partito un po’ troppo tardi, ho perso tempo in due o tre autogrill e sono uno che non corre proprio in macchina. Per di più, poco prima di Padova, il tempo si è messo al peggio. Fulmini, tuoni e scroscii improvvisi di pioggia che cade con violenza. Così che, quando arrivo a destinazione, è ormai buio. Di quel buio e di quel tempo che videro gli occhi di Melissa prima di essere travolta.
Se non altro ecco una scoperta che, date le circostanze climatiche, mi sembra proprio opportuna: al km. 98 della Bologna-Padova vedo una bella stazione di servizio dell’AGIP che si chiama San Pelagio Est. Pompe di benzina, ristorante, caffé, minishop e non troppe macchine posteggiate all’esterno. Va benissimo: un bel caffé doppio, un croissant e poi filo a casa.
Posteggio vicino all’ingresso, esco e perdo tempo nel chiudere la macchina, bagnandomi il giusto. Quando entro nel bar, grondo acqua da ogni fessura. Non vedo coda alla cassa. Mi avvicino e, mentre cerco delle monete in tasca, mi cade lo sguardo sul manifestino che qualcuno ha attaccato sotto il ricevitore di cassa con il nastro adesivo.
AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA?
Sotto la fotografia in mezzo busto di una biondina pallida che guarda in tutt’altra direzione. Sotto il nome e il cognome – non c’entra nulla con Melissa, questa si chiama Albina -, l’età, la zona della scomparsa (è sparita da queste parti…) e dei numeri di telefono ai quali rivolgersi. Credo che la sto guardando quanto mai intensamente dato che il cassiere mi chiede:
“La conosce?”
Forse gli sembrerò suonato. E’ come se mi svegliassi da un leggero sonno ipnotico, ma inutile negarlo: quest’analogia quasi junghiana mi ha colpito. Al km. 98 della Bologna-Padova, a San Pelagio, cercano una ragazza scomparsa. Bionda, per di più.
“No, di certo”, rispondo. E aggiungo, con l’intenzione di apparirgli apposta un po’ pirla: “Ma è vero che qui ne spariscono tante?”
“Non che io sappia”, risponde lui. “Qua davanti però accadono da qualche anno succedono sempre dei brutti incidenti. Dicono che sia per colpa di quella tipa investita da un camionista che è scappato…”
“Cioè?”
“Cioé un po’ di tempo fa c’era questa donna qua davanti che tentava di farsi dare un passaggio. Era una serata tipo questa… Prende un caffé?”
“Sì, con un croissant alla crema.”
Il cassiere batte la cifra. Io gli porgo le monete.
“La sua automobile si era guastata e lei cercava di fermare qualcuno per farsi portare a un casello o a un’officina. Al mattino l’hanno trovata dentro a un fosso vicino al guard-rail. Hanno sempre dato la colpa a un camion.”
“E da quella volta ci sono incidenti strani…”
Il cassiere si sposta verso la macchina del caffé. A quest’ora e con questo tempo fa tutto lui. Mi porge il croissant con le pinzette.
“Sa, gli incidenti in autostrada sono tutti strani. Basta distrarsi per un secondo ed ecco che uno ti fa delle cazzate che non si riescono neppure a raccontare.”
“E la ragazzina del manifesto?”
“Non lo so. La gente sparisce, la gente muore in autostrada. E’ la vita.”
Il caffé scende. Il cassiere-barista non nasconde la voglia di chiudere le trasmissioni. Stanno entrando altri clienti. Sembrano camionisti, hanno proprio quell’aria lì. Il tipo al di là del banco vola in cassa: da lui non scucirò più nulla.
Addento il croissant, poi ci lascio andare al seguito una bella golata di caffé amaro. Nulla di meglio in una serata da lupi come questa, con il giubbotto marcio di umidità. Forse mi sono ammattito: lontano centinaia di chilometri da casa, a cenare con caffé e brioche, per visitare un posto che vive solo nella mia mente. Ma va bene così: si è trattato di un impulso irrazionale, per nulla meditato. Puro istinto, a volte ci si cava qualcosa.
“Quella della foto non si chiama Albina.”
E’ uno dei camionisti, ma non sta parlando con me. Ovviamente. Si rivolge al suo compagno, ma si è piazzato con le braccia sul banco a un metro circa dalla mia postazione. E fa parte di quella categoria di persone che, quando tentano di parlare sottovoce, attirano ancor di più l’attenzione.
Il suo compagno bofonchia, ma proprio non lo capisco. E lui rimanda:
“E’ lei che mi si è attaccata al deflettore il mese scorso, tutta rossa, coperta di sangue. Ho chiamato Anaconda al baracchino e lui mi ha risposto che tutti la conoscono in questa zona.”
Grugnito alla sua sinistra. E lui che risponde:
“Proprio così, altro che Albina.”
Poi silenzio. Buttano giù i caffé con sguardo rabbuiato e se ne vanno, senza più grugnire né parlare.
Ed ecco che arriva un altro impulso irrazionale. Afferro un tovagliolino sul banco e tiro fuori una biro dal taschino del giaccone. E trascrivo i due numeri (uno fisso, l’altro di cellulare) del manifestino con la foto della ragazza scomparsa con l’intenzione di chiamarli appena risalgo in macchina.
Saluto, esco. Sopra Padova e dintorni, a quanto pare, si sta scatenando il diluvio universale. Mi butto in macchina, accendo la ventola del riscaldamento per asciugarmi un po’ e cerco il mio Nokia. Compongo il primo numero, quello fisso. Suona a vuoto e lo lascio squillare almeno una dozzina di volte. Formulo il secondo. Qualcuno risponde subito: maschio, non giovanissimo. Dice solo: “Pronto?”
“Salve, mi scusi, sono in autostrada vicino a Padova. Ho visto il manifesto di Albina in un autogrill.”
“Sì? L’ha vista?”
“Io no. Ma dentro ho sentito dei camionisti che ne parlavano. L’hanno proprio riconosciuta.”
“Dove? Dove esattamente?”
“Qui si chiama San Pelagio. Al km. 98.”
“Sicuro, è proprio lì che spariscono… quando non muoiono.”
“Ma che dice?”
“Lì lo sanno tutti. Lei come si chiama?”
Gli rilascio un nome fittizio. Avverto qualcosa di stonato nel mio interlocutore. Quindi:
“E lei?”
“Io cosa?”
“Lei come si chiama?”
“Francesco.”
“Francesco…”
Una luce mi si accende nell’oscurità del preconscio. Una lampadina che vorrebbe eliminare quel buco nero, talmente evidente da non apparire tale, lasciato dal sito http://Melissa1999, al cui interno qualcuno aveva raccontato dell’investimento fatale subito da Melissa e di altre tre apparizioni in simultanea in altrettanti punti differenti del reticolato autostradale d’Italia. Qualcuno… Il webmaster del sito si chiamava Francesco.
“E allora?”
La butto lì. Bluff da giocatore di poker. Tanto non ho nulla da perderci.
“Tu sei il webmaster.”
Silenzio. E affondo:
“Stai ancora sperimentando, vero? Chi è la ragazza della foto?”
Silenzio. Se volevo una conferma del mio sospetto, nulla di meglio: il tipo ha staccato la comunicazione.
Tento di riprendere fiato e di calmarmi, incerto se richiamarlo (quasi impossibile che risponda) o se lasciar perdere, andandomene in fretta da quella conca in procinto di essere alluvionata, quando un rumore imperioso al finestrino dell’auto – nocche illividite di una piccola mano – mi fa saltare sul sedile, rubandomi qualche anno di vita.
Bestemmio qualcosa, quindi schiaccio l’aprivetri. C’è una donna, mora, sulla trentina, gravida d’acqua come una Sirena appena uscita dall’oceano, non bella e di sicuro in difficoltà.
“Signore, mi potrebbe dare un passaggio al casello? La mia macchina si è fermata qua davanti e non parte più.”
Il casello si trova a pochissimi chilometri. Anche se si trattasse di un fantasma, che potrebbe farmi? Ma non è un fantasma: è solida e inzuppata di pioggia. Forse è soltanto vittima dell’ennesima maledizione a forma di spirale.
“Prego, ci mancherebbe.”
Le apro la portiera dall’altra parte. Lei sale. Convenevoli di circostanza. E abbandono San Pelagio. Come prima, e al momento unica, visita, ne ho a sufficienza.
Dopo pochi minuti lascio la donna al casello di Padova Est. Lei nel frattempo ha telefonato al marito che verrà a prenderla. La saluto con una stretta di mano. La tipa è calda, viva.
Io m’infilo sulla A4, in direzione Milano.