di Riccardo Valla
5. La regressione in agguato
Come si diceva nella prima parte di questo articolo (vedi qui), Wells seguiva le idee evoluzionistiche di uno dei principali sostenitori di Darwin, che era stato anche suo insegnante, Thomas Huxley. Una delle ragioni per cui l’evoluzionismo destò tante polemiche nell’epoca vittoriana è forse da ricondurre anche alla natura religiosa del concetto.
L’idea di evoluzione non è infatti originale della scienza ma viene dalla religione e in particolare dagli aspetti gnostici contenuti nella dottrina cristiana quando essa sostiene che la materia, il mondo, è inferiore allo spirito — per l’anima incarnata si parla di “caduta nella materia” — ed è un gravame da cui liberarsi. Seguendo la propria componente spirituale e non prestando ascolto ai richiami del mondo ci si evolve e ci si avvicina a Dio.
L’evoluzionismo darwiniano prevedeva però anche la regressione — o involuzione o de-evoluzione — e la mentalità positivistica dell’epoca finiva per porre l’identità tra peccato, reato e involuzione, come si vede da un termine che ancor oggi si applica a chi trasgredisce qualche legge: si dice che è un “degenerato”. Così nel ladro si vedeva una regressione a un’epoca in cui non esisteva ancora la proprietà privata, nel bigamo una regressione a un’epoca in cui non esisteva il vincolo del matrimonio e così via. Naturalmente non si aveva alcuna prova che fossero mai esistite epoche di quel genere, ma nessuno dubitava della loro esistenza; indicativamente si può ricordare che anche Freud le dava per certe.
Il pericolo della regressione (e dunque della trasgressione-peccato-condana divina) era apparso evidente allo stesso Darwin quando aveva incontrato alcuni indigeni della Terra del Fuoco sottoposti a un programma di “civilizzazione”. Nei suoi viaggi geografici, Darwin aveva fatto la conoscenza di quegli indigeni, subito giudicati come gli uomini più arretrati esistenti al mondo, dato che abitavano in grotte, non praticavano l’agricoltura e si coprivano con il fango lasciato seccare.
La spedizione di Darwin ne aveva portati alcuni a Londra perché imparassero la civiltà e poi tornassero a insegnarla ai compagni. Uno di loro, chiamato Johnny Bottone per la sua predilezione per i bottoni lucidi delle divise, si era dimostrato un allievo perfetto ed era diventato quasi un gentleman.
Nel viaggio successivo la nave Beagle li aveva riportati nella loro terra e aveva proseguito la rotta. Sei mesi dopo, durante il viaggio di ritorno, Darwin era passato a controllare i progressi del nuovo insediamento e con raccapriccio aveva scoperto che tutti i suoi beniamini — compreso il tanto promettente Johnny Bottone — erano ritornati a vivere nelle grotte e a vestirsi di fango. La delusione era stata cocente ed era parsa un’ulteriore dimostrazione di come la regressione fosse sempre in agguato. (Si veda Richard Keynes, Fossili, fringuelli e fuegini. Le avventure e le scoperte di Charles Darwin).
6. Cannibalismo ad effetto
Forse è da esaminare entro questa idea di regressione anche un particolare de La macchina del tempo che non sembra molto plausibile, ossia il fatto che i Morlock divorino gli Eloi. Gli Eloi non producono, ma vivono nel lusso, mantenuti dal lavoro dei Morlock, che li allevano come animali da carne. Ora, esistono modi meno faticosi per procurarsi le proteine e possiamo supporre che anche l’autore se ne rendesse conto e che dunque quella di Wells non fosse una vera e propria profezia, ma mirasse unicamente a colpire il lettore con immagini di cannibalismo (a “ottenere il suo marcio effettaccio”). Colpire per il suo contenuto macabro, certo, ma anche perché è una regressione a una (ipotetica) epoca di antropofagia.
La regressione è dunque la caratteristica del futuro descritto da Wells nel romanzo: l’Inghilterra regredisce a un’epoca pre-umana di selve (non di pascoli), i Morlock ritornano all’epoca dell’orda cannibalica e gli Eloi sono fermi all’infanzia, sottolineata anche dalla loro bassa statura. E nei millenni seguenti la stessa Terra regredirà a un’epoca in cui esistevano solo le forme di vita “inferiori”. Ma qual è il motivo che porta l’autore a mostrare questa regressione? Ricordo che, non molti anni prima, Wells prevedeva un’evoluzione dell’uomo verso cervelli sempre più grossi e intelligenze sempre più grandi.
Ad allarmare Wells e a farlo dubitare del progresso potrebbe essere stata una presa di coscienza dei problemi sociali, che ne La macchina del tempo sono raffigurati con l’opposizione Eloi-Morlock, discendenti rispettivamente delle classi aristocratiche e dei lavoratori: in termini da marxismo popolare si potrebbe dire che, con una sorta di nemesi storica se non di dialettica della storia, le classi oppresse sfruttano adesso i loro antichi padroni, e, considerata la natura parassitaria della classe capitalista, lo fanno nel solo modo possibile: ossia se li mangiano.
7. Dall’utopia morrisiana a quella fabiana
In realtà, come si accennava nella prima metà di questo articolo, Wells non era né marxista né comunista: si dice che dopo averlo incontrato nel 1920, Lenin abbia commentato: “Un idiota” ed è noto come Orwell deridesse le sue idee. Comprimere dunque entro un’immagine marxista il futuro de La macchina del tempo è alquanto riduttivo. Il futuro di Wells è molto più complesso e legato alle dottrine politiche dell’epoca. Lo fa notare Leon Stover nell’edizione critica del romanzo (1996), su cui mi baso per queste osservazioni e cui rimando per gli approfondimenti e la bibliografia.
Nota Stover che il Viaggiatore arriva solo per gradi alla verità e che inizialmente rimane affascinato dalla società perfetta che gli si presenta: una società priva di tutte le brutture dell’Inghilterra industriale, dove gli alberi hanno sostituito le ciminiere e gli abitanti vivono in una comunità senza classi. Questo non è un ritratto composto con elementi casuali, ma fa riferimento a una ben definita utopia, ossia quella di William Morris, nemico della civiltà industriale.
Ma l’impossibilità economica dell’utopia morrisiana era chiara a Wells, che infatti presto s’interroga sui “modi di produzione” di quel mondo e giunge alla rivelazione della separazione tra le due popolazioni umane. A questo punto l’utopia diventa una antiutopia, un sistema bloccato e immobile.
Per conoscere il giudizio di Wells su questa società occorre fare riferimento a uno degli elementi più importanti del libro, ossia il fatto che gran parte degli avvenimenti si svolga sotto la Sfinge. Questo monumento potrebbe sembrare una semplice notazione architettonica, come i richiami alle architetture orientali che incontriamo in altri punti del libro, ma Stover fa notare come in epoca vittoriana la Sfinge avesse un riferimento ben preciso, ossia un saggio di Thomas Carlyle intitolato La Sfinge. Il saggio era notissimo e diceva: “Qual è oggi per l’Inghilterra la domanda della Sfinge, la domanda da cui dipende la sua vita o la sua morte? È la richiesta di giustizia, da cui dipenderà la sopravvivenza dell’Inghilterra”.
Nel romanzo, la Sfinge e la sua richiesta di giustizia sociale sembrano legate ai Morlock: gli antenati degli Eloi non hanno saputo trovare la risposta all’interrogativo della Sfinge, i Morlock hanno ereditato i resti e la società si è fermata. Una società ingiusta non progredisce.
Questa però non costituisce per Stover l’intera posizione politica di Wells, che oltre ad avere ben chiara la domanda della Sfinge ne aveva anche chiara la risposta (Wells non è mai stato sfiorato da dubbi, in tutta la sua vita… neanche quando cambiava idea!) Per trovare però il vero pensiero dell’autore occorre fare riferimento ad altri scritti di Wells in cui ricompaiono alcuni temi ideologici della Macchina del tempo.
La visione di Wells è molto meno socialista di quanto parrebbe nel romanzo, è anzi pienamente meritocratica. Infatti comprende quattro categorie sociali e non soltanto le due simboleggiate da Eloi e Morlock, perché per lui ogni classe, i lavoratori e gli aristocratici, era divisa in altre due categorie, i “buoni” e i “cattivi”:
aristocratici “buoni”: i “padroni” illuminati che fanno fruttare i loro beni creando nuove attività che portano benessere alla nazione; nella visione di Wells sono essi il motore de progresso. Al limite questa aristocrazia del lavoro sconfina con quella della scienza per portare a una tecnocrazia; si veda per esempio il film tratto da un soggetto di Wells, “Things to Come” (Nel 2000 guerra o pace) in cui la tecnocrazia porta nel mondo un’età di pace, progresso, benessere, grandi conquiste scientifiche;
aristocratici “cattivi”: i ricchi oziosi che non lavorano ma vivono di rendita; non hanno voluto ascoltare i suggerimenti di Wells e di coloro che la pensavano come lui e non si sono fatti da parte lasciando il posto agli aristocratici “buoni”, ma li hanno soffocati esigendo sempre maggiori rendite parassitarie pagate del sistema nazione (diremmo noi); in questo modo non hanno risposto alla domanda della Sfinge e ora i loro discendenti sono gli inetti Eloi;
lavoratori “buoni”: i lavoratori che cercano la promozione sociale grazie al merito, al lavoro, all’intraprendenza, che collaborano e sono disposti a qualche sacrificio per il bene della nazione;
lavoratori “cattivi”: i lavoratori che con le loro rivendicazioni insostenibili impediscono ai datori di lavoro di sviluppare la loro attività ingrandendola a beneficio della nazione; in particolare i socialisti, i comunisti e gli anarchici temuti dai benestanti vittoriani: organizzando scioperi impoveriscono l’intera nazione. I Morlock sono i discendenti di questi, che con la serie infinita delle loro rivendicazioni hanno distrutto la civiltà e ora predano sugli ultimi discendenti degli ex aristocratici.
Di conseguenza, Eloi e Morlock sarebbero da vedere come un’allegoria molto meno vaga di quello che sembra a noi oggi. Sul legame — evidente per i vittoriani — tra la Sfinge di Carlyle e quella di Wells, Stover cita la critica dell’epoca che si riferiva a Wells come “un nuovo Carlyle”. L’allegoria dei Morlock e degli Eloi è dunque buona, un po’ meno le motivazioni con cui Wells la ha introdotta!