Il libro che mi accingo a recensire non è né bello né fondamentale: è significativo e per questo andrebbe letto. Esso sussume, in maniera molto più rigorosa, la valenza politica che ha assunto, in the long running, Il Codice Da Vinci di Dan Brown che, non appartenendo alla letteratura, sferra un attacco all’Opus Dei che nessun romanzo è stato in grado di portare, a dimostrazione che il bestselling – o il genere – mantiene possibilità etiche che i detrattori della letteratura da mercato non intercettano. Nel caso di Rocha e del suo La morte del Papa, se stiamo alle dichiarazioni dell’autore, la fiction ce l’ha messa lui, ma i documenti e le verità (criptati all’interno della gabbia romanzesca) ce li ha messi l’agente segreto che ha materialmente ucciso Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I, a 33 giorni dall’elezione al non tanto ambìto (da lui) soglio pontificio.
Una bufala? Non del tutto, perché Rocha è troppo preciso. Il disvelamento finale del mistero Luciani? No: perché in tal caso doveva scrivere un saggio e presentare i documenti.
Non mi occuperò della componente fiction: è impressionantemente simile a quella del Codice, e quindi è piacevolmente leggibile, anche perché, mentre Dan Brown non ha la minima idea di che cosa sia la lingua letteraria, Rocha sfodera un registro da narratore onnipotente e ironico (a volte cinicamente sarcastico) che sorprende quando enuncia apodissi o si impegna in affondi universali.
Detto quindi che qualitativamente il romanzo è molto migliore di quella stronzata del Codice, che è illeggibile ma professionalmente ben calcolata per le attitudini all’attenzione dei buoi da recinto industriale, bisogna affrontare una duplice questione.
Il primo corno del problema è Albino Luciani. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sulla morte improvvisa e le sospette attività che seguirono troppo ravvicinate il momento del ritrovamento del corpo, peraltro fissato a un orario falso e postposto rispetto all’effettivo reperimento del cadavere. Il camerlengo Villot, iscritto alla P2, che dà il permesso immediato di imbalsamare il corpo evitando un’autopsia che, comunque, non si sarebbe mai e poi mai eseguita sulle spoglie di un Pontefice; i funerali che apparvero preorganizzati; e via dicendo…): tutta materia che ha alimentato teorie della cospirazione, vòlte a dimostrare che non si volle lasciare agire Luciani nella sua supposta opera di riforma progressiva e progressista della Chiesa (ma Luciani era un conservatore; non alla Siri, suo antagonista in Conclave, ma comunque un tradizionalista…): a stare ai documenti che si appalesano ne La morte del Papa, sì alle coppie omosessuali, sì alla contraccezione, pulizia nelle gerarchie e, soprattutto, via Marcinkus dallo IOR. Uscendo da un periodo devastante, che fu quello in cui regnò il fantasma prigioniero di Moro, l’Italia si trovava sull’orlo del colpo di Stato. Ma non è tanto questo a condizionare l’ovvia (da un punto di vista storico) soluzione finale comminata al Papa, quanto un interesse superiore a entrare in gioco per sollevare attenzione su questo libro. L’interesse superiore è direttamente la Madonna: e precisamente il Terzo Segreto di Fatima, quello che fu rivelato, tra la delusione generale, dal successore di Luciani, Giovanni Paolo II. In pochi credettero che il messaggio letto da Karol Wojtyla fosse rivelato nella sua forma integrale, ma nessuno dubitò che “il vescovo di Roma vestito di bianco che cade a terra colpito” fosse proprio lui: ci fu un attentato a provare che la portoghese Suor Lucia ci aveva azzeccato. Luís Miguel Rocha , che ha scritto questo libro su ordinazione di un anonimo agente segreto, il quale gli ha messo a disposizione pagine del diario personale di Albino Luciani (mai ritrovato) e una lista della P2 sensibilmente alternativa a quella divulgata nell’81 e che Giovanni Paolo I aveva in mano al momento dell’omicidio, ci rivela, a partire proprio dagli appunti dello stesso Luciani che il segreto di Fatima in questione riguardava non il suo successore, ma lui stesso. Va detto che tutto potrebbe essere mistificatorio, se l’occhio attento di chi da anni si occupa di intelligence non cogliesse alcuni messaggi in codice che si occultano nel testo: e, garantisco, ci sono. Non si tratta dell’apparizione di un ambiguo emissario del Vaticano che fa il gioco della sopravvissuta P2 e che di nome fa Sua Eminenza Francesco Cossega. Sono proprio cifrature di cui si renderanno conto in duecento, in Italia. Tra cui, sicuramente, qualche magistrato: e, se io fossi in quel magistrato, non esiterei a convocare Rocha per vedere le carte, al limite tramite ingiunzione.
Perché qui c’è lo snodo fondamentale della storia d’Italia. E’ un momento di svolta (uno dei tanti tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta) per le vicende del nostro Paese, tanto che Rocha, il quale è portoghese, è costretto a imbastire una sorta di Italian Tabloid, appena accennato, ma che sorprende vedere scritto da uno di Lisbona e non da uno, che so?, di Milano o Roma o Firenze o Palermo. Ciò testimonia: da un lato la riottosità ad affrontare narrativamente (ma facendolo sul serio a livelli dell’autentica letteratura) la storia dell’Italia, poiché non si crede fino in fondo alla capacità dell’immaginario di elaborare lutti, traumi e ferite (le eccezioni ci sono, in questo caso va nominato proprio il De Cataldo di Romanzo Criminale); dall’altro lato si assiste a uno slittamento del genere nero verso un genere storico che altro non è che un travestimento di un saggio di Flamigni, il che è significativo (e chi ha orecchie per ascoltare ascolti) di un fatto: siamo in presenza del fattore K della narrativa a venire, con un profluvio di testi neri che saranno testi storici. Il genere storico è messo a repentaglio da un’imminente esplosione simile a quella che ha fatto deflagrare il noir, il cui fall out causa conati di vomito (la perdita di capelli, per ora, no).
E’ come se la narrativa stesse risalendo indietro, verso l’Ottocento, quando lo stampo rivoluzionario e avanguardistico del romanzo storico forgiò gli esordi massivi dell’ambigua e non bene identificabile “tradizione del romanzo” (essendo un genere che si adatta a molte forme, il romanzo non ha davvero una tradizione, come ripeteva Coetzee in un’intervista a Le Monde che, probabilmente, apparirà prossimamente su Carmilla).
Una fortunatamente diversa verità che riguarda il romanzo storico è che qui in Italia (potremmo dire: qui in Carmilla) disponiamo di scrittori che sono già due passi avanti: conducono il genere storico verso l’espansione fantastica. Quando la letteratura in prosa sarà totalmente fantastica (nel senso in cui 2001: Odissea nello spazio di Kubrick è il fantastico), la svolta sarà compiuta e non dovremo più assistere a penosi tentativi di revisionismo, anche positivo, della narrativa stessa e della storia – si sarà passati su un livello universale e tragico e comico, come da tradizione dei nove decimi della letteratura planetaria e il Novecento si sarà definitivamente chiuso.
Luís Miguel Rocha – La morte del Papa – cavallo di ferro – 18.50 euro