di Gilles Deleuze * (1966)
La Série Noire festeggia un importante evento: il suo numero 1000. C’è una coerenza, un’idea di questa collana che deve tutto al suo direttore. La letteratura è come la coscienza: è sempre in ritardo. Sulla polizia, il crimine e i loro rapporti tutti quanti sappiamo alcune cose, non foss’altro che per la lettura delle notizie sui quotidiani, o per la conoscenza dei memoriali specialistici. Ma queste cose non avevano trovato la loro espressione letteraria corrente, non erano passati allo stato di luoghi comuni della letteratura. È stato Marcel Duhamel [creatore della collana Série Noire nel 1945, e direttore della collana sino al 1977] a colmare questo ritardo, in un’epoca particolarmente favorevole.
[A sinistra: Marcel Duhamel] Malraux aveva detto l’essenziale nella sua prefazione alla traduzione di Santuario: «Faulkner sa molto bene che gli investigatori non esistono, che la polizia non dipende né dalla psicologia né dalla perspicacia, ma dalla delazione; e che non sono Moustache o Tapinois, modesti pensatori di Quai des Orfèvres, a catturare gli assassini in fuga, quanto piuttosto la polizia ordinaria…». La Série Noire fu principalmente un adattamento per il grande pubblico di Santuario (lo testimonia Niente orchidee di Chase) e una generalizzazione della prefazione di Malraux.
Nell’antica concezione del romanzo poliziesco, ci viene mostrato un geniale investigatore che dedica tutta la sua potenza psicologica alla ricerca e alla scoperta della verità. La verità era concepita in modo totalmente filosofico, come il prodotto dello sforzo e delle operazioni dello spirito. Ed ecco che l’inchiesta poliziesca prende a modello la ricerca filosofica, e inversamente dà a quella un oggetto insolito: il crimine da delucidare.
C’erano all’epoca due scuole del vero: quella francese (Descartes), nella quale la verità è questione di un’intuizione di base, dalla quale il resto va rigorosamente dedotto; e la scuola inglese (Hobbes), per la quale il vero è sempre indotto da altri elementi, interpretato a partire da indici sensibili. In breve: deduzione ed induzione. Il romanzo poliziesco, all’interno di un suo proprio movimento, riproduceva questa dualità e la illustrava con dei capolavori. La scuola inglese: Conan Doyle, con Sherlock Holmes, prodigioso interprete di una serie di segni, genio induttivo. La scuola francese: Gaboriau, con Tabaret e Lecoq, poi Gaston Leroux con Rouletabille (Rouletabille invoca sempre «il lume della ragione», «il circolo tra i due bernoccoli della sua fronte» per opporre esplicitamente la sua teoria della certezza al metodo induttivo, alla teoria dei segni anglo-sassone).
L’interesse può altrettanto legittimamente passare al versante del criminale. Seguendo una legge della riflessione metafisica: il criminale non è meno straordinario del poliziotto. Anch’egli si fa forte della giustizia e della verità, e delle potenze induttive e deduttive. Da cui la possibilità di due serie romanzesche, l’una avente per eroe il poliziotto, l’altra il criminale. Leroux ha successo in questa doppia serie con Rouletabille e Chérie-Bibi. I due non si incontrano mai, animano serie differenti (non potrebbero incontrarsi senza che uno dei due diventi ridicolo: si veda il tentativo di Leblanc con Arsenio Lupin e Sherlock Holmes [Arsène Lupin contre Sherlock Holmès, 1908]). Ma Rouletabille e Chérie-Bibi, dei quali ciascuno è il doppio dell’altro, hanno lo stesso destino, lo stesso dolore, la stessa ricerca del vero. Questo destino, questa ricerca, è quella di Edipo (Rouletabille destinato ad uccidere suo padre, o Chéri-Bibi che assiste alla rappresentazione dell’Edipo ed urla: «Sono io!»). Dopo la filosofia, la tragedia greca.
Non bisogna stupirsi più di tanto del fatto che il romanzo poliziesco riproduca tanto bene la tragedia greca, perché per sottolineare questa coincidenza si invoca sempre Edipo: ma Edipo è, per l’appunto, la sola tragedia greca che abbi già questa struttura poliziesca. Dovremmo stupirci del fatto che l’Edipo di Sofocle sia poliziesco, e non del fatto che il romanzo poliziesco sia rimasto edipico. Rendiamo omaggio a Leroux: prodigioso romanziere della letteratura francese, genio delle formule, «pas le mains, pas le mains», «les plus laid des hommes», «Fatalitas», «les ouvreurs de porte et le fermeurs de trappe», «le cercle entre les deux bosses»…, ecc.
Ma con la Série Noire il romanzo propriamente poliziesco è morto. Senza dubbio, nella massa di questa collana, molti libri si accontentano di cambiare l’aspetto esteriore dell’investigatore (renderlo bevitore, erotico, agitato), ma ne conservano la vecchia struttura: designazione sorprendente d’un colpevole inatteso, tutti i personaggi riuniti per la spiegazione conclusiva alla fine del libro — non è qui la novità.
La novità, come utilizzo e messa a frutto della letteratura, era principalmente quella di insegnarci che l’attività poliziesca non ha nulla a che vedere con una ricerca metafisica o scientifica della verità. Il laboratorio di polizia non assomiglia alla scienza più di quanto le telefonate del confidente, i rapporti della gendarmeria o le torture non assomiglino ad un discorso metafisico. Come regola generale, si distinguono due casi: l’omicidio professionale, del quale la polizia sa ben presto chi è, più o meno, il colpevole; l’omicidio a sfondo sessuale, il cui colpevole può essere chiunque. Ma in entrambi i casi il problema non si pone in termini di verità. Si tratta piuttosto di una sorprendente compensazione di errori: pizzicare il colpevole, conosciuto ma non provato, all’interno di domini diversi da quelli della sua attività criminale (così lo schema americano del gangster impunito, ma arrestato ed espulso per la sua falsa dichiarazione dei redditi); attendere che il colpevole si manifesti o ricominci, provocarlo, costringerlo a manifestarsi tendendogli una trappola.
La Série Noire ci ha abituato al tipo del poliziotto che corre a casaccio, rapido nel moltiplicare gli errori, ma convinto di arrivare comunque da qualche parte. All’altro polo, ci si fa assistere alla preparazione minuziosa di un colpo, e alla concatenazione dei piccoli errori che sul campo diventeranno enormi (è da questo punto di vista che la Série Noire ha influenzato il cinema). Innocente, il lettore finisce con lo stupirsi di tanti errori, da una parte come dall’altra. Anche la polizia, quando sferra un colpo basso lo fa in modo talmente maldestro che sembra voglia sfidare l’opinione pubblica.
Il punto è che la verità non è affatto elemento dell’indagine: non si può certo pensare che la compensazione degli errori abbia come scopo il disvelamento del vero. Al contrario: questa compensazione ha la sua propria dimensione, la sua sufficienza, una sorta d’equilibrio o di ristabilimento dell’equilibrio, un processo di restituzione che permette a una società, al limite del cinismo, di nascondere ciò che vuole nascondere, di mostrare ciò che vuole mostrare, di negare l’evidenza e proclamare l’inverosimile. L’assassino non trovato dalla polizia può essere ucciso dai suoi a causa degli errori che ha commesso, e la polizia può sacrificare dei suoi a causa di altri errori, ed ecco che questa compensazione non ha altro scopo che la perpetuazione di un equilibrio che rappresenta l’intera società nella più alta potenza del falso.
È il processo di restituzione, d’equilibrio o di compensazione che appare anche nelle tragedie greche (ma in quelle di Eschilo). Il più grande romanzo di questo genere, il più ammirabile sotto ogni aspetto, non è della Série Noire: Les Gommes [Le gomme, 1953] di Robbe-Grillet, che sviluppa una prodigiosa compensazione di errori sotto il doppio segno d’un equilibrio eschiliano e di una ricerca edipica.
Con la Série Noire, la potenza del falso è divenuta, dal punto di vista letterario, l’elemento poliziesco per eccellenza. Il che implica ancora un’altra conseguenza: i rapporti del poliziesco e del criminale non sono più, evidentemente, quelli di una riflessione metafisica. La penetrazione è reale, gli intenti profondi e compensatori. Do ut des, scambio di servizi, tradimento non meno frequente di una parte e dell’altra. Tutto ci ricorda sempre la grande trinità della potenza del falso: delazione-corruzione-tortura. Ma va da sé che non è la polizia ad instaurare autonomamente, e di propria iniziativa, questa inquietante complicità. La riflessione metafisica dell’antico romanzo ha fatto posto allo specchio dell’altro. Una società si riflette bene nella sua polizia e nei suoi crimini, mentre se ne tiene al riparo attraverso profonde intese di fondo.
Si sa che una società capitalista perdona più facilmente il furto, l’assassinio, la tortura dei bambini di quanto non faccia con l’assegno scoperto, il solo crimine teologico, il crimine contro lo spirito. Si sa bene che i grandi «affari» comportano un certo numero di scandali e di crimini reali; inversamente il crimine è organizzato in affari rigorosi, in una struttura precisa tanto quanto un consiglio di amministrazione o di manager. La Série Noire ci ha reso familiare una combinazione di affari politico-criminali che, malgrado tutte le prove della Storia antica e moderna, non aveva ancora ricevuto la sua corrente espressione letteraria.
Il rapporto Kefauver [rapporto del senatore democratico sulle attività criminali in USA, 1952. Ad esso si è ispirato, tra gli altri, Fleming per la ricostruzione della rete criminale del gioco d’azzardo in Una cascata di diamanti], e soprattutto Murder Inc.: The Story of the Syndicate di Burton B. Turkus [1951; trad. it. Anonima assassini, 1955] furono all’origine di molti dei testi della Série Noire. Molti si accontentavano di plagiarli; come minimo, li facevano passare nel romanzo ordinario. Che il regime di Trujillo, o di Batista — o di Hitler o Franco — o qualunque altro, poiché tutti pensano all’affare Ben Barka — comportino una miscela propriamente Série Noire. Che Asturias scriva un romanzo di genio, El Señor Presidente; che noi si sia tutti alla ricerca del segreto di questa unità del grottesco e del terrificante, del terribile e del pagliaccesco, che legano insieme il potere politico, la potenza economica e l’attività poliziesca e criminale — tutto questo era già in Svetonio, in Shakespeare, in Jarry, in Asturias: la Série Noire ha ripreso ogni cosa, abbiamo fatto dei passi in avanti verso la comprensione di questa alleanza, il grottesco e il terrificante, che, a seconda delle circostanze, disporrà della vita di ciascuno di noi?
Dunque la Série Noire ha trasformato le nostre valutazioni, le nostre fantasie poliziesche. Il momento era arrivato. Era forse un bene per noi partecipare in «lettura corrente» a questo stato di cose, che perdeva così la propria realtà e ci sottraeva una certa potenza d’indignazione? L’indignazione sorge grazie al reale, o grazie ai capolavori. Sembra che la Série Noire abbia pasticciato qualunque capolavoro: dei falsi Faulkner, ma anche dei falsi Stainbeck e dei falsi Caldwell, dei falsi Asturias. Ed ha seguito la moda: prima americana, poi ridiscoprente i problemi criminali francesi.
Essa è piena di stereotipi: la presentazione puerile della sessualità, e soprattutto degli occhi degli assassini (non c’è che Chase ad aver saputo dare una certa via fredda a degli assassini non conformi, a forte personalità). Ma la grandezza della Série Noire, l’idea di Duhamel, resta una delle più importanti dell’edizione recente: un rimaneggiamento della visione del mondo, sulla polizia e i criminali, che ogni brav’uomo porta in sé.
È evidente che non basta un buon realismo per fare della buona letteratura. Il reale in quanto tale, per la cattiva letteratura, è oggetto di stereotipie, di puerilizzazioni, di sogni a buon mercato, ben più di quanto non sia in grado di fare un’immaginazione imbecille. Ma più profonda del reale e dell’immaginario è la parodia. La Série Noire ha sofferto di una produzione troppo abbondante; ma essa manteneva un’unità, una tendenza, che trova periodicamente espressione in libri bellissimi (il successo attuale di James Bond, che non è stato integrato nella Série Noire, sembra rappresentare una forte regressione letteraria, certo compensata dal cinema, un ritorno a una visione rosea dell’agente segreto).
I libro della Série Noire sono bellissimi quando il reale trova una parodia che gli è propria, e quando questa parodia ci mostra a sua volta entro il reale delle direzioni che noi non avremmo mai trovato da soli. I grandi libri parodistici sono, in modi molto diversi: Miss Shumway Waves a Wand [inedito in Italia] di Chase; The Diamond Bikini [trad. it. Non è peccato] di Charles Williams; i romanzi negri di Chester Himes [a destra], che hanno sempre dei momenti straordinari. Ora, nella Série Noire c’era il numero 50: Deadlier Than the Male [trad. it. La serpe in seno] di James Gunn [da cui il film Born to Kill, diretto da Robert Wise].
Era il momento in cui la moda era tutta americana: si diceva che certi romanzieri scrivessero sotto pseudonimi americani [come nel caso di Vernon Sullivan, nickname poliziesco di Boris Vian]. Deadlier Than the Male è un libro ammirabile: la potenza del falso al grado più alto, una vecchia signora che cerca un assassino attraverso l’odore, un tentativo di omicidio tra le dune, grande parodia, bisogna leggerlo o rileggerlo. Chi è James Gunn, il cui nome compare in un solo romanzo nella Série Noire? Nel momento in cui la collana festeggia il suo numero 1000, e riedita tanti libri, nel mentre rendiamo omaggio a Marcel Duhamel ci permettiamo di chiedere la riedizione del numero 50.
* Titolo originale: “Philosophie de la Série Noire”, pubblicato in Arts et Loisirs n. 18, 1966, pp. 12-13; ora in L’île déserte et autres textes. Textes et entretiens 1953-1974, édition préparée par David Lapoujade, Paris, Éd. Du Minuit, 2002, pp. 114-119; traduzione e cura di Girolamo De Michele (con la collaborazione di Michel Laconique); tutte le note tra parentesi quadre sono dei curatori (g.d.m.).