di Mario Benedetti
[L’autore di questo articolo (nella foto a sinistra) è il poeta italiano autore di Umana gloria (Mondadori) e non l’omonimo uruguagio, candidato al premio Nobel, ripreso in un precedente post di Carmilla]
Tra “irrealtà” e dato realistico, fondamentale per non smarrirsi in sussunzioni del reale implausibili, astratte, od emotivamente appaganti e liberatorie, inautentiche e fumose di certo passato poetico, mi sembra si disponga e si risolva questa scrittura. C’è un io che parla di un Noi, o dell’altro, che sono assenti per il desiderio dell’io che quindi non si realizza e si sospende, tutto sospendendo. Ma significativa è la presenza di un’estrema precisione e concisione di parole e immagini, plasticità direi ma non per linee orizzontali attraverso le quali si svolge la vita dei sentimenti, pensieri e azioni, ordinariamente. Non si tratta di una dimensione descrittiva poeticizzata.
La vita dell’io testimonia di cogliere e organizzare con i sensi tutti l’altro, in un luogo diverso da quello della consuetudine esperienziale, esaltante o asaltata in qualunque glorificazione tradizionale poetica. Il dato realistico rimane, nella mancanza, nell’assenza (dire orficamente è dire male, pur essendo Orfeo esempio che anche non volendo viene alla mente) dell’esperienza voluta: si parla di risate, abbracci, saluti, passi, voci, di una casa vissuta, di strade, di locali giovanili, fino a giungere al proprio corpo con la sua fronte, le mani, i polsi, il respiro, ecc. Si potrebbe dire che è illuminato il luogo di sé e dell’altro, quest’ultimo per ovvi motivi un po’ opaco e illuminato dal primo, in questa sospensione dei desiderati, voluti accadimenti.
La realtà, si è detto, non corrisponde, non risponde. Ma allora essa dove è vissuta? Si può tentare di rispondere che la distanza in questione appare altrettanto reale, e la vecchia “psicosi” porta un interrogativo vero su cosa sia per noi la realtà. E’ come dire che si guarda l’acqua dopo l’acqua (percepirla come dato scontato, e quindi diversamente), oppure vedere, perché sta piovendo molto e molto a lungo, la pioggia ferma a metà del cielo.
Al di là del motivo dell’amore non corrisposto, può essere importante intravedere il tema della percezione alla luce delle Neuroscienze e della Fisica contemporanea, che mettono in crisi la cosiddetta normalità della nostra percezione. Ho letto questo libro anche in tale prospettiva, al di là della storia della letteratura o del melodramma che certamente sono attivi. A questo proposito mi viene in mente il poeta americano Wallace Stevens (1879- 1955), e in particolare la poesia Il mondo come meditazione, testo nel quale Penelope aspetta Ulisse. Penelope è certa che arriverà, questa è senz’altro la differenza. “Ma era poi Ulisse?”, si dice, “ O il calore del sole sul guanciale”, mentre Penelope componeva “ così a lungo un io con cui accoglierlo” in una “meditazione inumana, più vasta della sua”, in assenza dell’uomo, dell’altro in cui sciogliere la propria “mancanza”, la propria sospensione?
In conclusione, la coinquilina è ovviamente inquilina ‘con’ qualcuno, ma è scalza: non ha ciò che normalmente serve per camminare, accostarsi e vivere con l’altro.
E, senza dubbio, la lettura di questo libro, citando riassuntivamente due suoi versi “… è come entrare in casa / sapendo che non ci si può restare.”
E dicono che se ci sei anche tu
sembro meno nervosa…
E’ che mi togli i nervi e te ne vai…
So solo che la curva del tuo collo
è il posto più perfetto che ci sia
per questa fronte
e se mi abbracci è come entrare in casa
sapendo che non ci si può restare.